Mìshásta
Londra del 1990
Dolore.
Se qualcuno mi domandasse come rappresenterei la mia vita, quel termine, il termine che mi era stato amico per la mia intera esistenza, era perfettamente adatto.
Nessuno poteva donarmi felicità perché io non la desideravo. Preferivo rinchiudermi nel mio salotto di casa, con le luci spente e mangiare in silenzio senza che nessuno mi vedesse.
Senza che nessuno vedesse il mio errore, la mia vergogna, la mia tremenda paura. Desideravo sopprimere quei ricordi che incessantemente irrompevano nei miei sogni.
Con il tempo smisi di definirli tali e li nominai come veri e propri incubi. Incubi che mi facevano stare sveglia la notte, che mi procuravano un attacco al cuore e il respiro mi veniva a mancare.
Una notte temevo davvero di morire per mancanza di ossigeno ai polmoni, ma come ogni sera mi calmavo cullandomi con il dolce canto del vento.
Non avevo famiglia o amici. Però avevo una persona nella mia vita. Veniva spesso a trovarmi a casa anche se spesso non perdeva tempo a parlare con me.
Portava sempre del cibo commestibile con sé e talvolta mi portava anche dei doni come un vestito nuovo, una collana o un bracciale.
Non sapevo il motivo di queste sue premure, ma non era malvagio ed era scortese rifiutare un dono.
Forse vi state già chiedendo perché vivevo da sola priva di qualsiasi legame con il mondo esterno. La risposta era molto semplice.
Paura.
Paura di confrontarmi con i misteri, le cattiverie e le atrocità che la natura e il mondo erano capaci di creare. Lì in quella specie di tana riuscivo a sentirmi al sicuro, lontano da chi poteva farmi del male.
E come tutti i giorni mi sedevo in un punto impreciso della stanza e affondavo il viso sulle gambe snelle e scheletriche.
Non mangiavo da circa tre giorni e lo stomaco iniziava a brontolare emettendo un suono rumoroso. Dovevo mangiare, ma avevo troppa paura di uscire soprattutto con il ricordo dell'incubo ancora fresco nella mia mente.
Lui poteva essere tra di loro. Lui voleva uccidermi.
Le lacrime mi solcavano il volto infradiciando il vestito nuovo che il signore misterioso mi aveva portato la settimana scorsa. Ripensavo a lui e al buon cibo che mi portava sperando che tornasse di nuovo.
Presi a mangiucchiarmi le unghie sporche per placare il nervoso che mi attanagliava lo stomaco e il petto. Mi alzai di scatto avvertendo nitidamente il suono della chiave che si inseriva nella serratura.
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Isibéal - La dama sfregiata #wattys2017
ParanormalConta fino a dieci e desiderai di morire. Niente faceva più paura della morte, anche se spesso ci aggrappavamo a quest'ultima disperatamente cercando un po' di sollievo da quel dolore che ci lacerava la pelle. Era fredda. Era buia, ma confortev...