4.silence (Parte 1)

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Silence

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Silence

I


L'orribile sensazione al petto si era ormai affievolita, e l'ansia che già da un po' mi aveva provocato un nodo alla gola stava iniziando a svanire. Lasciai scorrere l'inchiostro sul foglio bianco incidendo piccole parole dedicancole a una persona che non aveva un nome ben preciso, ma che tendevo a chiamare ombra. Era così scura tanto da metter spavento e non aveva una forma ben definita. Era un qualcosa che c'era, ma allo stesso tempo nessuno riusciva a vederne l'esistenza.

In quella lettera impressi i miei sentimenti più nascosti quelli che nemmeno la sottoscritta immaginava di possedere, emozioni talmente tanto oscure che non riuscivo a manifestare attraverso l'uso vocale. Poter ritornare a scrivere, sentire l'odore della carta stampata e dell'inchiostro mi faceva sentire bene, in fondo era ormai molti anni che non scrivevo e ciò mi era mancato. Espressi il mio ritegno nei confronti di un uomo che avrebbe dovuto essere il mio salvatore e invece si era rivelato una persona abbastanza ambigua; espressi la mia agonia e di come da giorni ormai era rimasta chiusa in quella stanza cupa respirando un po' di brezza mattutina attraverso la una piccola finestra, che mi teneva ancora collegata al mondo esterno. Sentivo di essere ritornata nella mia tana e con essa ritornavano quelle opprimenti sensazioni che avevano sempre fatto parte della mia esistenza negli ultimi anni. In questi giorni avevo realizzato il mio più ardente desiderio: cercavo in qualche modo di riaccendere in me qualche nuovo sentimento, di rivivere con serenità la mia vita, eliminando la paura che mi opprime l'anima. E per questo motivo ritornare a quelle emozioni negative rendevano la mia situazione ancora più miserabile.

Sollevai il foglio un po' stropicciato e lessi a mezza voce quei sentimenti che non ero mai stata in grado di dire. Mi assumevo la piena colpa della mia situazione, ma dall'altra parte non potevo  non denunciare il comportamento dei miei familiari che con gli anni mi avevano abbandonata. Da quel fatidico giorno non ebbi più il coraggio di tornare a casa, non mi sentivo più al sicuro in quel posto. Non riuscivo più a sentirlo casa mia. Occhi indiscreti, bocche larghe, e nasi allungati. Nel mondo della alta società non esisteva la privacy, tutti conoscevano i segreti di tutti e tutti sapevano utilizzarli a proprio vantaggio.

Fermai il flusso di ricordi che senza alcun ordine cronologico e sintattico si facevano strada nella mia già frastornata mente. Richiusi il mio taccuino e lo deposi sul cassetto del comodino appena in tempo prima di sentire la porta aprirsi lentamente. Il vestito giallo floreale di Amelia, estremamente lungo, rimase impigliato nella porta che si era chiusa troppo precocemente e non le aveva dato il tempo di sistemarsi il vestito. Ridacchiai osservando il tentativo delle donna di rimediare al suo pasticcio.

Una volta ricomposta si voltò verso di me accarezzandosi le guance arrossate. «Dormito bene signorina?» mi chiese allargando il viso in uno splendente sorriso. E dall'altra sera che mi chiedevo: a cosa era dovuto questo eccesso di ilarità? Non mi sembrava essere una donna benestante, ne che conducesse una vita propriamente stabile e certa, e la vita di una cameriera era già un lavoro propriamente sfiancante. Pertanto come faceva una donna che probabilmente non aveva mai posseduto nulla nella sua vita a sorridere? Questa constatazione mi aveva sempre fatta imbestialire perché nella mia precedente vita, non ero affatto felice. Mi sentito ingarbugliata in un corpo che non mi apparteneva, che si muoveva e parlava non secondo la mia volontà. Ero un'automa privo di qualsiasi sorte di sentimenti. Nonostante possedessi tutto dalla vita, una bella casa, oggetti costosi, bei vestiti e gioielli quello che più mi mancava era l'amore. E però per la mancanza di amore che adesso mi ritrovavo in questa situazione. Era come un movimento a catena, tutto partiva dalla mia nascita fino alla mia morte. Si, perché la precedente Isibéal quella ricca e povera di cuore ormai non esisteva più.

Amelia sofferma lo sguardo su di me aspettando una mia scostata risposta.«No, non proprio.» ammisi sincera. Questa era una dote che con il tempo era rimasta una mia constante caratteristica: l'essere sincera. La donna si sventolò i capelli, lo faceva spesso quando era a disagio o quando non sapeva cosa dire, e iniziò a prepararmi il letto. Dall'altra parte non ne capivo il motivo, infondo il letto era la mia unica compagnia e mi sarei rifilata sotto le coperte subito dopo essere rimasta finalmente da sola.

«Non avete toccato cibo nemmeno oggi?» mi chiese osservando la colazione ancora intatta sul comodino. Alzai le spalle sistemandomi i lunghi capelli neri sul viso, nascondendo la profonda cicatrice che mi deturpava il viso. Questi erano abbastanza lunghi e richiedevano un bisogno immediato di una spazzola. Amelia una volta terminato di sistemarmi il letto si avvicinò alla finestra sollevando la tendina che mi separava alla visuale e che mi proteggeva dalla luce del sole. Nonostante fossero passati un paio di giorni da quando mi ero allontanata dalla mia tana non riuscivo ancora ad abituarmi alla luce.

Pertanto al contatto con la luce mi coprii istintivamente gli occhi spostandomi verso un punto della stanza, dove non filtravano i raggi del sole. Provai a sbattere le ciglia tentando in qualche modo di adattarmi alla luminosità. Ma senza alcun progresso. Amelia però sembrò irremovibile e raccolse semplicemente la colazione e uscire in silenzio dalla stanza. Rimasi così da sola, mi lasciai così ricadere sul pavimento. In completo silenzio.



{Narratore}

Terra, acqua e aria.

Riusciva a sentire nitidamente la terra sotto le unghie affilate, avvertiva  l'aria gelida invernale che gli accarezzava la pelle - e che lo riscaldava abbondantemente- mentre ascoltava il suono della cascata scorrere velocemente. Cacciò fuori la lingua assetata, come da bravo cagnolino, e corse verso la direzione opposta evitando qualsiasi altra distrazione. L'ilarità della situazione era che nonostante l'utilizzasse l'olfatto per spostarsi da un luogo all'altro non possedeva un buon orientamento. Sbuffò ormai stanco riflettendo sui giorni che aveva passato correndo per i boschi con l'intento di trovarla, ma al momento l'obiettivo era ancora ben lontano. Seguire il suo odore non era stata propriamente la scelta più saggia siccome le distrazioni olfattive erano infinite.

E anche quella sera sentiva che la fame aumentava sempre più velocemente, doveva metterla a tacere. Provò a sollevare una zampa quando avvertì il suono di piccoli e potenti passi. Erano di un uomo. Riusciva a percepirlo dal suo odore e dai suoi movimenti. Doveva andarsene da lì prima che fosse troppo tardi, prima che la voglia di uccidere cominciasse a farsi sentire, quando lo sentì.

                  Sentì il suo odore

E quell'uomo ne era completamente immerso. Iniziò a correre verso la sua direzione spezzando qualche ramo, mettendo a tacere il suo lato animale. Stava per raggiungere il suo obbiettivo attraverso il quale avrebbe compiuto la sua missione.

Lo seguì con lo sguardo e con il corpo mentre l'odore della sua pelle diventava sempre più nitido. Quell'uomo l'avrebbe portata da lei. Quando quest'ultimo diminuì il passo fermandosi davanti una piccola villetta capì di essere arrivato a destinazione. Lei viveva in quella casa. Un ululato di gioia poi il silenzio.

Isibéal - La dama sfregiata #wattys2017Where stories live. Discover now