6. Dubbi (parte 2)

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Carlo arrivò presto e mi godetti la scena di mia madre che sistemava velocemente i ciuffi ribelli che le erano sfuggiti dalla pettinatura, proprio davanti allo specchio dove io mi ero guardata la sera prima. Sembrava ansiosa, mi fece tenerezza. Andai ad aprire io. Sull'uscio si presentò davanti a me un uomo sulla quarantina, alto, un po' robusto, maglia verde militare e pantaloni semplici beige. Stette qualche secondo fermo, forse anche lui per studiarmi, poi si presentò.

- Piacere, Carlo... Tu devi essere la figlia?-

Annuii.

- Piacere, Alessia... Entra pure.-

Mi misi da parte per farlo entrare. Lui dapprima si guardò intorno, poi decise di avanzare e lo portai verso il divano, dove avrebbe potuto aspettare, comodo, un eventuale ritardo di mia madre. Gli sorrisi e andai a recuperare mia mamma dalla stanza da letto.

- Mamma, sei bellissima. Ora vai che ti sta aspettando.-

Le sussurrai.

- Arrivo, giusto un attimo.-

Nel frattempo, iniziai a portare il primo piatto a tavola, feci accomodare Carlo e finalmente si presentò mia madre, che lo salutò con due baci sulla guancia, forse non avevano poi così tanta voglia di sconvolgermi.

Mangiammo risotto con zucchine e gamberetti freschi. Mamma doveva essersi svegliata presto per fare quel sughetto. E solo quand'era di buon umore si alzava col pensiero di mettersi ai fornelli a sperimentare nuovi mix di sapori. Il suo talento in cucina doveva averlo ereditato dal nonno. Fu proprio grazie alla proposta di una nuova ricetta per il ristorante che fecero pace... O forse mio nonno lo prese solo come pretesto.

Mentre prendevo le ultime forchettate, notai striature grigie tra i capelli castano chiaro di Carlo, segno di maggiore maturità rispetto a mia madre, e, insieme alla profondità nei suoi occhi verdi mi fecero pensare che lei stesse iniziando a cambiare gusto in fatto di uomini. Per non parlare poi delle basette e dei baffi: creavano di lui un personaggio serio ma affabile, con un tocco di simpatia.

- Di cosa ti occupi?-

Finì il boccone e mi rispose in fretta.

- Sono un meccanico, ho una mia officina.-

Bene, un lavoratore pure, di questi tempi non è così scontato. Poi proseguì.

- Era il lavoro di mio padre, l'ho seguito fin da bambino, ma col passare degli anni l'ultimo dei miei pensieri era seguire il suo lavoro... Poi la vita mi ha portato a cambiare idea e mi sono appassionato come prima.-

Carino ad aprirsi così tanto al primo incontro. Magari un uomo come lui avrebbe potuto far mettere la testa apposto a mia madre, ma ormai non mi sarei illusa tanto facilmente, quindi proseguii la conversazione con il puro intento di conoscerlo meglio, sforzandomi di trattarlo da persona qualunque. Dopo pranzo li lasciai soli e tornai in camera mia.

Le risate tra loro mi facevano piacere da un lato, ma dall'altro non mi aiutavano affatto a non pensare a Daniele. Mi buttai a peso morto sul letto e iniziai a giocherellare col cellulare. La tentazione di chiamarlo era troppa, non sarei riuscita a resistere ancora per molto. Scorsi tra i numeri della rubrica ancora una volta e poi, al suo numero, premetti il verde, pentendomene un millesimo di secondo dopo.

- Tuu. Tuu. Tuu. -

Aspettai fino a quando i "Tuu. Tuu." non diventarono più brevi e frequenti. Poi decisi di spegnere il telefono, per evitare di rifare lo stesso errore. Daniele non avrebbe mai risposto da incazzato. Succedeva raramente, ma mi faceva sentire un vuoto dentro inspiegabile, rappresentato benissimo dal suono morto dei cellulari quando chiami una persona che, per chissà quale motivo, preferisce che tu senta quel suono, invece della sua voce. Avrei pure preferito il suono dei suoi duri rimproveri al posto di quella tortura.

Non avevo nessun altro con cui parlare, a cui raccontare il nostro malinteso, con cui consultarmi. Ma dovevo risolvere la cosa al più presto; non avrei potuto immaginare il mio ultimo giorno di scuola senza di lui, senza i nostri scherzi...

-Ahahah!-

...Le nostre risate, appunto. Chissà se un giorno il mio uomo mi avrebbe fatto ridere quanto Carlo faceva a mia madre. Ma che stavo pensando? Non potevo essere certa che lui sarebbe stato l'uomo di mia madre. Di nuovo si fece sentire quell'odiosa vocina in me: forse sono pronta per una storia seria. Ma fu un pensiero di un secondo, nemmeno il tempo di capire se l'avessi riferito a me o al vedere mia madre fidanzata. Il "per sempre" non esiste, quindi perché iniziare ad avere una relazione che si sa andrà a finire male prima o poi? Allora pensavo che non esistesse perché, a quanto diceva mamma, anche lei e papà si amavano tanto e si erano promessi l'amore eterno, tutto questo prima che arrivassi io a rovinare la festa e mio padre non se la diede a gambe.

Mi si accese una lampadina: Sara, quella del " per sempre". Lei stava con lo stesso ragazzo fin dal primo superiore, ora frequentava l'ultimo anno ed era convinta che un giorno l'avrebbe sposato, bah... Non la cercavo per consigli amorosi, però, semplicemente era la sorella di Daniele, una ragazza altruista, sempre disponibile, che non mi avrebbe mai negato il suo aiuto per riappacificarmi col fratello. Dovevo essere abbastanza disperata per chiederle aiuto, non ero solita dipendere dagli altri, tantomeno da una ragazza così perfetta da darmi quasi sui nervi. Accessi il pc e andai subito sul suo profilo di facebook. Aveva appena pubblicato nuove foto del suo ultimo book fotografico: boccoli biondo rame al vento, occhioni dolci verdi, fisico perfetto perché alto, snello ma con le curve al posto giusto. E la sua nomina si addiceva al suo aspetto, veniva sempre descritta come ragazza-angelo.

La contattai con un semplice " ehi".

" ehi ciao, dimmi J"

Eccola, subito con la risposta pronta.

" scusa, ti contatto solo per tuo fratello, come al solito..."

" tranquilla, racconta"

Mi sentivo un po' in colpa, ma come al solito non lo diedi a vedere.

" intanto volevo sapere come sta, che ha fatto oggi..."

" ha pranzato fuori, diceva di avere un appuntamento, è tornato da poco e si è chiuso in stanza"

" un appuntamento con chi?"

" con una ragazza... non ha specificato. È strano che a te non ne abbia parlato"

" forse l'ha conosciuta ieri sera"

È forse quella moretta?

"non saprei..."

" comunque, non giudicarmi ti prego... riassunto il problema è questo:"

Mi fece la solita predica. Concluse con queste parole che mi rimasero impresse, ma che non capii fino in fondo: "Due persone che sono cresciute insieme, nonostante possano prendere strade differenti per via di scelte diverse, rimarranno sempre unite da un filo invisibile." In pratica dovevo fargli passare la rabbia lasciandolo solo per un po' in modo da fargli rendere conto che qualcosa di simile l'ha fatta e continua a farla pure lui, per poi chiarirci di presenza qualche giorno dopo. Eh, bella soluzione quella di Sara, peccato che stare qualche giorno senza di lui voleva dire perdersi l'ultimo giorno di scuola insieme, giusto quello in cui eravamo soliti fare una lotta coi palloncini ad acqua. E, oltretutto, stare completamente sola in quel giorno, avrebbe portato in fretta a voci di corridoio su un nostro possibile litigio, il che avrebbe potuto causare false speranze nei ragazzi della scuola (per non parlare delle battutine... insomma, succederà un disastro!).



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