2

47 4 0
                                    


La finestra che dobbiamo scavalcare è molto grande e senza vetro. Ci passo oltre agilmente, seguita da Christian. La stanza è vuota, piena di bottiglie di vodka e jagermeister a terra. I muri sono completamente ricoperti da murales, più o meno inquietanti. Uno in particolare mi colpisce; rappresenta per metà il viso di una bambina dagli occhi azzurri, e per l'altra metà lo stesso viso però deformato a sembrare un diavolo. Mi vengono i brividi.

<<Hai freddo?>>

<<Un pochino.>> in effetti qui dentro si gela. Poi siamo a settembre, mese non troppo caldo di suo.

<<Siamo bagnati fradici, cazzo.>>

Solo ora mi rendo conto della maglietta (bianca) appiccicata alla schiena perché completamente zuppa.

<<Ci prenderemo qualcosa, già lo so.>> mi rassegno all'idea di tornare a casa con una polmonite. Ride.

<<Facciamo un giro dell'accogliente locale, così ti riscaldi.>>

E' già stato qua. Non è un posto dove si andrebbe normalmente il sabato sera con gli amici, diciamocelo. E allora perché è stato qua?

Mi porta nella stanza di fronte, in cui oltre ai soliti murales e ad altrettante lattine vuote, sono ancora presenti turche e lavandini.

<<Questo edificio è stato costruito alla fine dell' '800 per accogliere i malati senza speranza. Ben presto si è trasformato in manicomio. D'altronde ospitare centinaia di uomini sofferenti e in punto di morte non può che far impazzire tutti.>>

Raggiungiamo una terza stanza. Questa è di nuovo vuota, ma in una delle pareti vi è un'enorme finestra costituita da un vetro a placche gialle e rosse, una sorta di mosaico.

<<Qui è dove facevano la messa. Il tasso di mortalità era talmente elevato che risultava sconveniente avere la chiesa più vicina a 7 km. Così decisero di costruire la chiesa qui dentro, per la precisione in questa stanza.>>

<<Un po' piccola come chiesa.>> affermo.

<<Gigi, erano malati contagiosi, come che entravano qui dentro nessuno voleva più averci a che fare, e venivano dimenticati. Ai funerali non si presentavano più di tre o quattro persone, quindi questa stanza era più che sufficiente.>>

Una tristezza profonda mi assale; come possono esserci solo tre persone a un funerale? E gli altri parenti? E i vicini di casa?

<<E questa era la mensa.>> senza che mi accorgessi abbiamo già superato la "chiesa" e ora siamo di fronte a tre lunghi tavoli in legno.

<<Questa era una delle stanze più grandi di tutto l'edificio.>>

Stingendosi ci sarebbero potute stare almeno 400 persone. Non immagino neanche un numero così elevato di matti e malati in un paesino piccolo come il nostro.

<<Nei suoi momenti di gloria è arrivato ad ospitare 503 persone, senza contare quelle che non venivano registrate.>>

E' una follia. Seguo il bordo di uno dei tavoli e raggiungo il fondo della stanza. Sono ancora immersa nei miei pensieri quando pesto qualcosa. Una bambola.

<<Christian cazzo, una bambola! Una bambola a cui hanno tolto gli occhi! Anche le mani sono state tagliate, cazzo.>> urlo in preda al panico.

Senza pensare mi metto a correre fino alla stanza da cui siamo entrati. Sapevo che non dovevamo venirci, merda. Sto per superare la finestra quando una mano mi afferra il braccio. Grido.

<<Ginevra calmati! Era solo una stupida bambola usata da qualche ragazzino nei suoi giochetti.>>

<<Io non gioco a cavare gli occhi a un peluche Christian.>> sto per piangere, me lo sento.

Una lacrima mi scivola lungo la guancia. Lui si avvicina e mi stringe a sé. Mi accarezza la testa, premendomi forte al suo torace con l'altro braccio.

<<Ho paura.>>

<<Lo so piccola, ma non ti devi preoccupare. Se fosse davvero pericoloso non ti avrei mai portata qui.>>

Le lacrime ora scendono a decine e mi aggrappo a lui, come se fosse la mia unica salvezza.

LOSTEDDove le storie prendono vita. Scoprilo ora