2. Ambientarsi

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Io come sto? Che non mi vedi? Tre fori nel cuore ma comunque in piedi

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Quattro giorni.

Il primo giorno non ho sentito il dolore, l'angoscia, la tristezza e la disperazione che albergavano in una parte del mio cuore. Ero troppo occupata ad ambientarmi in questa casa che conosco da sempre ma che mi risulta allo stesso tempo talmente estranea. Non mi sento neppure nella posizione di chiamarla " casa ". Non é mia, questa non é la mia vita, le mie abitudini, le mie cose.

Ho passato il primo giorno con la musica a tutto volume, chiusa nella mia nuova stanza a disfare le valige. Sono uscita solo un paio di volte per il pranzo e la cena. Sono stata educata con mio padre ed i miei nonni, ho parlato poco ed evitato le domande a cui non avevo alcuna voglia di dare una risposta. Ho augurato una buonanotte a tutti e sono tornata in camera.

Ho ridotto le telefonate al minimo indispensabile, giusto un " si, sto bene " qui e un " non ho voglia di parlarne " lá.

Il secondo giorno é andato più o meno come il primo con la sola differenza che siamo stati a cena da mia nonna paterna e quindi, per forza di cose, sono stata costretta ad uscire di casa. Ho notato che più passa il tempo più divento brava nel cambiare discorso.

Il terzo giorno l'amarezza e lo sconforto sono stati i miei migliori amici da quando ho aperto gli occhi la mattina fino a quando mi sono riaddormentata svariate ore dopo la mezzanotte. Ho pianto, ho chiamato il nome di mia madre dicendole che mi mancava ed avevo bisogno di lei ma ovviamente ad ascoltarmi c'erano solo le mura della stanza ed i miei pensieri. Lei non poteva sentirmi, così come nessun altro all'infuori delle mie proprie orecchie.

Il quarto giorno é oggi.

Oggi rivedrò Julia e tornerò a Baltimora per qualche ora.

" È tardi " la voce di mio padre irrompe bruscamente nella mia testa ed apro gli occhi vedendolo in piedi accanto alla porta. La sua immagine mi risulta storta e piuttosto sfocata, messa a fuoco solo dopo aver permesso ai miei occhi di vedere il mondo che mi circonda attraverso le lenti degli occhiali " Tra venti minuti dobbiamo uscire ".

Afferro il telefono e spengo con un mugolio l'ennesima sveglia che non sono riuscita a sentire. Ne metto molte la mattina ma non riesco a sentirne neppure una. É sempre stato così. A Baltimora, durante l'inverno, la casa sembra una giungla la mattina tra le mie assordanti sveglie a tutto volume e mia madre che urla da camera sua e poi cammina con passi pesanti per il corridoio, precipitandosi in camera mia con i capelli scompigliati, la vestaglia da notte e gli occhi quasi chiusi. Un'uragano che viene, o meglio, veniva ad interrompere la beatitudine delle ore in cui ci é concesso sognare.

Scanso le coperte e mi metto a sedere sul materasso, dondolando i piedi in terra alla ricerca delle pantofole che qualche secondo dopo mi stanno riscaldando i piedi. Sento i brividi di freddo percorrermi la pelle di tutto il corpo, partendo dalla schiena fino ad arrivare alle braccia. Tiro fuori dal l'armadio la prima felpa che vedo e la infilo, " correndo " poi verso il bagno ad accendere la piccola stufa davanti alla quale rischio, puntualmente, ogni mattina di addormentarmi.

Fa freddo, un freddo cane. I miei nonni si ostinano a vivere in questa villa nonostante non si possano più permettere le spese come invece potevano fare prima di mandare tutto il patrimonio di famiglia al macello. Perciò siamo costretti a vivere in camere grandi quanto un salotto, con pareti più spesse di porte blindate e senza riscaldamento, mettendo una felpa sopra l'altra e aspettando con ansia la stagione estiva. .

Una quindicina di minuti dopo sono truccata alla meno peggio e vestita con un'accozzaglia d'abiti che farebbe mettere le mani nei capelli anche al meno esperto in materia di moda.

Each road takes to youWhere stories live. Discover now