"Molti dei gettano dadi, ma il destino gioca a scacchi e ti accorgi solo troppo tardi che il fato gioca con due Regine"
T.PratchettTutto intorno a noi è il buio.
"E ora cosa mi succederà, cosa ci succederà?" Mi domanda lei spaventata.
Riesco a leggere l'insicurezza nei suoi occhi marroni. La soluzione è chiara, ma non vuole accettarla, non le sembra possibile.
"Non voglio..."
"Coraggio..."
"No..."
Lentamente allungo la mia mano verso la sua, e la guido verso la sua ultima figurina metallica...Entro nella stanza. Intorno a me è tutto buio, ma posso intuire la forma di una grande cupola di pietra nera, forse basalto. Il pavimento è poco meno di un cerchio massimo., il che aumenta il senso di oppressione. Vengo condotto verso il centro dell'immensa struttura, dove sorge un tavolo rotondo, illuminato da dieci candele disposte tutto intorno alla sua circonferenza. Due sedie dall'aspetto regale, una dal mio lato e una dal lato opposto completano il quadro.
Piano piano mi accorgo di non essere solo.
Dal lato opposto del tavolo scorgo un'altra figura: una ragazza all'incirca della mia stessa età, vestita in modo anonimo, come me del resto. Ma mentre io cercavo di dimostrare una finta sicurezza, lei era visibilmente inquieta. Ogni tanto lanciava occhiate nell'oscurità, come a cercare qualcosa.
Senza pensare eseguiamo i gesti come in trance, come un rituale eseguito troppe volte. Ci sediamo e tiriamo fuori gli astucci di pelle. Lei continua a guardarsi intorno, io tengo gli occhi bassi. Dagli astucci disponiamo sulla scacchiera al centro del tavolo le 18 figure di piombo dipinto.Sembra semplice. Una partita a scacchi. Non sono mai stato un gran giocatore e a priori non sapevo come sarebbe finita. Se solo avessi potuto immaginarlo avrei lasciato tutto e sarei fuggito da quel luogo. Eppure non lo feci sia perchè mi intrigava la sfida, sia perchè la mia avversaria era veramente carina. Due argomenti che convincerebbero chiunque. Ci guardammo a lungo negli occhi, soppesandoci. Poi lentamente, con un gesto timido, lei mosse il pedone di re, che aveva la forma di un cagnolino seduto.
Durante le prime mosse cercai di studiarla, di saggiare il suo stile di gioco. Non appariva molto esperta, comunque meno di me. Non seguiva uno schema preciso e ponderava troppo ogni mossa. Inoltre continuava a gettare occhiate tutto intorno.E' una cosa rara negli scacchi affezionarsi ai propri pezzi, anche perchè di solito questi sono solo anonimi pezzi di legno. Qui la situazione era diversa. Ogni pezzo su quella scacchiera era per noi significativo e me ne accorsi quando uno dei miei pedoni (un cane-lupo ululante) mangiò uno dei suoi (un piccolo coniglio).
"No!" esclamò lei vedendo la figurina nelle mie mani. Le lanciai uno sguardo interrogativo, a cui reagì con estremo imbarazzo. "Scusa..." mormorò più a se stessa che a me.
"Non fa niente..."
"Sai, io non..." balbettò.
"Cosa?"
Mi guardò, sorrise e scosse la testa.
Quello fu il primo segnale di cedimento. Lei era mia avversaria e il gioco imponeva che dovevo distruggere la sua mente sulla tavola quadrettata.La partita proseguiva e presto i pezzi più importanti entrarono nella mischia. La sua Torre (una ragazzina che mi diede la sgradevole senzazione di essere cresciuta in una stanza troppo bassa) mi fece fuori una Torre e un Cavallo prima che riuscissi a neutralizzarla. Il centro era conteso da un Alfiere, un Cavallo e dalla Regina. Alla fine lo conquistai, ma con gravi perdite. Lì mi accorsi che nonstante tutto, lei aveva una buona difesa ed era molto cauta, mentre forse io ero stato troppo avventato.
"Complimenti, mi hai stupito"
"Cosa?"
"Beh, difendi bene. Non me l'aspettavo."
"Grazie" e mi sorrise di nuovo. "Comunque anche tu sei bravo."
Sorrisi a mia volta. "Non mi lamento"
Prima che ebbi il tempo di fare la mia mossa lei mi chiese a bruciapelo: "Ma secondo te dove siamo?"
La guardai senza sapere cosa rispondere.
"T-Tu lo sai, vero?"
Scossi la testa e tornai a fissare la scacchiera. L'intervallo tra una mossa e l'altra si faceva sempre più lungo e le figure sulla scacchiera si facevano sempre meno numerose...La partita ora entrava nel vivo. Io ero l'attaccante e lei il difensore. Gli sguardi che avevo cominciato a lanciarle si facevano sempre più lunghi e sempre più avventati. Chissà se se n'era accorta?
Muovendo la Regina riuscì a rompere la difesa del mio Re. Non sapevo quanto questa mossa le fosse convenuta, poichè aveva sacrificato la Regina. Ma a me non importava più nulla della partita. Tutto quello che volevo era rimanere lì con lei. Sentivo l'oscurità che ci avvolgeva e ci proteggeva. Questa cupola era nostra...
Mi fece scuotere la sua voce: "Scacco"
Pericoloso distrarsi. La situazione era ora completamente diversa: aveva sferrato un attacco. I ruoli si erano scambiati.
Per un momento lasciai perdere la partita e le chiesi: "Hai paura?"
Non rispose.
"Non devi avere paura..."
A queste parole lei esplose. "Io non so chi sei, non so cosa vuoi, siamo qui in questo posto sconosciuto a giocare una partita assurda, non sapremo neanche se ne usciremo e tu mi dici di non aver paura!?!" Una lacrima luccicò alla luce delle candele.
"Scusami... Non volevo, davvero. Non so cosa mi sia preso."
A queste parole, sembrò calmarsi. "Cosa ci succederà?"
"Non lo so"
"Usciremo da qui?"
In verità non volevo uscirne. Volevo rimanere con lei. Per sempre.
"Ehi, rispondimi. Pensi che rimarremo qui?"
Solo io e te.
"DIMMELO!!!" urlò prima di scoppiare in lacrime.
Io rimasi ad osservarla mentre sfogava tutta la tensione accumulata. La luce delle dieci candele le donava un aria eterea.
"Io non so se ne usciremo o no. Tutto quello che dobbiamo fare è continuare a giocare."
"NO! BASTA GIOCARE! IO ME NE VADO!"
Si alzò e mosse qualche passo lontano dal tavolo. Il suono della mia voce la costrinse a fermarsi.
"Non lasciarmi da solo..."
Si voltò e mi guardò a lungo.
"... Ti prego..."
Lentamente e in silenzio lei ritornò a sedersi di fronte a me, studiò la situazione sulla tavola quadrettata e mosse il suo unico Cavallo.
"Grazie" le dissi sorridendo.Per quel poco che ne sapevo di scacchi era ormai cominciata la fase finale, quella fase in cui tutto è già deciso e nulla puoi fare se non accettare il tuo destino. Mentre giocavamo cominciai a sentire un ansia sempre crescente. Io ero in vantaggio, lei stava perdendo. O meglio, lei aveva già perso. E questo mi terrorizzava.
Improvvisamente scattai in piedi e feci risuonare il pugno sul tavolo.
"NO! Io non lo accetto!"
"Cosa?"
"Il nostro destino. Non può essere questo. AVETE SENTITO?!?"
Corsi fino al limite della luce proiettata dalle dieci candele. Agitando i pugni per aria urlai al vuoto nero: "IO NON LO ACCETTO! A OGNUNO DI NOI AVETE DATO UN AVVERSARIO, UN NEMICO DA AFFRONTARE E DA DISTRUGGERE! MA IO NON LO ACCETTO!"
Mi voltai e protesi le mani verso di lei.
"Cosa stai dicendo..."
"Voi mi avete dato questa creatura stupenda. E mi dispiace, non ce la faccio. La partita è ormai finita, il destino ha ormai deciso..."
Tornai a sedermi al mio posto.
"... Ma il destino è anche il mio. E anch'io ho il diritto di decidere."
"Cosa... Cosa..."
"Non preoccuparti"
"Hai detto che sono stupenda... Nessuno me lo aveva mai detto..."
"Non parlare adesso. E' l'ora."
Non sempre il finale di una partita è deciso dall'insieme delle mosse precedenti. Quello che feci quella volta era contrario a tutte le teorie esistenti sugli scacchi. Volutamente perdetti la partita. Smontai metodicamente tutto il vantaggio che avevo accumulato e infine, le presi la mano e feci la mossa conclusiva. "Scacco matto..."Era dunque quella la fine? Forse. Entrambi avevamo le lacrime agli occhi al pensiero di doverci separare.
Lentamente, come in un sogno, a testa bassa, con gli occhi umidi, impacchettammo le figurine dentro i rispettivi astucci. Poi ci alzammo e ci incamminammo in direzioni opposte.
Alla fine dovevamo lasciarci. All'unisono ci voltammo e ci salutammo, prima di essere di nuovo inghiottiti dalle tenebre...
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Diario di un Cuore Solitario
General FictionUna raccolta di racconti che parlano d'amore, inteso come incontro tra un uomo e una donna che inevitabilmente lascia il segno in entrambi. AVVERTENZA: Se vi aspettate i teneri fidanzatini, o il "E vissero per sempre felici e contenti" siete corte...