«Corri! Sbrigati, non c'è tempo!» gridava raucamente il colombo. Ali già spiegate e veloci lo avevano portato ad essere un puntino accanto al Sole. Hassen, sfinito dalle mille fatiche e disavventure già superate, cercava di stargli dietro come poteva, sentendo il cuore battere così forte da farne rimbombare i battiti dentro la testa. Rispose: «Aspettami, non ce la faccio più!» e l'altro: «Come no? Questa è la tua vita, non la mia. Stai correndo per te stesso, non per me».
Oramai a chilometri dall'oasi, il vento si sollevava trasportando con sé folate di sabbia sempre più violente. Di fronte a loro, una foschia sempre più spessa, rendeva il cammino poco nitido. L'uomo sempre più esausto e distrutto si copriva la bocca con l'avambraccio ed incominciava a tossire. La polvere che respirava era insopportabile. Logorroico ed impaziente chiedeva: «Siamo arrivati? Io non vedo niente!» ed il piccione: «Come? Ti senti così? Ti senti già nel luogo delle risposte che cerchi? Percepisci già di aver imparato qualcosa???»
e rispose: «No dannazione, non vedo nulla ti ho detto!»
ed il saggio: «E' normale che tu non veda nulla Hassen. La strada verso le risposte non è mai chiara. E tu sei molto lontano dal trovarne una. Devi ancora crescere, devi ancora scoprirti per arrivare a ciò che cerchi. Le mie ali ti aiuteranno ma dovresti cominciare a volare anche tu... Ricorda, la forza di volontà è ciò che permette di superare qualsiasi ostacolo... Chi si ferma è perduto per sempre»
ed Hassen, stufo di frasi a lui incomprensibili: «Risparmiami con queste stronzate! Sono giorni che non mangio! Cof! -lo interruppe un colpo di tosse- cosa diavolo Cof! -e lo interruppe ancora un altro- devo fare di più?!» e continuò a correre senza riuscire quasi a respirare. Ed il piccione, osservandolo con la coda dell'occhio lo fulminò: «Non devi cedere Hassen, respira, corri! Non devi perderti!»
Ma l'uomo era ormai sfinito, quella tosse non gli dava tregua, ormai la polvere del deserto si sollevava sempre più fitta, fitta a tal punto da entrargli nei polmoni e negli occhi, così da farlo lacrimare e soffocare quasi. Perciò con voce roca e stridula rispose: «Dannato uccellaccio, tu ci sei abituato a mangiare tutta questa polvere... Io cosa dovrei... Cof! -lo interruppe un colpo di tosse- fare??? Eh??? Cof, cof, cof!!!» al punto che, stremato, cadde sulle ginocchia e la mano sinistra in avanti, troppo debole per non evitare l'impatto contro il suolo. Precipitò sbilenco, raschiandosi il viso sulla sabbia. Determinato però, spinse con entrambe le braccia e si risollevò in fretta. Zoppicando ad un primo passo, riuscì a riprendere l'equilibrio in quelli successivi. Volse lo sguardo al cielo ma, disorientato, si sentì subito pervadere dal panico. Urlò: «Ehi!» ed in lontananza sentì debole una voce: «Forza!»
Intendendo quale fosse la direzione da cui provenisse la voce del piccione riprese con tutte le sue forze il cammino. Stavolta non riusciva ad andare più in fretta, il vento non lasciava pietà al suo passaggio, spingeva Hassen indietro, attaccandogli i pantaloni alla pelle e lasciandone ogni margine sbattere e tremare quasi da denudarlo. I suoi capelli ormai erano diventati rossastri, la fronte che grondava di sudore si era riempita di granelli, il petto ancor di più. Ma non poteva fermarsi o crollare un'altra volta: avrebbe perso per sempre le tracce della sua guida. Per questo sfidava sempre più la corrente, a tal punto da sollevare un braccio e poi l'altro, formando degli archi all'indietro, gridando: «Argh! Io non mi arrendo!» Ma era fiato inutile perché il vento impetuoso che soffiava non dava alcun segno di volersi attenuare. Lui, prepotente, digrignava sempre di più i denti, finendo per mangiare polvere e sputarne qua e là, il tutto senza essere più capace di fare due passi di fila senza tossire.
Metro dopo metro, dopo una mezz'ora la foschia sembrava finalmente diminuire. Il vento si stava calmando, le sue gambe riacquistavano forza. Quasi con un sorriso vittorioso avanzava, convinto che il peggio se ne fosse finalmente andato. Ormai sicuro di sé richiamò ancora una volta il piccione: «Ehi! Siamo arrivati???»
Restò in ascolto.
Non sentendo alcuna risposta ripeté: «Ehi! Uccellaccio del malaugurio, siamo arrivati??? Mi senti???» ma l'unico interlocutore mai stanco di esprimersi era il vento. Lui che si era impegnato così tanto a soffiare ed imperversare contro Hassen, era l'unica fonte di suono nei paraggi. Disperato replicò ancora: «Sono Hassen! Non dirmi che te la sei data a gambe levate! Dove diavolo sei?!?» ma niente.
Nulla.
Niente di niente.
Il piccione era stato più veloce di Hassen. Sicuro di sé disse: «Ah, vada al diavolo. Troverò il villaggio da solo. Posso farcela, devo. Devo farlo per lei. Devo per Lei e per nostro figlio»
Oramai era notte, il Sole era già tramontato e con esso la tempesta di sabbia si era pressoché annullata. Tuttavia qualcosa era rimasto uguale. La foschia all'orizzonte che precedentemente era diminuita, ora era riapparsa. Somigliava a della nebbia, cosa dannatamente strana da vedersi in un deserto. Eppure, questo alone che si mostrava difronte al cammino, restava a mezz'aria, lugubre. Più l'uomo andava avanti, più se la sentiva addosso, gelida e spessa. Tutto ciò diede via a continui brividi di freddo e starnuti. Il suo passo era divenuto lentissimo. Teneva le braccia attorno al busto, stringendosi e sfregandosele addosso nel tentativo di scaldarsi. Mentre continuava quella strada senza fine, iniziava a domandarsi: «Dove sto andando?» oppure «Quanto dista il villaggio? Cammino ormai da un giorno intero...» ed ancora: «Che ne è stato del piccione? Come cazzo faccio a trovare la strada senza di lui? Cristo, eppure l'ho seguito...»
Ormai si sentiva perso e più proseguiva, più era buio. E più era buio, più si rassegnava all'idea che sarebbe morto proprio quella notte. Nessuna luce poteva essere scorta all'orizzonte né in tutto il cammino era stato possibile notare uno specchio d'acqua anche minuscolo o una misera traccia di vegetazione. Neppure una carcassa, un pezzo di legno, qualsiasi cosa potesse tornare utile per accendere un fuoco... Niente.
Ma non si rassegnava, del resto non poteva. Continuava fiero, o forse folle, il suo cammino, nella consapevolezza che se si fosse fermato sarebbe certamente morto di freddo.I denti battevano, i muscoli cominciavano a far male. Non riusciva più a vedere niente difronte a sé. Neppure la foschia, data la sua intensità, poteva minimamente essere scorta. Copriva persino le stelle, nessuna luce gli avrebbe potuto far capire dove stesse andando. Il vuoto davanti a sé lo divorava, ormai non sentiva più le gambe, gli sembrava di camminare sul nulla. Neppure labbra e pelle del viso riuscivano più a percepire l'aria che le sfiorasse. Piuttosto il freddo le spaccava come un coltello, regalando all'uomo un dolore sempre più grande. Sembrava fosse finita.
Mosso da un «Morirò combattendo», non si fermava e mai lo avrebbe fatto. E nel suo sogno folle dove un uccello piovuto dal cielo che mangiava sabbia gli aveva parlato ed addirittura dato un nome, nonché indicato la strada verso un villaggio sconosciuto, lui non aveva altra scelta... Doveva crederci.Portando avanti una gamba e poi l'altra con un moto quasi meccanico, urtò il piede contro qualcosa.
Cadde.
Nel tentativo di non sbattere il naso sulla sabbia mise le mani avanti. Stavolta ebbe fortuna ma restò sconcertato. Cadendo, le sue mani erano sprofondate in qualcosa di particolare, qualcosa che non tornava ai conti fatti. Fra le sue dita sentiva dei fili, fili morbidi. Nella più profonda oscurità cercò ripetutamente di capire cosa fossero per poi giungere ad un'idea. Vi avvicinò il muso ed inspirando appena ne ricercò l'odore. Bastò un solo respiro per capire che quella su cui affondasse le mani fosse erba. Controllandosi attorno e cercando di capire cosa fosse successo, toccò con l'indice una lastra di pietra. Intuì di averci inciampato sopra, probabilmente era un gradino.
Ebbene sì, qualcosa separava la sabbia dall'erba. Curioso e ricaricatosi finalmente di speranza, scelse di andare lungo quel sentiero per scoprire dove lo avrebbe portato. Pensò: «Ci siamo, è naturale che un villaggio non possa ergersi su un deserto... Dev'esserci del terreno fertile a nutrire la gente e dissetarla... Questa dev'essere una zona fertile, non c'è dubbio... Qua dev'esserci terra, dev'esserci acqua, dev'esserci un luogo adatto alla vita... Non vi è altra risposta»Proseguendo, finalmente i suoi occhi furono capaci di vedere qualcosa. C'era una luce, molto sbiadita e confusa, una luce di cui era impossibile intendere la fonte.
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L'oasi di rabbia
FantasyL'oasi di rabbia racconta la storia di ognuno di noi in chiave allegorica e fantasiosa. Il protagonista sei tu ed ancora non lo sai. Tante volte ci ritroviamo come persi, distaccati dalla realtà, come in un'oasi, un posto apparentemente privo di spe...