Un piccione passeggiava di qua e di là, in cerca di briciole con cui nutrirsi. Andava, avanti e indietro, con le sue zampette violacee ed il corpo bianco come la pace, beccando ovunque, ma ingerendo soltanto sassi. Errando per quel vicolo illuminato da un Sole fortissimo, scorse il corpo di uno sventurato per terra. Avvicinandosi, quatto quatto, cercò di non destare attenzione e non svegliare questo sconosciuto. Sempre più vicino, quanto lento, arrivò davanti al viso di costui. Pensando fra sé e sé disse:
«Hassen.»
Rapito da un impetuoso desiderio di cibarsene, quasi convinto che il corpo appartenesse ad un cadavere, infilzò il becco sul braccio dell'uomo. Questi, reagendo al dolore, si sollevò da terra per mettersi seduto e tentare di difendersi. Il piccione, spaventato, spiccò il volo, perdendo, lontano, alcune delle sue bianche piume per terra. L'uomo, arrabbiato disse: «Va via, bestiaccia infame!!!»
Qualche battito d'ali bastò all'animale per non essere più visibile.
Il nostro senza nome, strofinandosi la mano sul volto, si tirò su con una gamba e poi con l'altra.
Notò di non avere più nessuna ferita.
Stranamente, tutto il dolore provato fino a qualche tempo prima era svanito. Non sapeva spiegarsi come fosse guarito durante il sonno e ricordava in maniera sbiadita il perché fosse lì. Strofinandosi gli occhi, stavolta con entrambe le mani, si diresse verso l'uscita dal vicolo. Riusciva persino a stare perfettamente dritto. Inspiegabilmente nemmeno la costola era più rotta.
Camminando, con passo inizialmente lento e via via più spedito, giunse a qualcosa che prima non aveva notato: un enorme e lugubre cancello nero. Aldilà di esso riusciva a intravedere la strada che aveva percorso prima di svenire, ma non sapeva spiegare a sé stesso come mai non rammentasse questo enorme ostacolo. Stringendo due delle sbarre lo tirò avanti e indietro, ma senza smuoverlo di un solo centimetro. Purtroppo non c'era modo di aprirlo, né di sfondarlo, tantomeno di scavalcarlo, era troppo alto.
Serviva una chiave.
Cominciò ad urlare ai passanti aldilà di esso:
«Ehi, voi là, fatemi uscire dannazione!»
A tradimento, d'un tratto, fu colto da un dolore atroce, focalizzatosi al centro della sua testa, intenso come una pugnalata, tanto forte da fargli desiderare la morte. Contorcendosi e piegandosi verso il basso, finì inchinato dinnanzi al cancello, che ancora teneva con una mano. Istintivamente, quasi volesse prendersi la testa fra le mani e staccarla, mollò la presa dalle due sbarre, spostando le proprie mani sul proprio cranio.
Così, senza motivo apparente, il dolore se ne andò.
Dubbioso fissò il cancello, per dedicarsi poi a delle risa... Risa fortemente isteriche.
Poi disse: «Dev'essere uno scherzo... Non è possibile»
Facendo qualche passo indietro pensò:
«Beh, il vicolo avrà pure un'uscita... Basta andare dall'altra.»
Con le mani in tasca ed il viso chino, prese un respiro profondo e si voltò indietro, dirigendosi dalla parte opposta al cancello. Sembrava che quel vicolo oscuro proseguisse all'angolo, con un altro viottolo sulla sinistra, ma lui non sapeva di certo dove esso conducesse. Camminando lentamente, accompagnato dal rimbombo dei talloni sul marciapiede, arrivò finalmente al termine della stradina. Imboccò la sinistra, ma dopo qualche passo si fermò incredulo a guardarsi avanti. Tolse le mani di tasca e le lasciò cadere lungo i fianchi. Aprì lievemente la bocca, sentendo il cuore battere più veloce che mai. Difronte alla sua vista, il nuovo viottolo non aveva fine. Portava ad un'enorme distesa di sabbia: dune alte e sinuose, che proseguivano fino alla fine dell'orizzonte.
Alzò gli occhi verso gli edifici attorno alla via, gridando: «Ehi!!! Ma che diavolo di scherzo è questo?! C'è qualcuno???»
con un secondo sguardo però, si accorse che le case attorno erano abbandonate. Piccioni, ovunque, passeggiavano lungo quelli che un tempo dovevano essere balconi, ora frantumati, incompleti, sporgenze in rovina.
Fu rapito dal panico.
Cominciò a correre indietro, con tutte le energie che gli restassero, fino ad arrivare al cancello dal quale era venuto. Batté i pugni su di esso, strillando: «Qualcuno mi aiuti!!! Fatemi uscire!!!» ma dietro a quel cancello ormai non vi era più nulla, solo sabbia. Iroso, ricolmo di collera, caricò un calcio, e lo scagliò contro il metallo nero che aveva di fronte. Questo, come carta, si accartocciò proprio nel punto in cui il colpo era stato inferto. Seguì un rumore metallico ed un tonfo sonoro di polveri che si sollevavano. Alzò le braccia, si coprì gli occhi e si accorse che il cancello era caduto. Con qualche colpo di tosse ma felice, trionfante di averlo distrutto, lo scavalcò. La fretta di correre era tanta, così tanta da fargli infilare il piede tra due delle tante sbarre. Incastrato e lanciato dalla velocità che aveva preso, inciampò, sbattendo il naso contro la lastra nera di acciaio. Ma non si fermò, divincolandosi con la gamba, tentò in tutti i modi di staccare il piede da quello spazio maledetto.
Strattone dopo strattone, in una lotta accesa dal desiderio di sbrigarsi, ebbe facilmente la meglio. Tornò libero da quel peso e, risollevandosi in piedi, riprese la corsa che aveva interrotto. Stremato, zoppicando con entrambi i piedi fra un passo e l'altro ed i gomiti alti, cercava di farsi forza per uscire definitivamente da quell'incubo. Tuttavia, i suoi passi affondavano nella sabbia già da diversi metri, e quella che lui tentava non era altro che una corsa disperata, inutile. Fermandosi, dopo decine di metri, esausto nel corpo e nella mente, si inginocchiò alla realtà che gli si presentava davanti, toccando la terra con le ginocchia ed i piedi, accovacciandosi in lacrime. Era disperato, non sapeva che fare, né cosa pensare. La realtà che in quella giornata gli si presentava davanti, era una realtà nuova, nulla di ciò che conoscesse, nonostante essa, in verità, non fosse altro che un'altra giornata, che, come tante, era sommersa dallo stress e dall'odio, dalla rabbia. A terra, sfinito, si stese sulla sabbia, fino a rotolarsi appena e ritrovarsi col petto verso il cielo. Disse a voce bassa, preso in viso da una smorfia di tristezza e dolore:
«Perché... Perché... Perché... Signore... Perché...»
Chiuse gli occhi, distrutto e logorato dalla fatica.
Ma li tenne così per poco...
Qualche secondo e li riaprì.
Nuovamente si rialzò, rivolto verso la direzione entro cui un tempo si trovavano gli edifici attorno al vicolo.
Stavolta però, stringendo gli occhi per accertarsene, non vide nulla. L'unica cosa, appena visibile, era il cancello nero, sprofondato appena, nella sabbia.
Oramai non c'era speranza.
Capì che la sua strada era segnata, e speranzoso di fortuna, si diresse nella direzione opposta.
Il Sole picchiava sulle sue spalle, allorché fu costretto, per il troppo caldo, a togliersi la giacca. Afferrandola su un lato, la tirò via, lasciandola cadere sul deserto. Continuò a camminare, e camminare, e camminare. Non sfruttò neppure un minuto per riposarsi o rilassarsi. Camminò senza fermarsi, nonostante le gambe non reggessero. Grondante e fradicio di sudore, si strappò via di dosso anche la camicia. La staccò con le unghie, rompendo i bottoni, e lanciandola per terra. Ora era solo un uomo, quasi nudo, nel deserto, lontano da tutto e tutti. Ovunque egli voltasse lo sguardo, non c'era niente. Attorno a lui giacevano solo quantità ingenti di sabbia, una sabbia rossastra, strana, che non perdeva il suo colore acceso neppure al tramontar del Sole.
Col passare delle ore, arrivò dunque la notte, mentre le gambe del nostro senza nome non si fermavano, difronte a niente.
Anche se, in verità, neppur volendo, ci sarebbe stato niente dinnanzi a cui bloccarsi.
E lui, ogni qualvolta sentisse cedere le proprie ginocchia, corrugava la fronte, arrabbiandosi, stringendo i denti ed i pugni. Nulla lo poteva fermare, la volontà era più forte del fisico. Ogni ostacolo si piegava dinnanzi a lui, e ne aveva già dato dimostrazione.
Passò persino la notte, insensibile al freddo, avvezzo alla sofferenza di ogni tipo, senza rinunciare ad un solo passo.
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L'oasi di rabbia
FantasiL'oasi di rabbia racconta la storia di ognuno di noi in chiave allegorica e fantasiosa. Il protagonista sei tu ed ancora non lo sai. Tante volte ci ritroviamo come persi, distaccati dalla realtà, come in un'oasi, un posto apparentemente privo di spe...