capitolo 7

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                                                                      Capitolo 7

                      "passato e  presente,

   sono entrambi forse presenti nel futuro.

        E il futuro è contenuto nel passato.

   Se tutto il tempo è eternamente presente

                   tutto il tempo è irredimibile

Ciò che sarebbe potuto essere è un'astrazione

      rimanendo una possibilità perpetua.

          Solo in un mondo di speculazione

 Ciò che sarebbe potuto essere e ciò che è               stato,

           vanno verso una fine, che è sempre il presente.

           Passi echeggiano nella memoria

             Giù per quel passaggio che non abbiamo preso.

            Verso la porta che non abbiamo mai aperto,

                               nel roseto."

Burnt norton, poesia di Thomas Stearns Eliot. La leggevo ogni mattina, come fosse una preghiera. Era speranza, nel mio caso..

La poesia era incorniciata in una di quelle cornici che danno importanza, a ciò che contengono. Bordi ricamati come fossero pizzo e di color bianco opaco. Era uno dei pochi ricordi di Catherine, che non sono riusciti a strapparmi.. quella poesia stava impressa nella mia mente da un tempo infinito: non ricordavo quando lei me la lesse per la prima volta. Solo che il giorno in cui la lasciai, trovai il biglietto sul tavolo, con su scritta essa. Intuivo il fatto di averla già sentita, e così era. Dopo la sua morte la feci incorniciare ingrandendola, mantenendo comunque la graziosa scrittura di Catherine.

Sorrisi, guardando la perfezione delle parole di quella poesia.. era incredibile quanto esse mi avessero aiutato nel superare la perdita, il mio senso di colpa, le mie tentazioni. Quel che faceva Catherine giornalmente, del resto.

Non mi spingerei a dire che sto ancora tanto male, per la sua morte. Solo mi manca, e tanto. Ho paura di assimilare il dolore, e dimenticarmi tutto, credo. È per questo, penso anche, che io non mi sia fatto avanti, con Mia. Ho avuto tante occasioni... occasioni a dir poco perfette, in cui Mia aveva bisogno di me, non solo da buon amico, e io mi sono fatto indietro, facendo finta di non capire.

Erano le nove, ma non avrei iniziato prima delle undici a lavoro. Scesi in cucina per far colazione con Mia..

- Mia?- non era in terrazza, dato l'orario tardo: alle nove sarebbe riuscita a fotografare il disordine e la rabbia della sua amata città, che a me sembrava spegnersi giorno dopo giorno.

Non era neanche in camera, non era in casa.. non pensai a nulla di preoccupante; aveva più di diciott'anni, non potevo dirle dove stare alle nove.

Bevvi il mio caffè, presi dei biscotti e iniziai a salire per prepararmi, ma decisi di chiamare comunque Mia.

- Pronto?-

- Mia!-

- Si John, sono in città, stavo prendendo qualcosa da mangiare, lo porto a casa tra venti minuti, e possiamo andare a lavoro.- disse senza curarsi della mia preoccupazione

- Ahm, si.. okay.

- Va bene, ci vediamo tra poco.

Mi tranquillizzai, anche se non sapevo riconoscere con certezza la mia preoccupazione. Non era una bambina, ma nutrivo per tutte le persone più care questo bisogno di proteggerle. Come se fosse un mio dovere, e io trattavo da tale questa "sensazione".

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