Prologo

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È strano come sin dalla più tenera età ti rendi conto di essere diversa,di non uniformarti al canone di "normalità" che la società di oggi ci impone,di non ridere per gli stessi motivi,di non pensare nella stessa direzione , di essere semplicemente "differenti" dalle masse di stupidi vestiti tutti uguali e delle ragazze con unghie e capelli costantemente laccati.
È questa la convinzione che ora mai anima le mie giornate ,la consapevolezza di essere l'opposto dei ragazzi moderni e l'obbligo di sforzarmi di sfoggiare una minima parvenza di normalità.
Oggi sembro una ragazza alquanto comune, la solita sedicenne banale che frequenta la scuola ed ha degli amici per compagnia,una famiglia alle spalle e una vita alquanto statica che alcuni amanti delle sbronze e "dei divertimenti" definirebbero noiosa.
Molti non sanno però che sin dall'età di 4anni io sono in grado di vedere cose che altri normodotati non vedono,essenzialmente esseri neri fatti di ombre che vagano per la città all'insaputa di tutto e di tutti , uomini e donne che in piena notte urlano sotto la mia finestra o che mi inseguono mentre vado a scuola e soprattutto tenebre, abissi neri che intravedo oramai ovunque vado sia si tratti di un semplice supermercato o della scialba casa di un mio lontano parente. Come mi sono resa conto di essere diversa? All'età di 4 anni avevo conosciuto una bambina che definivo semplicemente "kc" incontrata mentre mi trovavo al parchetto con i miei genitori. Sapete le solite amicizie nate all'interno del tubo di legno o prima di catapultarsi giù per lo scivolo , un rapporto semplice e innocente che in quel momento mi era sembrato bellissimo.
Kc era una bambina mora, con grandi occhi azzurri che io trovavo mozzafiato ,con una voce sottile ma piacevole che non ti stanchi mai di ascoltare.Aveva uno strano accento ,cosa che realizzai solamente alcuni anni dopo, come se venisse da città russe o bulgare misto ad un po' di inglese colto come se contemporaneamente provenisse da una famiglia altolocata di Londra. Appena conosciuta non mi soffermai sulla natura delle sue origini ma riflettei solamente su quanto fosse bello ascoltarla parlare e così ,nel giro di pochi minuti ,eravamo diventate amiche . Ricordo ancora ora Che la prima cosa che mi disse fu un semplice "attenta" con l'intento di avvertirmi del fatto che la scala di legno dell'impalcatura era tremolante e ricordo ancora la mia sorpresa nel sentire che una sconosciuta mai vista prima mi avesse rivolto la parola.D'altronde non capendo a cosa si riferisse ribattei con un semplice "cosa dici?"facendo forse anche la figura dell'imbecille fissandola con espressione corrucciata ,in quel momento vedendo la mia reazione scoppió in una forte risata prendendomi per le spalle e girandomi verso la scaletta cominciando un discorso alquanto complesso su come venissero realizzati i giochi di legno e delle condizioni in cui versavano se lasciati troppo tempo alla mercè del vento e della pioggia .Si trattò di una conversazione piuttosto surreale e ammetto di non averci capito assolutamente nulla avendo solo 4 anni perciò mi limitai ad annuire e a dirigermi verso lo scivolo per evitare di prendere le scale cosa che continuai a fare per il resto della mia infanzia . Nel momento in cui mi allontanai ,la bimba mi afferrò cn tenerezza l'avambraccio e sfoggiando un sorrisone disse che adorava la mia maglietta e che le lettere K e C erano le sue preferite in tutto l'alfabeto.A quel punto sorrisi stirandomi la maglia fiera del mio acquisto (ero riuscita ad impressionare una bambina così intelligente 😏) e pochi secondi dopo rialzai il capo per chiederle il suo nome ,ma KC non c'era più ,ero completamente sola in cima all'impalcatura e pure guardandomi intorno non trovai traccia nè della mia nuova amica nè di altri bambini nel parco ,era tutto desolato.
Un po' offesa perché KC non mi aveva salutato tornai dai miei genitori ai quali raccontai della mia nuova amica e che si mostrarono contenti di sapere che mi ero divertita ,così tornammo a casa :io fantasticando sulla vita della strana bambina e i miei parlando del più e del meno raccontandosi di un ragazzino che si era rotto il polso al parco perché le scalette di legno avevano ceduto sotto il suo peso.

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