Capitolo 4

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"Tra dieci minuti sono lì, arrivo" urlai con foga a Kevin. Queste cene in famiglia mi mettevano un'ansia smisurata, la spesa da fare, la casa da riordinare, gli amici da chiamare tutto mi metteva sotto pressione. Arrivai quasi correndo davanti casa con sacchi di plastica appesi ovunque, suonai il campanello e pregai che Kevin non ci mettesse i suoi soliti dieci minuti per venire ad aprire la porta, come al solito, dovetti suonare il campanello quasi quattro volte prima di poter entrare in casa e abbandonare tutti i sacchetti al loro destino. Poi cominciai ad arraffare gli oggetti sparsi in disordine sul tavolo e lanciarli nella camera del mio sfortunato coinquilino. Per fortuna,Kevin aveva superato le mie aspettative, aveva messo in ordine tutto il soggiorno, rifatto i letti e acceso il forno. Non restava che cominciare a cucinare. Ci tengo a sottolineare che non sono mai stata una gran cuoca, di solito se cucino è perchè ho fame, non per il piacere di cucinare qualcosa di buono. 

Cominciai ad aprire tutti i sacchetti contenenti il necessario per rendere la cena deliziosa.Cominciai col cucinare il piatto più difficile , quello che mi ha sempre causato problemi,disastri e complicazioni, l'arrosto ripieno ,un classico.

Lo presi con foga e lo sbattei sul tagliere ,e solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse grosso e di quanto facesse impressione. Mi legai i capelli in una coda disordinata ,e misi per la prima volta il mio grembiule nero corvino,regalo di mio padre. Mi lavai le mani, e cominciai a lavorare cercando di tirare fuori tutto il mio ottimismo.

Dopo circa un'ora l'arrosto con patate era quasi pronto,nel frattempo cominciai a lavorare sul resto, tranne il dolce,a  quello ci pensava Kevin,l'esperto in materia. Dopo un'altra buona mezz'ora tutto era pronto : la tavola apparecchiata, la cena pronta, la casa a posto... solo una cosa mancava....

Andai davanti l'armadio e spalancai le ante , rivelando una quantità smisurata di vestiti. Cominciai a rovistare fra gonne, pantaloni e magliette di tutte le tinte. Ogni capo che non mi andava a genio finiva il suo giro sul pavimento della mia camera e ai meno fortunati, poteva capitare anche di finire nell'antro buio e polveroso che era il sotto del mio letto. Dal mucchio, riuscii a tirare fuori l'unica cosa che a distanza di anni non mi aveva mai stancato: la mia camicia bianca, non aveva niente di speciale, era solo una camicia bianca come molte altre, semplice, ma perfetta nella sua semplicità. Decisi di abbinarci un paio di pantaloni neri, ma dato che i miei preferiti erano a lavare, optai per un paio di jeans comunque neri a vita alta. Come scarpe, misi un paio di stivaletti bassi neri con un accenno di tacco, ero pronta. Andai in bagno, dove misi attorno al collo una fascetta nera di velluto, tuttora il nome non mi viene in mente, choker, koker, bah. Riguardo i capelli, bastò fare una coda neanche troppo alta, un po' di mascara ed ero pronta. 

Quando tornai in salotto, papà era già arrivato, stava parlando amabilmente con Kevin che mi diede l'impressione di trovarsi più a suo agio col mio vecchio che con me. Li raggiunsi con un sorriso che partiva da un'orecchio e arrivava all'altro. "Tesoro va tutto bene?" mi chiese mio padre, okay, con il sorriso avevo decisamente esagerato, "sì,sì papà, non preoccuparti, sono solo un po' stanca". Salutai mia nonna, che solo per un pranzo era venuta dal Missouri, era tanto che non la vedevo, mia zia, che a quel tempo viveva nella nostra stessa città assieme a suo marito e ai gemelli, due tornadi di 5 anni, che quel giorno sembravano se possibile più agitati del solito, e il loro cane, Cane, già, il loro cane  si chiamava cane, bella fantasia si potrebbe dire, ma il nome l'avevano scelto i bambini appena nati, e da lì era rimasto tale. Ci sedemmo tutti a tavola. Andai in cucina a prendere l'arrosto, okay, ad essere sinceri l'aspetto esteriore non somigliava affatto alla foto sul mio libro di cucina, "speriamo che almeno il sapore ci azzecchi qualcosa" sperai fra me e me, tutte le donne della mia famiglia erano cuoche straordinariamente abili, io ero l'unica senza il dono, ma speravo di nasconderlo seguendo alla lettera tutti i suggerimenti che la mia bibbia della cucina poteva donarmi.

 Con il mio arrosto ben nascosto sotto la cloche, mi avviai verso i miei familiari affamati, un po' incerta alzai il coperchio e subito andai a cercare lo sguardo di mia nonna, che prima di fare qualunque cosa, ispezionò la mia creazione da ogni possibile angolazione, quando finalmente mi guardò, non mi sembrò troppo contrariata, quindi potei tirare un sospiro di sollievo.

 Il resto del pranzo trascorse in maniera abbastanza tranquilla, e devo ammettere che passare un pomeriggio con i miei parenti, mi aiutò a scordare anche se per poco, tutti gli avvenimenti allucinanti che si erano verificati in quelle due settimane. Ma una cosa continuò a tormentarmi,quel biglietto, che non era ancora stato aperto. La voglia di conoscerne il contenuto mi faceva impazzire, la notte stavo sveglia le ore a fantasticare su cosa quel pezzetto di carta potesse voler dirmi. 

Fu quella sera, dopo che tutti se ne furono andati che scoppiai. Con un scusa corsi in camera lasciando il povero Kevin solo fra un mare di piatti sporchi,sbattei la porta e con uno scatto aprii il cassetto della scrivania dove erano preservate tutte le cose importanti: i documenti, la patente, la copia delle chiavi di casa,una foto della mia famiglia, il ricordo di un viaggio a Parigi,  un anello d'oro, la mia prima lettera d'amore, la mia foto assieme a Violet, un'amica, e quel biglietto, che mi guardava dal fondo del cassetto quasi come mi volesse dire:"Ely, sono qui, non sei curiosa di sapere cosa ho da dirti? dai, aprimi, così lo scopriremo insieme". Allungai la mano verso il pezzetto di carta, e con una botta del dorso della mano, spostai tutti i ricordi di una vita ai lati del cassetto, come se non significassero niente, come se l'unica cosa che avesse importanza in quel momento, fosse quel biglietto che urlava il mio nome.

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