Capitolo 5 - Mesquite Creek

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L'Arizona non era decisamente un bel posto. Faceva caldo, tanto caldo, e la gente sorrideva per strada, salutando chiunque incontrasse, pur magari non conoscendolo. Ogni tre secondi, una vecchietta si avvicinava a chiedere ai turisti se avessero bisogno di informazioni. Ma la cosa peggiore era la terra rossa, che albergava ovunque. I due ragazzi si guardavano intorno con fare circospetto. Phoenix era enorme, una città stupenda nel bel mezzo del deserto e dei villaggi dispersi dell'Arizona.

«Credo che la stazione dei pullman sia oltre quella strada,» disse Trevor, indicando una viuzza che intersecava il grande viale principale davanti alla stazione del treno. Avevano volato fino a Sky Harbor, poi avevano preso il treno fino a quella che doveva essere una stazione degli autobus. Faceva troppo caldo, per essere pieno inverno. Il sole splendeva, alto, in cielo. I due avanzarono sino alla destinazione segnata sulla mappa del moro, raggiungendo un piccolo spiazzo dove sostavano i mezzi di trasporto più voluminosi, tra i quali, quattro pullman. Cercarono quello con scritto "46-Mesquite Creek". Era l'ultimo della fila. Era giallo e vecchio. Liam salì, seguito da Trevor. Il guidatore era un uomo di corporatura abbondante. Questi si voltò.

«Ragazzi il biglietto è di otto dollari a persona,» disse, col classico accento del sud. Liam lo fissava stranito. Per lui era come se avesse detto "ggzz bgltt otto dlrr prsn". Il biondo si chiedeva se anche Erik avesse quell'accento incomprensibile e riuscisse, in qualche modo, a mascherarlo. Trevor superò Liam, pagando con venti dollari l'autista e prendendo il resto e i due tagliandi rosa. Liam stava ancora fissando male l'uomo, quando Trev lo trascinò via prendendolo per il braccio. Il moro scelse due posti al centro e lasciò infilare Liam per primo, sapeva che amava il lato finestrino. Lui si sedette più interno.

«Mi fa un cazzo di male la testa,» dichiarò il moro. Liam si voltò a guardarlo. Aveva gli occhi offuscati e un po' rossi.

«Hai preso l'aspirina?» domandò, fissandolo. Trevor scosse la testa.

«Non le ho trovate,» confessò. Liam scoppiò a ridere.

«Stanno nel mobile della cucina. La tua donna me le fregava, così le ho nascoste,» confessò Liam, scrollandosi le spalle ad un'occhiataccia dell'altro.

Il viaggio in pullman durò circa quattro lunghissime e pesantissime ore. Quando l'automezzo sfrecciava in autostrada, Liam poteva scorgere lo stupendo paesaggio che si stendeva sotto i propri occhi: acri e acri di terreno, miglia desertiche, terriccio rosso e tanta natura. Il cielo, limpido, sfumava perfettamente il colore predominante dell'Arizona. Dopotutto, non era così brutta.

Arrivarono che erano quasi le cinque di pomeriggio. In pullman, Trev dormì come un angioletto, a differenza di Liam che rimase sveglio e in costante ansia. Voleva rivedere Erik. Appena scesero dal bus, si guardarono attorno studiando Mesquite Creek. La cittadina era schifosamente piccola, e sembrava l'ambientazione di GTA San Andreas. Faceva caldo, e intorno a loro c'erano una trentina di villette, una chiesa, un negozio, un bar e una scuola. I due si diressero, in un accordo silenzioso, al bar. Entrarono nella struttura, trovandola vuota. Vi era solo il barista, seduto dietro al bancone, che giocava a candy crush sul suo cellulare. Appena li vide, spalancò gli occhi.

«Turisti, immagino!» disse, spegnendo il telefono. Aveva il classico accento quasi incomprensibile del sud. Il bar era piccolo ma grazioso e ben tenuto.

«Diciamo di sì,» asserì Liam, avanzando e sedendosi al bancone. Trevor lo imitò.

«Due caffè per favore. Ah, sai dove posso comprare un'aspirina?» chiese il biondo. Il barista lo guardò sorridendo. Era un bel ragazzo, sarà stato sui 18 anni, con i capelli rossi e gli occhi verdi. Sembrava abbastanza prestante dal punto di vista fisico. Il grembiule gli donava, aderendo perfettamente ai muscoli tonici dell'addome.

«Fatto baldoria ieri sera, eh? Di dove siete? Sembrate inglesi,» rispose, voltandosi a fare il caffè. Liam e Trevor si scambiarono un'occhiata.

«Perché sembreremmo inglesi?» chiese il moro, che era rimasto zitto fino a quel momento. L'altro scrollò le spalle.

«Forse l'accento, o il portamento. Non ho mai visto un inglese. Dicono che siano perfettini e che non dicano "cazzo",» disse il barista, porgendogli due espressi e uno scontrino. Liam sorrise.

«Cazzo,» dichiarò, guardando il barista. Questi scoppiò a ridere, Trevor scosse la testa.

«Non siete inglesi, vero? Qui a Mesquite non si vedono turisti. Cioè, non si vede nessuno. Sono tutti vecchi,» spiegò il giovane. Liam annuì.

«L'aspirina,» gli ricordò. L'altro si sbatté una mano in fronte.

«Sì, scusa. Al negozio di fronte vendono di tutto,» affermò, indicando fuori. Liam guardò Trev.

«Torno subito,» gli disse, salutando il barista con un cenno del capo e uscendo. Attraversò la strada ed entrò nel negozietto. Appena aprì la porta, una donna, sulla quarantina, con i capelli biondi e un sorriso stampato in volto, gli sorrise.

«Buongiorno e benvenuto da Mesqui-shop!» urlò la donna, facendolo quasi sobbalzare. Liam sorrise di rimando e avanzò tra gli scaffali. Il negozio non era grande, ma aveva un sacco di roba di ogni tipo, dal cibo, agli utensili e via dicendo. Liam si avvicinò allo scaffale dei medicinali, quando sentì il campanello della porta che si azionava. Qualcuno era entrato. La donna non gli riservò l'accoglienza che aveva espresso al biondo, bensì dava l'impressione di conoscerlo.

«Will, ciao. Tutto bene a casa?» chiese la donna.

«Diciamo di sì,» rispose l'altro. Il sangue si gelò nelle vene di Liam. Quella voce... sbirciò dallo scaffale, vedendo dei capelli scuri e una corporatura massiccia. Il cuore gli perse un battito. Se non era Erik, era la sua fotocopia. Poi si voltò, non riusciva a scorgere il biondo, che invece lo fissava da dietro una confezione di assorbenti (coincidenze?). Non era decisamente Erik, era troppo... una versione più grande di lui. Poi capì. Suo fratello, quello che aveva lasciato casa da piccolo. Cosa ci faceva a Mesquite Creek? Liam si avvicinò, afferrando le asprine e spostandosi. Appena L'altro fu dietro l'angolo, lui si precipitò alla cassa.

«Come mai qui a Mesquite?» chiese la cassiera, battendo le medicine. Liam aveva già venti dollari in mano.

«Scusi ma vado di fretta. Grazie,» disse, prendendo le aspirine e uscendo dal negozio a razzo. Prima di allontanarsi sentì la cassiera chiamarlo per dargli il resto, ma Liam non aveva tempo. Aprì la porta del bar e Trevor lo guardò corrucciato.

«Trev, dobbiamo andare,» intimò, avvicinandosi. Gli lanciò le asprine e afferrò un bicchiere dal bancone. Superò il divisorio e lo riempì d'acqua corrente, poi lo porse all'amico. Il barista lo guardava storto. Trevor non se lo fece ripetere due volte: ingoiò la pastiglia bevendo, poi Liam sorrise al cameriere, lanciandogli dieci dollari.

«Tieni pure il resto, arrivederci, rosso,» gli disse, uscendo dalla porta. Il barista rise, ricambiando il saluto e ringraziandolo per la mancia.

«Che cazzo succede?» domandò il moro. Liam si limitò a indicare l'uomo che stava uscendo dal negozio l'altro capì immediatamente. William Greynolds imboccò un paio di stradine in salita sulla destra del centro di Mesquite Creek, e i due, prontamente, lo seguirono. William si fermò dinnanzi ad una villetta grande e molto vecchia, con l'insegna "Greynolds" sulla porta. Entrò e richiuse la porta. I due fissarono lo stabile, poi si scambiarono un'occhiata fugace. Era ora di entrare, e scoprire cosa nascondeva la bizzarra famiglia Greynolds.

Endless Ice (Trilogy of Secrets, 2)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora