CAPITOLO V

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«Questo è il risultato, vedi?» domando, alla fine dell'ennesima equazione.

Sono chiuso in camera con Damian da quasi trentatré minuti.

I trentatré minuti più lunghi della mia vita.

Non faccio altro che respirare tabacco, menta e Calvin Klein. Gli occhi a stento riescono a trattenersi sul foglio senza salire sullo splendido volto di Damian e ho le guance rosse come se avessi appena corso i cinque chilometri.

Non so se riuscirò a sopravvivere alla giornata.

«Sei libero stasera?»

COSA? COSA? COSA?

«Cosa?» deglutisco e, finalmente, dopo trentaquattro minuti, alzo lo sguardo sul suo.

«Sei libero stasera?» domanda, ancora.

Calma Oliver, è una domanda di routine anche tra gli etero.

«Ehm sì.» cazzo «No. Non sono libero.» mi riprendo subito.

Damian inarca un sopracciglio. Dio cosa gli farei. Siamo troppo vicini, mi alzo con nonchalance per aprire la finestra.

«Puoi fumare, se vuoi.» dico la prima cosa che mi passa per la testa.

Lui sorride. Io lo fisso. Si alza in piedi e mi raggiunge, prendendo nel tragitto una Marlboro e tirandola fuori dal pacchetto direttamente coi denti, per poi prendere uno di quegli accendini vecchio stile, cromati, e accendere la sua cicca.

Non sono mai stato tanto affascinato da una sigaretta come adesso.

Damian poggia il sedere sul bordo della finestra e dà un tiro, voltandosi di lato per osservarmi. Siamo praticamente alti uguali, ma mi sento piccolissimo.

«Betty?» mi domanda.

Non capisco.

«Betty?» chiedo di rimando.

«Uscirai con Betty?»

«Oh per carità, no!» dico, è più forte di me.

«Esco con Matt.» continuo, non so perché lo sto dicendo.

Lui mi fissa, non riesco a capire la sua espressione.

«Matt?» sembriamo un disco rotto.

Faccio spallucce. Mi sento intimidito e, peggio, non capisco perché mi giustifico.

«Chi è Matt?»

«Facciamo matematica insieme.»

Damian dà un altro tiro alla sigaretta e poi la spegne sul bordo esterno della finestra, gettandola, infine, nella pattumiera della mia stanza.

Rimane silente, mi dà le spalle e inizia a prendere le sue cose.

«Cosa fai?» domando, stranito.

«Vado a casa.» mormora.

Io mi avvicino. So che non dovrei ma, come se non riuscissi a controllare i miei stessi movimenti, lo prendo per il gomito.

«Ci-ci sono ancora un sacco di esercizi da fare.» dico, di nuovo, la prima cosa che mi passa per la mente. Dovrei smetterla.

Lui fissa la mia presa sul suo braccio. Rimaniamo fermi, così, e io non so cosa stia succedendo.

«Hai la moto ancora a scuola, lascia che ti accompagni.» mi riprendo, lasciando il suo braccio e nascondendo la mano dietro la schiena, come se scottasse.

So che mi sta guardando, ma non riesco proprio ad alzare lo sguardo.

Borbotta qualcosa, ma la sua voce è talmente bassa, che proprio non capisco e, quando riporto lo sguardo sul suo viso, lui ha i pugni stretti lungo il corpo, e lo sguardo serio.

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