PROLOGO.

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Premo la mano sulla sveglia per farla smettere di suonare, mi trascino giù dal letto, catapultandomi in bagno. Il riflesso del mio viso nello specchio mostra i segni della stanchezza di un'intera settimana. Apro l'acqua calda della doccia prima di togliermi i vestiti e in un attimo il bagno si riempie di vapore e lentamente sfilo la maglietta e il resto. Mi lascio coccolare dalla sensazione catartica della doccia che mi avvolge in un abbraccio caldo e profumato, lasciandomi andare a pensieri e riflessioni. Riesco a sentire le voci delle mie coinquiline fuori dalla porta, e inconsapevolmente alzo gli occhi al cielo. Credo di aver accettato di condividere l'appartamento con loro da ubriaca, perché onestamente non riesco nemmeno a spiegarmi il perché sia ancora qui.
Lentamente mi avvolgo in un grosso asciugamano ed esco dal bagno, consapevole di dover vedere il loro volto un altro giorno.
"Era ora! Forse hai dimenticato che vivi con altre due ragazze in casa, anche noi abbiamo bisogno del bagno!" la voce di Jessica mi arriva all'orecchio come un rumore fastidioso e la supero senza risponderle. Entra in bagno con Rose e si chiudono la porta alle spalle, come ogni mattina.
Decido che oggi sarà diverso, é il mio giorno libero e voglio uscire, godermi un sabato decente ed evitare le mie coinquiline, magari pranzerò fuori. La necessità di cercare un appartamento condiviso nasce dal fatto che mi sono trasferita a New York da poco, senza un appoggio, nè un amico. Fuggo dal mio passato, fuggo da una parte dolorosa della mia vita, fuggo da me stessa.
Devo ammettere di avere sempre avuto un debole per Manhattan, ma principalmente mi sono trasferita qui perché in un momento di disperazione, ho chiuso gli occhi e puntato un dito su una cartina.

Do un'ultima occhiata allo specchio per assicurarmi di essere decente, afferro la mia borsa e le chiavi di casa, scendendo velocemente fino al portone, respirando aria pulita e di libertà. Ho bisogno di un giorno diverso, che mi faccia staccare la spina, realizzando che ho bisogno di un nuovo appartamento.

"Hey, Jay, passi qui anche il tuo giorno libero?" mi saluta sorridendo Kat.
Sono nello "Sweet Meet", il bar in cui lavoro. Posso ritenermi fortunata ad aver trovato posto qui, dopo appena due giorni a New York. Kat è una delle ragazze che lavorano con me, lei è addetta ai tavoli, è una simpaticissima ragazza afroamericana, con cui ho legato subito. Si sistema una ciocca dietro l'orecchio e mi prepara un caffè.
"In realtà pensavo di farmi un giro per conoscere meglio la città. Sono qui da un mese e ancora non riesco ad orientarmi bene" le dico.
"Tesoro, io qui ci sono nata e continuo a perdermi" mi dice scoppiando a ridere.
Mi passa il caffè, ma la conversazione non dura molto, il lavoro la chiama. Due ragazzi si sono fermati al bancone a due sgabelli di distanza da me e parlano animatamente. Kat si avvicina e io decido di andare via, salutandola con la mano.
Mi piace il bar e l'ambiente, la paga è buona, ma gli orari sono davvero massacranti. Ci vogliono nervi saldi, come ogni impiego che implichi il rapportarsi con gli altri. Ho avuto a che fare con signore esigenti e ragazzi dispettosi, uomini un pò troppo gentili e ragazze in lacrime.

Quando esco dal bar, mi guardo intorno. Cosa faccio? Posso girare per un pò osservando qualche negozio, magari fermarmi per comprare qualcosa o forse dovrei prendere una guida e visitare la città?
La mia vocina interiore decide che a trionfare sarà la mia parte troppo femminile, vada per i negozi.

L'idea di imparare a suonare la chitarra, mi ha accompagnato dall'età di 10 anni, quando i miei mi accompagnarono a scegliere lo strumento che avrei suonato per i successivi tre anni di scuola media. Non so perché, ma partii con l'idea di comprare una chitarra e uscendo con una custodia più piccola contenente un grazioso violino che ho imparato ad odiare nel corso degli anni.
Penso a questo, quando mi fermo davanti ad una vetrina che espone diverse chitarre elettriche e qualche tamburo di ottima qualità.
Prima di soffermarmi troppo, mi ritrovo già dentro a passare le dita sulle corde di violini e violoncelli.
"Posso darti una mano?" mi chiede una voce alle mie spalle. Il commesso si offre gentilmente di darmi una mano, ma per cosa? Non so nemmeno perché sono entrata.
"Ehm..do un'occhiata in giro" gli dico girandomi imbarazzata.
"Se hai bisogno, sono alla cassa" come un automa, mi mostra la cassa e va via.
Il dolce suono di una chitarra mi conduce verso una parte del negozio dove, seduto su uno sgabello, un ragazzo dai capelli scuri, terribilmente sexy, sta suonando un pezzo dei Beatles. A quanto pare, si possono provare le chitarre.
Ne prendo una e mi accomodo lontano da lui, provando una bellissima chitarra nera. La poso sulle mie gambe e con le dita sfioro le corde, non sono capace di suonarla, mi piace la sensazione che mi dà solo tenendola tra le mani.
"Ottima scelta!" una voce dolce e sensuale mi fa sobbalzare e mi riprendo dal flusso di pensieri in cui sono, nuovamente, caduta.
Arrossisco e sorrido al ragazzo che ho visto poco fa e che ora mi trovo di fronte.
"Il realtà, la scelta è stata casuale, non mi intendo molto di chitarre" dico imbarazzata.
"In questo caso, hai un'ottima intuizione" mi dice ridendo. Ha un sorriso disarmante, accentuato da denti bianchissimi e un piercing sotto il labbro inferiore. Scrollo la testa da questi pensieri. Che mi succede? Arrossico come un'adolescente?
Non è il caso di mostrarsi così, sembro Jessica. Metto giù la chitarra e mi alzo, gli sorrido e lo supero velocemente, uscendo dal negozio. Mi rendo conto che, ancora una volta, sto fuggendo.

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Ciao a tutti!
È la seconda storia che scrivo, non ho ancora molta dimestichezza, ma spero che la storia vi piaccia, ho molte idee per la testa e spero di non deludere. Mi scuso per eventuali errori o sviste.

Love Me Forever || Stash FiordispinoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora