Capitolo 8: Rivelazioni

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Dentro al centro commerciale i ragazzi trovarono uno Starbucks, e lì ordinarono tutti caffè e muffin. Nel frattempo Penelope aveva fatto conoscenza anche con Helena e Nicolas.

«E il tè?» Chiese scherzando il figlio di Atena.

«Non lo sanno fare.» Rispose il figlio di Thanatos. Poi si rivolse alla figlia di Apollo. «Raccontaci un po' di te. Adoro le storie mentre faccio colazione.»

Penelope gli lanciò un'occhiataccia. «Perché dovrei?»

«Vediamoli così: sei una nostra prigioniera, ed è meglio non compromettere la tua situazione.» Il ragazzo aprì una mano davanti a Penelope: dal palmo uscì una farfalla, e dopo pochi battiti d'ala prese fuoco e scomparve. «Adoro i miei poteri.» Disse con un sorriso sadico.

La ragazza sospirò e bevve un sorso di caffè, poi iniziò a raccontare. «Sono arrivata al Campo Giove avevo 6 anni. Ho vissuto lì per 6 anni. A 12 anni avevo partecipato a una missione: eravamo in cinque e mentre esploravamo un tunnel sotterraneo, siamo stati attaccati da una creatura simile a un ragno, ma grande quanto un essere umano.» A quella descrizione Nicolas rabbrividì. «Io ero nella retroguardia, e non sono stata capace di avvertire il suo avvicinarsi. Era troppo forte, la nostra resistenza è stata vanificata subito, e siamo stati catturati. Mi sono risvegliata in un covo di quei ragni giganti, legata da catene di bava. In un momento di distrazione dei mostri, uno dei miei compagni si è liberato, per poi aiutarci dopo aver recuperato le armi. I ragni giganti si sono accorti della nostra fuga, e la lotta è proseguita lungo tutto il tunnel.» Prese una pausa, come per farsi forza per andare avanti con il racconto. «I miei quattro compagni mi hanno fatto da scudo, dicendomi di andare a correre e chiedere aiuto. Io mi sono rifiutata di farlo, ma una di loro, una figlia di Venere, ha usato la lingua ammaliatrice per persuadermi. Tornata al Campo Giove, ho convinto i pretori a recuperare i quattro semidei dispersi. Ma di quei quattro che hanno preso parte alla missione di recupero, da cui ero stata esclusa, sono tornati in due, e portandosi dietro cinque cadaveri. Il sesto era irrecuperabile. Ho dato di matto.» Bevve un altro sorso di caffè, e strinse il bicchiere fino a deformarlo. «Non riuscivo più a stare in quel campo, e dopo alcuni mesi sono fuggita. Sono una semidea vagabonda da ben quattro anni.» Concluse con un altro sospiro.

«Molto interessante.» Paul addentò il suo muffin, mentre rifletteva ad occhi chiusi. «Tutti vagabondi i semidei di questi tempi, eh?»

Penelope lo squadrò, poi si rivolse a Nicolas e Helena. «Era sarcastico? Non sono molto brava a capire l'ironia altrui.»

«Allora battute sconce e british humor tutto il giorno.» Disse il figlio di Thanatos alzando il bicchiere del caffè vuoto con aria trionfante.

«Ma come...» La figlia di Apollo lo fulminò con lo sguardo, e gli lanciò un pezzo di muffin in faccia.

Paul rimase sorpreso dal gesto, e iniziò a imitare una persona colpita con un proiettile al cuore. «Perché... mi hai...colpito?» Poi si accasciò sulla sedia, fingendosi morto. Tutti quanti risero. «Dei, non fa caldo?» Il figlio di Thanatos si tirò su le maniche, scoprendo la cicatrice.

Penelope osservò sbigottita il segno sul braccio del ragazzo, come se rivedesse qualcosa di orrendo dopo molto tempo. Poi il suo sguardo si illuminò, e osservò dritto Paul. «Ma io ti ho già incontrato! Due anni fa, alla riserva naturale di Big Indian Wilderness. Eri appena sopravvissuto ad uno scontro con una manticora, ti avevo osservato da lontano. Ricordo che eri pieno di ferite, una molto grave sul braccio.»

Helena e Nicolas osservarono prima la figlia di Apollo poi il figlio di Thanatos.

«Seria?! Vi siete già incontrati?» La figlia di Afrodite si rivolse a Paul. «E non ci dici niente?»

Ma il ragazzo non rispose. Osservava il tavolo, con gli occhi aperti e fissi nel vuoto come se fosse in stato di shock. Dondolava leggermente la testa, e dentro di sé cercava di fare ordine. «Ho ricordi offuscati. Il veleno mi stava consumando.» Prese lo zaino, che aveva poggiato accanto alla sedia, e tirò fuori il suo taccuino nero, aprendolo nel mezzo. Dopo aver messo sul tavolo delle foto che lo ritraevano con una donna dai capelli rossi, mostrò agli altri i disegni sulle due pagine: sua madre Cassandra, la stessa donna delle foto, e una che assomigliava in tutto e per tutto a Penelope. «Ero in quella riserva in gita con mia madre, e quando siamo stati attaccati le ho detto di correre al riparo.» Rivolse uno sguardo intenso e carico di nostalgia e tristezza alla figlia di Apollo. «Mi hai salvato, e permesso di rivedere mia madre.» Gli altri non potevano vederlo, ma il ricordo della madre lo distruggeva. Una lacrima nera gli scese lungo la guancia, lo sguardo stupito degli altri a osservare quel fenomeno bizzarro, addirittura Nicolas lo osservava come se fosse un oggetto da studiare.

«Paul...» Penelope gli prese la mano. «Scommetto che tua madre è una donna meravigliosa.» Sembrava che una parte di lei fosse stupita di quelle parole.

«Era una donna meravigliosa. È morta due anni fa, pochi mesi dopo l'incidente della manticora.» Altre due lacrime nere scesero, i suoi occhi erano pura malinconia. Paul si alzò, prese lo zaino e se lo mise in spalla, dirigendosi verso i negozi.

«Paul, aspetta.» Nicolas si alzò e lo rincorse.

Penelope osservò la sua mano, fino ad un attimo prima a contatto con quella del figlio di Thanatos. Quando girò il palmo verso l'alto una piccola farfalla iniziò a volare. Le ali erano nere, con sprazzi arancioni. «Sono una stupida...» Sussurrò a se stessa. «Perché? Perché mi sto preoccupando di lui?»

Helena gli mise una mano sulla spalla. «Stai tranquilla. Ora si occuperà Nicolas di lui.» E anche lei si alzò da tavola. «Ah, se ti chiedi perché ti preoccupi di Paul, ho una vaga idea di cosa può essere.» E le fece un occhiolino.

Penelope la guardò perplessa mentre la figlio di Afrodite raggiungeva il figlio di Atena.

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