Il disordine delle cose

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1. Il giorno

Quel giorno i palazzi erano grigi come il cielo. Quel giorno i cani cercavano ossi e il cielo era indifferente. Quando il ragazzo camminava per strada, pensava alla sfumatura. Vedeva questa variazione in tutto ciò che osservava, ma non poteva definirla. Tornava da scuola, era felice di andar via da lì. Che mistero, pensava. Tutte le cose, nel cuore del silenzio, sono tranquille.

Quel giorno il cielo era bianco come i gabbiani. Quel giorno i cani dormivano sulla spiaggia e il vento non c'era. Il ragazzo si sentiva fuori da un contesto, la tecnologia e la solitudine erano i suoi rifugi. Quando vedeva la casa abbandonata, diceva: "Ecco, quello è il mio posto". Lui lo sentiva questo, era una delle sue ragioni. È magnifico, pensava. La casa era vuota, ma non c'era posto per nessuno. Nessuno, solo per lui.

Quel giorno la casa era vuota ancora, ma era piena di cose. E di parole. Quel giorno era nel suo posto e la sua mente era altrove. Immaginava, assemblava programmi, utilizzava il suo pc. C'era un odore antico nell'aria, nonostante questo. C'era paglia, sabbia per terra, polvere, scaffali, un tavolo all'angolo. Guardava tutto. Era in cerca di motivi, di spiegazioni. Degli scaffali vuoti non comprendeva il significato.

2. La notte

Quella notte faceva un sogno strano. Quella notte si trovava in spazi di vetrate luminose e si sentiva leggero. Si affacciava nel centro e poteva vedere piani inferiori e piani superiori, interminabilmente. Era l'universo. Una successione di gallerie esagonali, senza fine. Le pareti di ogni galleria erano piene di scaffali, gli scaffali erano pieni di libri, i libri erano pieni di pagine, le pagine erano piene di parole. Tutte le gallerie erano identiche. Chi ha ideato tutto questo deve essere bravo al pc, pensava.

Quella notte scopriva la biblioteca. Quella notte scopriva l'esistenza di pagine scritte prima di lui, scopriva l'esistenza dei caratteri che si imprimono nella carta. I significati si scomponevano, si dividevano, si rendevano chiari davanti i suoi occhi. Le forme che aveva sempre cercato, senza mai trovare. Il tempo del sogno era indefinibile, eppure era come se lo avesse sentito passare attraverso di . L'idea dell'armonia dei pensieri, nella forma rettilinea di una frase, era ciò che di più lo affascinava.

Quella notte era altrove, un'altra volta. Quella notte non sapeva come esprimere le sue sensazioni. Non sapeva come. Vedeva la totalità delle forme davanti a lui ma non riusciva a trovare quelle adatte alle sue sensazioni. Capiva che le parole non sono per tutti. Capiva che le parole possono essere belle e pericolose. Ma voleva scrivere. Voleva battere il diavolo scrivendo parole, scrivendo idee, scrivendo emozioni. Voleva avere il mondo in pugno sino all'aurora. Voleva essere.

3. L'aurora

All'aurora era tutto diverso. All'aurora gli scaffali non erano più vuoti, pennarelli e pagine erano sul tavolo. Pagine vuote. Il ragazzo oltre quei fogli cercava la realtà, muoveva irregolarmente la sua mano, si infuriava per ogni risultato mancato. I suoi primi lavori, in definitiva, non erano tanto. Quando non sentiva più niente il ragazzo aspettava. Si sedeva alla porta, incrociava le gambe, distendeva il capo verso il cielo. Aspettava la luce.

All'aurora prendeva un foglio azzurro e scriveva una poesia. La intitolava "Assenza, dove sei", perché era questo ciò che vedeva fuori: la mancanza. E il cielo non rispondeva. E il paesaggio rimaneva lo stesso. E pensava al sogno della notte, e ne aveva rimpianto. E pensava alla bellezza delle parole, alle parole che sono belle anche quando non danno risposte.

All'aurora prendeva un foglio bianco e scriveva una poesia. La intitolava "Il disordine delle cose", perché era questo ciò che provava dentro. E si sentiva felice. E sentiva di appartenere a qualcosa. E percepiva ancora quella sensazione. E sapeva di avercela fatta, e sapeva che il diavolo, da qualche parte in questo mondo, lo aveva battuto. E sapeva che questo mondo avrebbe continuato senza sosta il suo ciclo e che l'universo senza sosta avrebbe perpetuato il suo mistero, ma lui c'era riuscito. È fatta, non resta nient'altro, pensava. E respirava l'aria calda, e non la lasciava andare, e non voleva smettere, e chiudeva gli occhi. Arrivava alle pace. E poi la vita aspettò sino a quel momento e, con non curanza, tolse il disturbo.

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