I suoi lunghi capelli neri mi coprivano tutto il petto e mentre lei dormiva, me li attorcigliavo al dito, come fanno le ragazze quando sono nervose o nascondono qualcosa. Mi alzai per affacciarmi alla finestra e scostai la tenda per vedere fuori: da lassù la città sembrava un grande mare colorato: le insegne dei negozi ancora aperti la sera, le luci sempre rosse dei semafori, i led nuovi sui lampioni; oltre il vetro si percepiva solo un brusio indistinto di voci, clacson e musica che animavano la vita dell'instancabile movida romana. Aprii le finestre e sporsi la testa, quel tanto da poter respirare a pieni polmoni l'aria del centro, la leggera brezza che pungeva sottopelle, quasi da far venire la pelle d'oca, un brivido lungo la schiena. In cielo la luna piena illuminava la stanza lasciandola in penombra mentre la guardavo dormire tranquilla: era così bella, così simile a quella stessa luna che fissavo incantato. Era stata la nostra prima volta: io la amavo e lei mi amava, erano bei tempi...
Quell'estate rimasi perlopiù a Roma con il caldo torrido che per rimanere al fresco si stava con gli scuri chiusi. L'afa entrava dalle fessure e ti metteva le mani al collo, come per strangolarti: si trovava pace solo sotto una doccia ghiacciata o dopo una Camel. Fuori da quella topaia c'era aria di pace, tutto era dolcemente piombato in un contesto informale, a tratti naif: con gli amici ci si abbracciava sudati, pelle su pelle, carne su carne, per rinfrescarci ci sputavamo l'acqua dalla bocca e si pisciava dietro i cespugli, tanto poi si faceva una doccia fresca e andava via tutto.
Quella notte era la perfetta coronazione di quell'estate, un finale in grande stile, fuochi d'artificio, musica pompata per le strade e sesso da capogiro con la dolce Asia. I pensieri affollavano la mia testa ma gli occhi si appesantivano e le parole nella mia testa rimbombavano sempre più piano, fino a fermarsi.
L'indomani mi svegliai verso le dieci, la calura mi schiacciava sudato sul letto ormai tutto bagnato, le varie parti del letto si erano letteralmente fuse, aggrovigliate tra loro: il lenzuolo con il coprimaterasso e il cuscino con la fodera. I miei vestiti buttati per terra, e io nudo, lì, in quel coma tropicale finché trovai le forze per alzarmi e lavarmi. Lei era già uscita e mi aveva lasciato sul comò un bigliettino con su scritto "io sono uscita, quando ti svegli, chiamami".
Come rigenerato da quelle parole spalancai le finestre: la facciata dava su viale dei Cerchi, sempre trafficata, vicino al Colosseo. Amavo quell'aria, quella passione, quella bellezza, per esempio amavo vedere la fontana di Trevi, lì avevo visto Asia per la prima volta passeggiare lungo il Corso. Uscii di casa e fuori si era già alzato il vento, di solito c'era il sereno ma quel giorno c'erano le nuvole anche se ormai si stavano diradando per fare posto all'azzurro del cielo; feci colazione in un bar lì vicino e proprio lì la chiamai:
< Pronto?
< Ciao, sono io.
< Ah, ti sei svegliato, avevo perso le speranze, pensavo ci avessi lasciato.
< Per tua fortuna sono ancora vivo, tu dove sei?
< In centro, mi raggiungi?
< Arrivo...</fine prima parte>
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