I giorni che seguirono furono giorni vuoti, giorni buttati al vento, davanti alla tv o fuori con amici a non fare nulla, su una panchina magari, a parlare di calcio e di ragazze. E così, driiiiinn, il suono della campanella annunciava il riprendere delle lezioni: compagni e volti erano sempre i medesimi, grossi faccioni disperati come maschere, quegli ipocriti volevano fare finta di essere tristi quando in realtà leggevo negli occhi di quegli sfigati la gioia, perché solo a scuola avevano una vita sociale che si potesse definire tale. Quelli di sempre insomma, tutto era come l'anno prima e quello prima ancora, a parte più o meno gravi perdite che erano purtroppo fiseologiche. Il mio sguardo appena entrato in classe si mise a cercare novità ed ecco che nella massa misi a fuoco il viso di Ilaria, la "novità" della classe. Stringemmo presto una bella amicizia, anche se secondo me un po' ci piacevamo forse per via degli occhi chiari o delle lentiggini, ma era una cosa così, molto frivola, occupati entrambi con qualcuno, ma la cosa ci divertiva, ci stuzzicava, ciò non toglie che io amassi solo ed esclusivamente Asia.
< allora ragazzi!> tuonò il prof. Montinaro: uomo tutto d'un pezzo, insegnante di filosofia; portava un paio d'occhiali con una di quelle montature in ottone che forse andavano di moda negli anni ottanta. A prima vista sembrava uno appena uscito di galera dopo una notte passata in cella a causa di una resa dei conti fuori da un bordello in est Europa, poi, quando ti parlava di Socrate e di Platone quasi ti veniva da ridere pensando a come uno scarto della società come lui potesse sapere quelle cose.
< Siete pronti? Da adesso inizia il triennio, il triennium come avrebbero detto i latini se fossero ancora vivi! (Finta risata della classe per compiacerlo), sono finiti i giochi adesso facciamo sul serio!>
Finita la giornata ripensai al prof, ripensai ai prof, ripensai al fatto che dicono sempre le stesse cose, vogliono cercare di impaurirci con queste frasi buttate lí, mi chiedo se siano mai stati ragazzi chi adesso millanta conoscenze in materia. Nonostante ciò pensai a quel periodo in generale, avevo raggiunto la pace dei sensi: nessun problema con la scuola e nessun problema con "i miei"; per dirla tutta i miei erano anche i suoi, quelli di Asia. Non gli andavano molto bene le cose in casa me ne parlava spesso di quanto litigassero e di quanto fossero assenti, in pratica era sopravvissuta ai suoi genitori. Morale della favola, i miei di genitori tenevano molto a lei, la vedevano come mia sorella, come una figlia, infatti quando dicevo loro che uscivo con lei mi guardavano un po' storto. Asia, lei sí che era una ragazza: emancipata, indipendente e sicura di sé. Me ne innamorai subito, mi piacquero i suoi occhi, i suoi capelli, le sue forme: lunghi capelli scuri, occhi marroni, e il viso esotico. Amavo la sua voce, il suo accento. Pensa prima di metterci assieme ci trattavamo male con la speranza che questo ci portasse in un cesso di uno squallido pub a scopare come porci, poi un giorno ci siamo baciati. Fu il bacio meno riuscito della mia vita ma me lo ricorderò per sempre. Amava i Verdena, lei, gli piaceva molto la musica indi rock e io la odiavo ma me la feci piacere lo stesso, per amore. Per il resto i miei erano genitori presenti ma al contempo non oppressivi, l'ideale insomma.Tornato a casa c'era proprio lei
< ma come sei entrata?
< hai lasciato queste a casa mia - rispose lei,
dalla tasca della sua giacca estrasse le chiavi di casa.
< Ah, grazie.
Mi avvicinai a lei per prendere le chiavi ma lei indietreggiava e indietreggiava, e indietreggiava ancora, fino al letto.
< Dai devo studiare.
< Allora ti bacio!
Uscì sorridendomi come sempre, ma non dovevo studiare è solo che non mi andava, ero troppo stanco.
Il weekend successivo andai solo con la navetta sul colle Fermente, era un bel posto e ci ero stato per la prima volta in un tempo non sospetto, quando ero ancora piccolo. Andare lì era ormai diventata una liturgia, ogni anno dopo l'inizio della scuola mi facevo a piedi quei cinque kilometri che servivano per arrivare sulla cresta, la salita era costellata di boschetti di larici a i quali si alternavano piccole oasi, lí gli scoiattoli si abbeveravano negli stagni che si creavano in estate con le piogge e che rimanevano per tanto tempo grazie alla copertura del fogliame dei grossi arbusti. La salita era ghiaiosa, dovevo tenere il respiro costante, e continuare tenendo lo stesso passo non ostante la fatica, sapevo che ne sarebbe valsa la pena. Ci misi due ore per arrivare sulla cima, lì dove il bosco lasciava spazio a un'immensa distesa ghiaiosa. Stava per diventare già buio quando mi accorsi che ero stato più o meno un ora a fissare un punto imprecisato, nel cielo, un punto dove il cielo era turchese, un turchese perfetto che mi faceva pensare, un turchese che con la sua apparente staticità scandiva i secondi, i minuti, le ore. Quando mi ripresi da quella sorta di coma, il cuore iniziò a battere forte e il respiro a farsi veloce, come se per tutto quel tempo fossi rimasto senza respirare, come se fossi rimasto in apnea, mi sentivo buono, cosa che, sia chiaro, non ero e non sono.</fine seconda parte>
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