Trovai un modo carino per liquidare Chiara senza però scacciarla, perché dopo quelle belle chiacchiere non potevo trattarla come la prima trovata per strada e poi ormai era ufficiale: eravamo amici. Mi misi in cammino, per le strade del centro trafficato, prima l'altare, poi il Colosseo, poi l'obelisco, tutti i monumenti mi passavano davanti fino al foro. Il tempo era grigio e già scendevano quelle piccole goccioline che anche se non bagnano sono ugualmente fastidiose perché ti entrano nei vestiti e ti lasciano un brivido sulla pelle. Arrivato lì ci mettemmo un po' a incontrarci con tutti i turisti che quel giorno seppur cosí grigio affollavano il centro e i monumenti. Appena la vidi le sorrisi, il sorriso più fintamente tranquillo che potesse fare qualunque uomo al mondo dopo che la sua ragazza gli aveva detto che dovevano parlare, e infatti lei non ricambiò:
< Amore non mi sta venendo
< cosa non ti sta venendo?
< il ciclo...
< quindi sei incinta?
< ma non lo so se sono incinta o no, ho solo detto che ho un ritardo del ciclo!- rispose irritata
< aspettiamo, sinceramente non so che altro dirti, ma perché proprio in centro ne dobbiamo parlare?
< perché voglio sapere, davanti agli occhi della storia, davanti a Cesare, che ti sta guardando, che cosa dirai, mettiamo che aspetti un figlio, tu cosa faresti lo terresti o... no? Che cosa faresti?
I suoi occhi mi fissavano come impietriti, era spaventata a morte come lo ero io e in quel momento risposi come poteva rispondere un ragazzo di diciassette anni davanti a una domanda del genere:
< non lo so ,
< come non lo sai?! Aspetti forse un figlio e non sai se vuoi tenerlo o se vuoi farmi abortire?!! Ma pensi mai al tuo futuro, al nostro di futuro! Come ci vedi tra dieci anni?!
Davanti a quelle parole ora avrei saputo rispondere in tre mila modi diversi ma quella volta rimasi muto a guardarla come un idiota che quando è ora di dire cazzate è il primo, ma quando si parla di cose importanti se la fa sotto e rimane muto, infatti lei se ne andò via e io rimasi lì solo, sotto la pioggia che si fece prima acquazzone e poi diluvio, quelle gocce sulla mia testa però pesavano come roccia, come macigni che si frantumavano sulla mia testa infreddolita e scombussolata. Tornai a casa a piedi sotto l'acqua mi chiesi perché non le avevo risposto ma più ci pensavo più il dolore alla testa aumentava come se qualcuno da dentro stesse martellando il cranio per uscire. Iniziai e piangere senza farmi vedere da nessuno, piansi e forse pianse pure lei. Eravamo davanti a qualcosa più grande di noi, di me sicuramente. Non ci parlammo per giorni non sapevo nemmeno se eravamo ancora fidanzati ma a chi me lo chiedeva dicevo che era solo una fase, per far vedere che ero forte e menefreghista, ma fingevo, facevo l'ipocrita, per esorcizzare quello che mi stesse accadendo, per cercare e sminuire. Passai tanto di quel tempo in quei giorni a pensare a mio figlio, pensai a lui, ero giovane e quel bambino, vero o fasullo che fosse, era molto più grande di me e mi avrebbe divorato se avesse potuto.</fine quinta parte>
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