Tristesse

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Stamattina credo di non averti pensata continuamente come al solito.
Certo, mi riempivi la testa, solo che restavi sullo sfondo dei miei pensieri.
Pensavo troppo alle verifiche future, quelle per cui a breve non avrò neppure un minuto che non sia dedicato allo studio.

Ti ho vista solo durante la pausa in cortile, sorridevi alle tue amiche.
Fragile e bella, l'autunno ti incorniciava.
Marie e Louise si confrontavano pigramente i capelli per vedere chi li avesse più lunghi e curati.
Ti tagliavano fuori da quei discorsi: tu li tieni corti all'orecchio da quando sei arrivata.
Mi piacciono i tuoi capelli, anche se sono un po' crespi.
So bene quanto tu detesti il balsamo.
Anche se lo fai senza nessuna ragione precisa.

Strano, sei tornata a casa prima, oggi.
Eri sola e ti muovevi veloce nell'aria umida della città.
Ho visto poggiarsi tra i tuoi capelli una piccola foglia caduta e rossiccia.
Non te ne sei accorta per quattro isolati.

Quando mancavano poche svolte per arrivare a casa tua, ti sei fermata e ti sei seduta di scatto sul marciapiede.
Con un gesto frettoloso, ti sei stretta le ginocchia al busto e hai nascosto la testa fra di esse.
Le foglie ti cadevano attorno distratte, ma tu non te ne curavi.
Avevi altro per la testa, chiaro, ma cosa?

Ti guardavo ansioso.
Bloccato dietro un muro, non osavo muovermi.
Sentivo il bisogno di parlarti mangiarmi rude dall'interno.
Mi bruciava nella gola la voglia di avvicinarmi e assicurarmi che stessi bene.
Ma sono rimasto immobile.

Ti ho sentita singhiozzare silenziosa, o almeno provavi ad esserlo.
Hai iniziato a tirarti leggermente i capelli e a borbottare stanca.
Non ti sentivo, ma ti capivo.

Ricordo solo di sfuggita le tue piccole crisi dell'anno scorso.
Quando nessuno ti parlava se non per prenderti in giro.
Tu alzavi il mento coraggiosa e, fiera come una leonessa, andavi via senza commentare.
Successivamente, sentendoti al sicuro, ti guardavo crollare sola poco dopo nel retro della scuola.
Dopo un po' di tempo, preferisti recarti al bagno per prendere fiato da quell'inferno, così da non fare il giro dello stabile ogni volta.

Io ero sempre lì, nel retro.
Dopotutto, era il mio posto preferito di quell'edificio.
Non ci andava nessuno, troppe erbacce e una leggera puzza di cibo marcio.
Ma a me non interessava, amavo la solitudine.
Come la ami tu.

La prima volta che ti vidi, mi spaventasti.
Pensavo che un professore fosse venuto a riprendermi, ma poi sentii sbattere forte la porta.
Mi nascosi e tu, inconsapevolmente, ti sedesti nel mio posto.

Tu non potevi saperlo, ma io sentivo chiaramente la tristezza schiacciarti dolorosa.
Non mi mossi, non sono mai stato bravo a consolare le persone.
E quella non sarebbe stata un'eccezione.
Ti sei nascosta sul retro ogni intervallo per tre settimane, mentre io ti guardavo silenzioso cercando di capire chi tu fossi.
Ma eri solo una ragazza.

Così come lo sei ora, mentre ti alzi stanca dopo almeno un quarto d'ora dal marciapiede e ti asciughi dalle guance le lacrime macchiate di mascara che corrono sulla tua pelle chiara.

Come se non fosse successo niente, prosegui la tua camminata verso casa.
Ti fermi solo pochi secondi davanti al vialetto.
Il trench coat stretto in vita e le mani che abbassano un po' la gonna della divisa.
Non è mai abbastanza lunga, per te.

Alzi il viso e guardi dritto al cielo.
Ti sento sussurrare tristemente.
Resti così un'altra frazione di secondo, poi abbassi la testa e ti affretti verso casa.

Nell'istante stesso in cui mi arrivano sottili le tue parole, inizia a piovere pesantemente.
Poi tu sparisci dentro l'abitazione e io resto ammutolito.
Guardo, nascosto dietro il muro, il punto in cui stavi tu per qualche istante, poi mi incammino fradicio verso casa mia.

《Tuez-moi, s'il te plaît.》
Uccidimi, perfavore.

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