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«Siete degli stronzi!» urla.
Le applaudo solo io, ma chissene frega, ha pienamente ragione.
Guardo la professoressa con aria soddisfatta.
«Hai finito questo tuo teatrino?» mi dice con calma ma fulminandomi con lo sguardo.
Sono sbalordita, tanto vale che finisca il mio discorso, ormai ho oltrepassato il punto di non ritorno.
«Mi scusi, questo lei lo chiama teatrino? Cioè qualcuno per una volta ha avuto il coraggio di tirare fuori le palle e smettere di tacere davanti questo schifo e lei lo chiama teatrino? Continui pure a spiegare le sue fottute materie umanistiche che di umanistico non hanno un cazzo. Pensi solo a Dante che scriveva poesie passate alla storia per la sua amata Beatrice e per la cara moglie che lo accudiva ogni giorno non le ha neanche mai dedicato nemmeno un verso. Bravo stronzo, complimenti sinceri. E lei è uguale, mica pensi di essere molto diversa. Insegna per dieci ore la settimana in questa classe e non si è mai accorta del declino totale. Una che dimagrisce a vista d’occhio, l’altra che sta ben attenta a coprire i polsi, quello nell’ultimo banco che ha uno sguardo spaventato che perfino un cieco noterebbe e io che le sto dicendo un mucchio di verità e lei vede solo la volgarità di quello che dico. Adesso cosa vuole fare, mettermi una nota? E cosa ha intenzione di scrivere? Che l’allieva si è ribellata all’ipocrisia che regna nell’aula e ha cercato di aprire gli occhi dell’insegnante ma inutilmente? Lo scriva pure. E aggiunga anche che la parola “stronzo” non è di per sé una parolaccia: la definizione esatta è “escremento di forma cilindrica”.»
«Hai passato il limite» mi urla.
«Tanta gente qui lo ha passato e lei non ha mai detto nulla» le rispondo con una calma di cui mi sorprendo perfino io.
«Esci immediatamente da quest’aula e non farti vedere prima della fine dell’ora.»
«Molto volentieri!»”

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