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Una lettera. Una sola, piccola lettera, e meno di mezzo secondo per inciderla, e ce l'avrebbe fatta. O meglio, c'era quell'insignificante possibilità su chissà quante che il suo piano avrebbe potuto funzionare, che i suoi sforzi sarebbero serviti a qualcosa. Forse. L'elenco di ciò che poteva andare storto era pericolosamente più lungo di quello che sarebbe potuto andare bene, e il risultato poteva portare facilmente a danni collaterali irreversibili, ma le altre opzioni che aveva erano ben peggiori. Almeno con quello che stava cercando di fare non c'era come immediata conseguenza la morte, così se avesse fallito avrebbe avuto l'opportunità di inventarsi qualcosa per rimediare. Sempre forse. Già, rischiava ancora, e molto, ma fino a quel momento era sopravvissuta in situazioni estreme. Aveva visto la propria anima abbracciata dalla morte, che la seguiva ovunque come una spia, un nemico - forse persino un amico, a pensarci bene - con il quale si era già incontrata e battuta. E se aveva sempre vinto doveva ringraziare la sua avversaria, che si ritirava ogni volta e lo aiutava a rialzarsi, perché lei aveva ancora qualcosa da portare a termine prima di potersene andare.

Il tempo congelò, o almeno così le parve. Riusciva a vedere i dettagli di tutto ciò che la circondava: ogni linea degli intricati intarsi sullo stilo incandescente; le migliaia di fili di luce che formavano quella specie di grotta e che le davano l'impressione di essersi immersa nella fotosfera de una stella; le mille sfumature delle nuvole d'ombra, che si muovevano come banchi di nebbia intorno a lei.
Passò un quarto di secondo, durante il quale incise una delle due linee che formavano l'ultima runa. La tavola su cui stava disegnando cominciò lievemente a pulsare di energia, come in teoria doveva accadere - "Bene" pensò - , quasi che avesse paura di liberare troppa luce. Ancora un altro quarto di secondo. Doveva solo staccare lo stilo dalla tavola, riappoggiarlo a due millimetri di distanza e disegnare una piccola curva, come una bocca che sorride. Lo stilo diventò ancora più incandescente, praticamente impossibile da tenere. Aveva già ambedue le mani ricoperte di vesciche e ustioni di secondo e terzo grado che probabilmente non sarebbero mai guarite completamente, in certi momenti aveva persino visto fili di fumo salire tra le dita. Si era ritrovata più volte a ringraziare mentalmente quelle ustioni che le avevano bruciato alcune terminazioni nervose, così in certi punti non percepiva più dolore. Se era riuscita a continuare era perché aveva continuato a ripetersi che in alternativa a quello c'era la lenta e opprimente fine prematura di un'era. Cioè, non proprio di un'era, ma solo di una parte di essa, che avrebbe lasciato una sorta di vuoto che avrebbe lentamente fatto crollare tutto il resto.

- Finito! - sospirò felice, gettando da parte lo stilo. Si guardò le mani con una smorfia, di disgusto più che di dolore. Aspettò qualche istante. - Se ha funzionato tra poco dov...- disse, quando un'esplosione accecante lo interruppe.

- No! No! No! No! Che succede?! Perché?! - Rabbia, ira e frustrazione era tutto quello che riusciva a provare in quel momento, mentre tirava calci e pugni all'aria. Poi crollò sulle ginocchia, ferendosi con le schegge sul pavimento, ma non le importava. La disperazione si sostituì all'ira. Voleva morire, sparire per sempre. Cos'era andato storto? Aveva fatto esattamente come le era stato detto. E aveva fallito. Un intera razza era stata annientata a causa sua! Per fornire l'energia necessaria a genera quell'esplosione che non sarebbe avvenuta se tutto avesse funzionato! Questo le avevano detto che sarebbe successo se non avesse eseguito le istruzioni alla lettera. Ma cosa aveva sbagliato? Alzò lo sguardo dal pavimento di luce, dalle sue mani bruciate, si guardò intorno ma vedeva solo macchie sfocate. Stava piangendo, si rese conto sorpresa. Da anni non lo faceva, aveva sempre addosso quella maschera di ghiaccio e impassibilità che doveva tenere di fronte a tutti. Per anni aveva nascosto le sue emozioni e nemmeno quand'era sola uscivano allo scoperto, per timore di non riuscire più a celarle. E in quel momento si stava lasciando andare incontrollata. Era... strano. Sentimenti del passato e del presente che si mescolavano in un turbinio confuso, distruggendola da dentro, corrodendo l'anima e demolendo la mente, il pensiero razionale, pezzo per pezzo, per poi disperdere tutto, come cenere al vento. Cercò di asciugarsi il viso, ma per ogni lacrima assorbita dalla stoffa della sua manica altre tre ne prendevano immediatamente il posto. Provò a rialzarsi, ma ricadde in ginocchio. No. Non poteva rimanere lì. Doveva andare a trovare un modo di rimediare, un'altra soluzione, o a capire almeno che accidenti aveva sbagliato.
- E a che serve? - si disse tra i singhiozzi. - È finita! Per colpa MIA! - gridò. E gridò tutto quello che aveva dentro. Quasi non si accorse del sapore metallico che aveva in bocca e in gola. Pensò di andare a dare spiegazioni, a chiedere un perdono che sicuramente non le sarebbe stato concesso, ma non voleva farsi vedere, non dopo ciò che aveva appena fatto. L'esplosione aveva sicuramente raggiunto i limiti di quella specie di vuoto in cui si trovava e altrettanto sicuramente li aveva superati, forse raggiungendo anche coloro che l'avevano mandata lì. "Almeno non dovrò dare spiegazioni a nessuno" pensò con sprezzo. Tentò di nuovo di asciugarsi le lacrime e diede un'occhiata fugace alla grotta intorno a lei: solo le pareti erano rimaste intatte. Della tavola su cui aveva scritto rimanevano solo polvere e schegge, di cui molte si erano impiantate nella sua carne. Come mai lei era stata risparmiata? L'esplosione era scaturita dalla tavola e lei si trovava a mezzo passo di distanza. Lei prima di qualunque altra cosa sarebbe dovuta morire disintegrata, non avrebbe dovuto essere lì a chiedersi perché era ancora lì, viva. Si accorse che in fondo non le importava. Appoggiò le mani a terra per far leva sulle braccia e alzarsi. Non sentì neanche il dolore delle ustioni e delle schegge, perché la sofferenza delle ferite che aveva dentro era tale da sopraffare il dolore fisico. Riuscì a tirarsi su e cercò di indossare nuovamente la sua maschera di distacco e freddezza, ma dopo ciò che era successo non poteva seppellire quello che provava. Sarebbe stato come ignorare il ricordo di quella razza che aveva fatto sparire senza nessuno scopo.
Si costrinse a teletrasportasi dove, se tutto fosse andato bene, avrebbe trovato qualcuno che forse non l'avrebbe inseguita fino all'inferno per tormentarla.
Non seppe se sentirsi al settimo cielo o se desiderasse con tutta sé stessa che il teletrasporto non avesse funzionato quando scoprì che quella persona era lì ad aspettarla. Quando Emyhl la accolse a braccia aperte tra lacrime di gioia, sollievo e gratitudine per chissà quale motivo, si sentì... "Non me lo merito, dovrei essere come minimo in un rogo ad ardere viva e a penare per quello che ho fatto" pensò. Ma un dubbio la sopraffece. Perché erano lì, sia lei che Emyhl? Quel "lì" avrebbe dovuto essere sul punto di collassare, era uno dei posti più vicini al luogo dell'esplosione.

- Emyhl...tu...che...come...dove...cosa...? - fu tutto quello che lei riuscì a dire. Lui le si avvicinò, tentato di abbracciarla, ma si trattenne, perché a lei i sentimentalismi non erano mai piaciuti.

- Accidenti, le tue mani. Vieni, che vedo se riesco a medicartele.- disse, prendendole i polsi per osservare meglio le ustioni. Cominciò a tirarla per un braccio, ma lei oppose resistenza. Come avesse fatto non lo seppe mai dato che a malapena si reggeva in piedi.
- Che succede? - le chiese Emyhl. Sembrava molto preoccupato. Forse si era finalmente accorto che razza di travaglio lei aveva dentro e i suoi occhi arrossati dalle lacrime. - Stai male, perché? E non è per quelle orribili ferite. -
Inizialmente lei non riuscì ad articolare mezza parola, ancora dubbiosa su quell'accoglienza troppo allegra e amichevole.
- Che succede? - ripeté lei secca. - Succede che io ho annientato un'intera razza tentando di salvare un universo che stava per essere distrutto per... - fece una pausa, come se temesse quello che stava per dire - ...per colpa del mio orgoglio e della mia stupidità. E ora addio a tutto e tutti, grazie a me e alla mia incapacità!- Fu dura ammetterlo ad alta voce per la prima volta. E' vero, era stata lei a dare inizio a tutto quello. Per una sciocchezza. Le era stato detto che non era in grado di completare...boh, non ricordava nemmeno più cosa. Ma ricordava perfettamente che aveva ceduto alla provocazione. Da quel momento Emyhl rimase l'unico a non averla ripudiata. Aveva schiacciato tutti quei ricordi in un angolo buio tanto da non riuscire a rammentare nemmeno chi lo aveva spinto a fare... quello che aveva fatto.
In un primo momento Emyhl parve non capire a cosa si stesse riferendo, ma poi annunciò, mezzo felice e mezzo ansioso: - Tu l'universo l'hai salvato e anche questa era, hai rimediato a tutto però...ci sono alcune cose che ancora non sai...che abbiamo evitato di proposito di dirti...-
- Cos'è che non mi avete detto? - Non sapeva se sentirsi arrabbiata o sollevata. Aspettò la risposta di Emyhl per decidere.
- Ecco...vedi...mmh...quell'esplosione... doveva avvenire, era a quello che serviva quella roba che hai dovuto scrivere. Anche se tu non lo sai, quella specie di grotta in cui ti abbiamo mandato era il centro del potere di...sai cosa, di coloro che ti spinsero a...fare ciò che hai fatto...-
- Che accidenti stai dicendo?! - Aveva scelto "arrabbiata".
- Dovevamo distruggere quel posto e anche tu ti renderai conto che un po' di esplosivo non sarebbe bastato. Ti abbiamo detto dove andare... sì, so quanto dev'essere stato difficile arrivarci... cosa fare, cosa scrivere. Ti abbiamo detto che l'esplosione, e soprattutto da dove avrebbe perso energia, significava che avevi fallito, per spingerti a compiere la missione fino in fondo. No, il fatto che ti volevi riscattare in qualunque modo possibile non era abbastanza - aggiunse quando lei fece per interromperlo.
- Non volevo dire questo. - In verità erano le esatte parole che stava per pronunciare, però aveva anche altro da dire. - Con questa spiegazione cosa vuoi dire? Che era tutto "programmato"? - chiese con una nota di sarcasmo, della quale però Emyhl evidentemente non se ne accorse.
- Sì, era tutto programmato, se vogliamo dire così. E per la razza che è sparita...beh, puoi chiedere a chiunque e vedrai che tutti ti diranno che così eravamo d'accordo. Abbiamo deciso di non dirti che l'esplosione era quello in cui speravamo perché anche un idiota riuscirebbe a comprendere che a generarne una di tale portata e potenza sarebbe servita non poca energia, e tu saresti arrivato facilmente a capire da dove quest'energia si sarebbe dovuta ricavare. Diciamo anche che abbiamo sfruttato la tua scarsa conoscenza in campo di incantesimi e scrittura, così che non potessi comprendere il vero significato di quello che dovevi tracciare. In conclusione, ti dobbiamo tutti ringraziare, perché ci hai salvati. - terminò Emyhl.
- Io ho annientato chissà quanta gente e te mi ringrazi?! -gridò lei.
- Si dice "tu mi ringrazi", sai? - la corresse Emyhl, che evidentemente non si era ancora accorto di come si sentiva lei, forse l'unica sua vera amica.
- Non cambia nulla! Resta sempre e comunque colpa mia se tutta quella gente... Accidenti a me! Sono un'idiota, come ho potuto? Perché devo sempre dare prova delle mie capacità? Perché se ci va di mezzo il mio orgoglio va a finire sempre male? - Continuò così per un paio di minuti, sotto lo sguardo attento di Emyhl, malgrado la gola che chiedeva pietà, dopo tutte le sue grida in quella grotta luminosa. Da tempo lui aveva imparato che quando lei si sfogava così bisognava lasciarla fare, soprattutto perché era una cosa che accadeva di rado.
Quando lei si calmò non poté fare a meno di stringerla tra le braccia. Inizialmente lei si irrigidì e cercò di liberarsi da quella stretta morsa, con dentro di sé un forte desiderio di morire pur di liberarsi del peso che aveva addosso. Ma alla fine si lasciò andare, involontariamente, ma non cercò di rimediare.
- Sei cambiata - cominciò Emyhl, con voce tremante ma con un tono determinato. - Non saresti mai stata in grado di dire tutto quello che hai appena detto... - qui lei si irrigidì di nuovo, ma solo per qualche istante - ...o di ammettere i tuoi errori. Non importa quello che hai fatto, alla fine hai sistemato tutto, e anche in meglio, sai? Quindi accetta quello che ti sto dicendo e sto per dirti, cioè grazie. - Le poggiò la testa sulla spalla. Lei fece lo stesso e rispose all'abbraccio.

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