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Che posto strano. È la prima cosa che penso quando varco l'ingresso di una specie di giardino degli dèi. Lo si può chiamare giardino solo perché è uno spazio aperto delimitato. C'è un mucchio di gente. Dovrebbe essere una festa/riunione/consiglio ma hanno tutti una faccia da funerale e non capisco il perché: l'atmosfera è delle più gaie e rilassanti. Chiudo gli occhi e inspiro profondamente. Andrà bene, mi dico. Come potrebbe anche andare peggio che nel peggiore dei casi. Mentre riapro gli occhi svuoto i polmoni e scrollo le spalle. Muovo qualche passo, sperando che nessuno si volti a squadrarmi dall'alto in basso e che nessuno si accorga che  la mia camminata è appesantita dal carico invisibile che ho agganciato attorno alla vita. Bene, mi notano come notano le molecole di aria che li circondano. Mi avvicino alla folla, ma evito l'ammasso principale, rimanendo nella periferia. Beh, è così che si può descrivere la scena, come una città. Nel centro della città ci sono i palazzi e le ville, la caserma e il municipio che sovrastano su tutto il resto, dove c'è la gente di alto rango e i politici che comandano. Nella seconda cerchia vivono persone che fanno la loro buona parte nella comunità, con commercio e artigianato, con edifici che non saltano all'occhio per la loro imponenza, ma che sono comunque delle belle casette e botteghe fruttuose. Poi c'è la periferia, o, se ci sono delle mura, quello all'esterno di esse, con le fattorie e le capanne di contadini e pastori, sparse qui e là sempre di più man mano che ci si allontana lungo le stradine tracciate dal passaggio dei carri. Questa festa, o quel cavolo che è, sembra srutturata allo stesso modo. Nell'ammasso principale ci sono tutti coloro che conducono la riunione, che sono destinati a prendere le decisioni importanti e conclusive, persone che spiccano per la loro aria di superiorità e autorità. Intorno a loro gente più comune, che interverrà  significativamente nella discussione che si terrà (spero che si terrà, perchè se si è già tenuta posso girare i tacchi e sparire come sono arrivato, infuriato e deluso per non essere riuscito a cogliere quell'unica occasione), che risalta meno di quelli al centro, ma che si vede che fa una bella vita. E intorno a loro tutti quelli che avrebbero fatto semplicemente da spettatori per riferire gli esiti a chiunque li avesse mandati lì. E più ci si allontanava dal centro della folla più i gruppi di persone erano piccoli e isolati, come gli edifici in una città.

Qui e là tra la gente ci sono degli affari simili a dei calici intagliati, solo che sono grandi come quei tavolini alti e rotondi che ci sono in alcuni bar o a volte in autogrill, e come tali vengono usati, perché sopra, e dentro, ci sono bicchieri, tazze e coppe, alcuni riempite con bevande dai colori bizzarri (scorgo un bicchiere trasparente con dentro non-voglio-sapere-cosa di un colore che continua a variare tra blu e viola come se ci fossero dentro delle nubi, e non è nemmeno la bevanda più strana). La mia coda piumata comincia ad agitarsi dietro di me e di solito quando comincio a fare così involontariamente qualcosa andrà storto. Questa è una cosa che proprio mi infastidisce non poco, perché può essere proprio qualunque cosa, sia insignificante che del tipo Apocalisse. Decido di avvicinarmi ad un paio di persone, che hanno una la pelle arancione pezzata di sfumature verdastre, occhi più allungati della norma e dodici branchie più o meno parallele raggruppate in gruppi di quattro sulla pancia scoperta (e c'è anche qualcos'altro di... anormale nel suo volto, ma non riesco ad afferrare cosa) e l'altra una specie di corazza di un colore che non riesco a definire, come quella degli insetti, che dalle spalle scende fino a metà schiena e che sembra uscire dalla carne come affioramenti rocciosi levigati dal vento in un crepaccio nel deserto della sua pelle. Sono rispettivamente una ragazza, in quella fase della vita in cui non si è né adulti né bambini, e un uomo, che sembra abbastanza vecchio da poter essere suo padre. Quest'ultimo indossa un paio di guanti di pelle e sembra essere stato il più fortunato tra tutta la gente che c'è qui, io compreso, dato che gli è capitata solo quella roba che ha sulla schiena come uno zaino incorporato, dopo quella specie di mutazione magica, se la vogliamo chiamare così. Pensare che io mi sono ritrovato con una lunga coda, come quella dei gatti, ma rivestite di piume, che fa la muta almeno due volte l'anno, e ogni volta le piume cambiano forma, dimensione e colore, e con delle membrane rossastre attaccate sotto le braccia, retrattili (quando sono ritirate spariscono completamente) e che mi permettono non proprio di volare ma mi fanno planare. Non che mi dispiacciano queste due "trasformazioni" (poter allungare la coda per prendere la pinta della birra invece che alzarmi è una cosa meravigliosa, devo solo stare attento a non sedermici sopra per sbaglio, perché fa abbastanza male... e malgrado siano passati anni da quando mi è spuntata a volte mi capita ancora; e ho dovuto anche imparare ad andare in giro senza trascinarmela indietro, ma tenendola ben ritta in su, perché tutti me la pestavano senza accorgersene), ma quando ritiro o estraggo la membrana la sensazione è la stessa di quando ti sfilano un ago dal braccio e non mi ci sono ancora abituato, mi fa rabbrividire ogni volta.

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