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Era la prima volta che Shizu vedeva i genitori da un mese a quella parte. Dopo la morte della nipote Tomoko, per loro ogni pretesto era buono per andare a Tokyo dalla loro casa di Ashikaga, non soltanto per confortare la figlia, ma per farsi confortare a loro volta. Shizu lo comprese soltanto quel giorno, e si sentì stringere il cuore, osservando i volti smagriti degli anziani genitori stravolti dal dolore. Una volta avevano tre nipoti: Tomoko, figlia della loro primogenita, Yoshimi; Kenichi, figlio della secondogenita Kazuko; Yoko, figlia di Shizu. Un nipote per ciascuna delle tre figlie; non era un fatto molto comune. Tomoko, però, era stata la loro prima nipotina e, ogni volta che la incontravano, il loro viso s'increspava in un sorriso felice. L'avevano viziata con gioia e adesso apparivano così depressi da rendere impossibile dire chi soffrisse di più, se i genitori o i nonni. Immagino che i nipoti abbiano davvero una grande importanza, pensò Shizu. Lei aveva appena compiuto trent'anni. Per capire i sentimenti della sorella, non poteva far altro che immaginarsi al suo posto, cercando d'intuire che cosa avrebbe provato se avesse perso sua figlia. In realtà non si potevano fare confronti tra Yoko, la sua bambina, di appena un anno e mezzo, e Tomoko, che era morta a diciassette anni. Non poteva sapere in quale modo il passare degli anni avrebbe reso più profondo l'amore per la figlia. Poco dopo le tre del pomeriggio, i genitori cominciarono i preparativi per tornare a casa, ad Ashikaga. Shizu riuscì a stento a mascherare la sorpresa. Come mai suo marito, che sosteneva sempre di essere troppo occupato, aveva suggerito quella visita in casa di sua sorella? Eppure non si era presentato nemmeno al funerale della povera ragazza, sostenendo di avere una consegna da rispettare. Adesso invece era quasi ora di cena, e lui non mostrava la minima intenzione di andarsene. Aveva incontrato Tomoko solo qualche volta, e probabilmente non aveva mai parlato con lei a lungo. Di sicuro non erano i ricordi della ragazza morta a trattenerlo. Batté un colpetto sul ginocchio di Asakawa, sussurrandogli all'orecchio: «Caro, probabilmente è ora...» «Guarda Yoko. Ha sonno. Forse può fare un sonnellino qui...» Avevano portato con loro la figlia. Di solito, a quell'ora, la piccola riposava. Certo, aveva cominciato a sbattere le palpebre, come faceva quando aveva sonno. Ma, se la mettevano a dormire lì, sarebbero rimasti almeno per altre due ore. Di cosa avrebbero parlato con la sorella e il marito in lutto, per altre due ore? «Può dormire in treno, non ti pare?» ribattè Shizu, sempre a bassa voce. «L'ultima volta che ci abbiamo provato si è messa a fare i capricci, ed è stato un inferno. No, grazie.»

Quando le veniva sonno in mezzo alla folla, Yoko diventava capricciosa in modo quasi intollerabile. Dimenava braccia e gambe, urlava a perdifiato e, in generale, rendeva la vita difficile ai genitori. I rimproveri, poi, non facevano che peggiorare la situazione: per calmarla, non c'era altro modo che cercare di farla dormire. In momenti come quelli, Asakawa percepiva con singolare intensità le occhiate dei presenti, e metteva il broncio anche lui, come se fosse la vera vittima degli strilli di sua figlia. Gli sguardi accusatori degli altri gli davano la sensazione di essere prossimo a soffocare. Shizu preferiva non vedere il marito in quello stato, con le guance tormentate da un tremito nervoso e con tutto il resto. «E va bene... se lo dici tu.» «Magnifico. Vediamo se le va di fare un sonnellino al piano di sopra.» Yoko era abbandonata tra le braccia della madre, con gli occhi socchiusi. «Vado a metterla a letto io», si offrì il padre, accarezzando la gota della bambina col dorso della mano. Dette da lui, che non si occupava mai della piccola, quelle parole suonarono strane. Chissà, pensò Shizu, forse si era ravveduto... Forse il dolore di due genitori che avevano appena perso una figlia lo aveva colpito profondamente. «Che ti prende oggi?» chiese allora. «Sembri diverso dal solito...» «Non preoccuparti. Pare che stia per prendere sonno. Lasciala a me.» Shizu gli consegnò la bambina. «Grazie. Vorrei soltanto che tu fossi sempre così.» Nel trasferimento dalle ginocchia della madre alle braccia del padre, Yoko fece una smorfia, ma, prima che avesse il tempo di scoppiare a piangere, si era già addormentata. Asakawa salì le scale cullando la figlioletta. Il primo piano comprendeva due stanze di tipo tradizionale, più la stanza, arredata in stile occidentale, che era appartenuta a Tomoko. Asakawa depose Yoko sul futon nella stanza in stile tradizionale esposta a sud. Non c'era neppure bisogno che restasse con lei. Era già immersa in un sonno profondo e il respiro sembrava regolare. Uscì furtivamente dalla stanza per ascoltare quello che succedeva al pianterreno, poi entrò nella camera di Tomoko. Violare la privacy di una ragazza morta lo faceva sentire un po' in colpa. Non era proprio quello il genere di cose che gli ispiravano ripugnanza? Ma stavolta era per una buona causa: la sconfitta del male. Non c'era altro da fare. Eppure, nel momento stesso in cui lo pensava, si sentì disgustato dal fatto che era sempre pronto ad aggrapparsi a ogni pretesto, per fragile che fosse, pur di giustificare le sue azioni. D'altra parte, si disse, non voleva scrivere un articolo sull'argomento. Stava solo cercando di capire quando e dove quei quattro erano stati insieme. Mi dispiace, pensò. Aprì i cassetti della scrivania: il solito assortimento di carte di ogni genere, come per ogni ragazza delle scuole superiori, anche se disposte con un certo ordine. Tre fotografie, una scatola piena di cianfrusaglie, lettere, un blocco per gli appunti, il necessario per il cucito. Erano stati i genitori a rimettere in ordine, dopo la sua morte? Sembrava di no. Forse Tomoko era ordinata per natura. Sperava di trovare un diario, gli avrebbe fatto risparmiare molto tempo. Oggi sono uscita con Haruko Tsuji, Takehiko Nomi e Shuichi Iwata, e... Se soltanto avesse trovato un'annotazione del genere! Prese un quaderno dallo scaffale. Niente. Trovò anche un diario, molto infantile, in fondo a un cassetto, ma c'erano solo alcune note sulle prime pagine, e risalivano tutte a molto tempo prima. Sullo scaffale vicino alla scrivania non c'erano libri, ma soltanto un nécessaire a fiori per il trucco. Aprì il cassettino. Una quantità di accessori da pochi soldi. Un mucchietto di orecchini spaiati; a quanto pareva, Tomoko ne perdeva regolarmente uno per ogni paio che possedeva. Un pettine da tasca, con parecchi capelli neri ancora avvolti intorno. Quando aprì l'armadio a muro, si sentì assalire dall'odore tipico delle liceali. L'armadio era pieno di vestiti colorati e gonne appese alle stampelle. Era evidente che la cognata e il marito non avevano ancora deciso cosa fare dei vestiti, ancora impregnati del profumo della figlia. Asakawa tese le orecchie per captare quello che succedeva al pianterreno. Come l'avrebbero presa se lo avessero sorpreso là dentro? Non si sentiva nessun rumore. La moglie e sua sorella probabilmente stavano parlando di qualcosa. Frugò

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