Prologo.

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È arrivato il momento.

Corro sotto la pioggia, senza preoccuparmi di poter scivolare in qualche pozzanghera o nel terreno scivoloso che i miei piedi calpestano rapidamente.

Ho un leggero brivido nello scorgere gli alberi secchi ed il cancello perennemente chiuso a dovere della mia casa, e dopo aver fatto un profondo respiro, entro.

Noto che la macchina non c'è, perfetto, tutto secondo i piani.

Percorro il vialetto lentamente, come se la pioggia non mi sfiorasse, come se il tempo si fosse fermato e la fretta di sparire svanita.

Prima di riuscire ad infilare in modo corretto le chiavi nella toppa della porta ci metto un po' troppo tempo, ho le mani bagnate, sono scivolose.

Riesco ad entrare dentro la mia casa, ormai completamente fradicia.

Cammino con fare agitato lungo il corridio, fino ad arrivare alla porta della mia stanza, senza esitare la apro e mi dirigo verso l'armadio.

Prendo una sedia, vi salgo sopra, e tiro giù l'enorme valigia di pelle nera, colma di polvere.

Chissà da quanto mi aspettava. Io da troppo.

La apro senza difficoltà e a seguire metto dentro tutti i miei vestiti, senza lasciare nulla. Ormai è piena, questo non l'avevo previsto.

Mi lego i capelli ed inizio a cercare un altra borsa da poter usare, trovandola dopo qualche minuto.

È poco spaziosa, ma dovrò farmela bastare.

Infilo frettolosamente il resto delle mie cose, libri, CD, ricordi.

Sento un clacson provenire dalla strada, un brivido mi percorre la schiena, è arrivato.

Prendo i due bagagli e mi dirigo verso l'auto.

Vedo il finestrino abbassarsi, il tassista dice qualcosa, ma per il rumore assordante della pioggia che picchia contro l'asfalto, mi è impossibile sentire.

Entro dentro l'auto e con accurata precisione porto con me le due valigie.

«Dove la porto signorina?» mi chiede gentile il tassista, è un uomo sulla sessantina suppongo, i capelli bianchi e ricci che gli contornano il viso ormai consumato dall'età aspettano una mia risposta.

«All'aeroporto» rispondo decisa.

Il viaggio dura dieci minuti, ma sembrano un'eternità.

Tolgo i venti dollari dalla tasca sinistra del mio giubbotto e glieli porgo, senza dare peso a ricevere il resto.

Esco dall'auto e sgraziatamente tolgo i bagagli, portandoli dietro di me senza badare alle persone che urto nel tragitto.

Guardo l'orologio, sono in anticipo.

Prendo posto nelle scomode panche di ferro dell'aeroporto, rigirando tra le mani il mio biglietto di sola andata per Boston.

La mia unica possibilità per ricominciare, per dire addio ai problemi, per rinunciare alla mia vita nell'ombra della paura e della costante allerta.

Mi rendo conto di non perdere assolutamente nulla, non avendo amici. Non mi era permesso averli.

Troppo pericoloso.

Alzo lo sguardo e noto che ho i capelli ancora legati, li slego senza pensarci due volte.

Mi alzo e mi dirigo verso la toilette, per poi guardare con disgusto la mia immagine riflessa nello specchio.

Il trucco nero sbavato intorno ai miei occhi azzurri li rende ancora più grandi.

Apro l'acqua e mi pulisco, non posso farmi vedere in queste condizioni, non che mi importi, ma potrei attirare l'attenzione.

La situazione è decisamente migliorata, mi asciugo usando i fazzoletti già presenti nel dispenser.

Sento chiamare il mio volo e velocemente esco dal bagno per poi dirigermi verso l'aereo.

Sto per iniziare la mia nuova vita.

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I'm back.

E si, potete prenderla come una minaccia.

Questa è la mia nuova versione di Why, e come potete vedere sono cambiate tantissime cose.

Questo ovviamente è solo il prologo, ma nei capitoli veri e proprio vedrete il cambiamento.

Spero che vi piaccia anche così! Ne sarei felice.

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