Capitolo 2.

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Il piccolo taxi giallastro si ferma all'inizio di via Palmer come su mia indicazione.

Cerco con lo sguardo tra le villette a schiera del quartiere un posto che un tempo chiamavo casa.

Ricordo perfettamente l'ultima volta in cui passai per questa strada, tre anni fa.

Fu l'ultima volta che vidi quel posto, l'ultima che respirai a pieni polmoni l'aria di Boston.

Ed il pensiero che ora in quella casa sarò confinata a stare, mi appesantisce la mente.

Cammino nella passatoia del mio ormai vecchio ed incurato giardino, ammirandolo come un quadro, con la sua cornice di rami secchi e spogli rovinati dal ciclo autunnale e le cortecce muschiose degli alberi, affiancati dalle edere da una ormai forma indefinita, che accompagnano la recinzione aggroviagliandosi ad essa, quasi come se ormai l'avessero risucchiata.

Il portico legnoso porta alle mie narici un tanfo umido, noto il vecchio dondolo in ferro ormai arrugginito, che emette un suono cigolante ed aspro.

Mi chino sul pavimento, alzando un asse da davanti la porta, che si spezza a metà lasciando un buco che lascia scorgere una vecchia scatola impolverata.

«Dannazione» dico a bassa voce, per poi poggiare l'asse ormai rotta a terra e prendendo in mano la vecchia custodia.

Non riesco quasi a crederci che dopo tutti questi anni le chiavi siano ancora qui.

Mi alzo cercando di pulire invano la fanghiglia dalle ginocchia dei miei jeans, inserendo la chiave nella porta. Riesco ad aprirla a stento, questa casa cade a pezzi.

Entro nell'androne ed un odore di polvere e chiuso fa capolinea nelle mie narici, facendomi tossire di fastidio.

Percorro il corridoio, sfiorando con le dita i grandi teli bianchi che fanno da coperta ai mobili di quercia.

Giro per la casa come una turista, come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno pronto ad accogliermi.

Poso un piede con delicatezza sulle scale di marmo bianco, e vi salgo su cauta, come se si potessero spezzare da un momento all'altro.

Al primo piano si trovavano tre stanze da letto, ormai vuote, come il resto della casa.

In quella che doveva essere la mia stanza trovo un letto a mezza piazza coperto da un telo trasparente, ed un vecchio cantarano con uno specchio ingiallito.

Poso le valigie e la borsa sul letto e mi levo la giacca, pronta a rimboccarmi le maniche e a dare una sistemata a questo disastro.

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Lascio cadere gli stracci e le scope a terra, posando la busta con i detersivi sul tavolino da caffè nello spazioso soggiorno.

Inizio con l'aprire tutte le finestre, per poi lavare i pavimenti ed oggetti annessi del piano terra, che lentamente spuntano fuori da sotto i teli bianchi prendendo nuovamente vita.

Questo lavoro mi porta via tutta una giornata, mi sento stanca, affaticata ed affamata.

Mentre andavo a comprare da un piccolo negozietto all'angolo tutti gli oggetti utili per le pulizie ho visto una graziosa pizzeria, della quale ho preso il numero di telefono.

È ormai buio, e dopo aver ordinato una bella pizza apro il grande divano letto blu oltremare ad L e mi sistemo lì per la notte.

Vi è ancora in buone condizioni la mobilia, che sembra aver ignorato l'umidità ed il tempo trascorso.

La possente credenza conservava ancora dei libri impolverati ed un ampio televisore ancora funzionante, così come la cucina ha custodito gelosamente i servizi in ceramica dentro la dispensa.

Colpita dal getto dello scrittore prendo carta e penna, stilando una lista di cose da fare per la mattinata di domani.

Sono sempre stata una persona estremamente organizzata, cerco di avere tutto pronto nei minimi dettagli, studiando ogni piano e progetto come se fosse una tesi di laurea.

La mia organizzazione mi ha portata qui a Boston e nella mia casa, che ormai avevo lasciato da troppo tempo.

Come prima cosa sicuramente c'è da finire di sistemare questo rudere.

Tubi da aggiustare, porte che cigolano da oliare, serrature da cambiare, per non parlare poi del giardino e dalla soffitta da mettere sotto sopra.

La mia unica fortuna sembra essere l'acqua e l'elettricità, la cisterna che possedevo ed i grandi pannelli solari sopra il tetto mi danno un grande sollievo, la casa ora non sarà il massimo ma almeno io non vivrò nel paleolitico.

Voglio riportare al vecchio splendore questa vecchia baracca.

Con il piano terra mi sono data da fare, ma mancano tutti quei piccoli dettagli che davano la bellezza unica ad ogni stanza.

Dei quadri piazzati su ogni parete, oppure le tende luminose e dei bei tappeti sgargianti che spezzavano i toni scuri dei mobili.

Sono sicura che questi accessori ancora ci siano, saranno in delle scatole nella soffitta, almeno spero. Sono stati parte fondamentale del focolare quando ero adolescente, e guai a spostarli, erano come parte della famiglia.

Era come un ambiente sicuro, accogliente.

Poi, come tutte le cose belle, si è autodistrutto tutto in un momento.

Paragonare la vivacità che c'era prima ad il grigiore che porta ora sembrava impossibile. Sembra quasi sia diventato un altro posto, che non ci fossero mai state risate che rimbombavano nell'aria, o l'amore di una famiglia unita che lottava contro il mondo.

Come se niente della mia infanzia non fosse mai esistito, come se le fondamenta avessero dimenticato cosa sorreggevano prima.

Come se i segni sopra gli stipiti delle porte che indicavano le varie altezze prese nel tempo fossero già preesistenti ad essa, come se non avessero più significato.

Come se fosse crollato il pilastro che ci teneva in piedi e fosse crollato tutto su se stesso.

Come se il tempo si fosse azzerato.

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Ciao,

Noto con piacere che qualche persona è passata a leggere la storia, per me ognuno di voi che legge è un grande traguardo e vi ringrazio sempre per dedicare un minuto ai miei capitoli.

Cerco di impegnarmi al massimo, e come sempre se avete consigli di scrittura da darmi sono pronta ad ascoltare!

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