PROLOGO

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Il tetto del mio condominio era il luogo in cui mi ero sempre sentita a casa. Nove piani di palazzo che sovrastano la città permettendoti, in qualche modo, di vedere le colline in lontananza. Mi rifugiavo spesso lì con una coperta, la notte, ad osservare la luna e le stelle anche se più piccole e meno luminose di come sono sempre stata abituata a vederle. Nessuno saliva mai lassù e con l'autorizzazione dell'amministratore del condominio, negli anni, l'avevo abbellito con fiori, luci colorate ed un tavolo da giardino di quelli in plastica bianchi.
Una sedia, una sola per me.
Non avevo mai mostrato a nessun altro quel posto. Nemmeno a Killian nonostante passasse a casa mia buona parte delle serate durante la settimana.
Spesso mangiavo sul tetto per vedere il sole tramontare ed il cielo tingersi di rosso. Quello spettacolo era capace di rilassarmi, come se iniettasse il dolce trionfo della giornata direttamente nelle mie vene.

Mentre ero seduta sul cornicione con le mani sui fianchi pensai se tutto fosse pronto. Le lettere intestate erano sul comodino, il vestito nero stretto in vita con il fiocco sul retro era ben piegato sul letto ed Elija, il mio pesce rosso, aveva mangiato prima che salissi.

Con un po' di nostalgia ma con una determinazione che non avevo mai avuto salii in piedi sul cornicione con le mani ancora appoggiate ai fianchi. Guardare il mondo da lassù faceva mancare il fiato, una vista strepitosa su di una città dove io non esistevo. Proprio in quel momento vidi passeggiare una coppia di ragazzi che ridevano felici tenendosi per mano. Poco più sotto di me, invece, dall'altro lato della strada, da una finestra, riuscivo a scorgere tutto l'opposto: una coppia litigava furiosamente.
Ogni vita è diversa, ogni anima ha una storia dietro. Mia mamma mi ripeteva spesso "mai giudicare un libro dalla copertina".

Vero.

Credo che ogni persona entrata per qualche ragione a far parte della mia vita mi avrebbe descritto come una ragazza simpatica, amorevole, disponibile, felice.
Quello era il guscio. Il liquido all'interno era scuro e denso e puzzava di quell'odore che si portano con sé le anime non capite. Nessuno sapeva del dolore che continuava a graffiarmi il petto.

Per cui, quando un piede si sporse in avanti ed io mi lasciai andare, il vento sulla mia pelle profumava di felicità e di libertà, di uno spazio di comprensione che non ho mai avuto. Mi sentivo davvero felice dopo tantissimo tempo. Non dovevo fingere, in quel momento l'aria sapeva che la mia risata era reale.

E poi, il buio.

Mi sono buttata nel vuoto solo per colmarlo.

Se mi sono mai pentita di ciò che ho fatto? Assolutamente no.

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