CAPITOLO 1.

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Dove sono?
Intorno a me un immenso prato verde si stagliava puntellato di alberi le cui fronde mormoravano al vento. Probabilmente ero arrivata in quel posto che si cela dietro l'ingresso della morte.
Un fantastico disimpegno tranquillo e sconfinato.
Sinceramente non so cosa mi aspettassi, ma di sicuro speravo nel nulla. Mi ero tolta la vita per smettere di esistere ed in quel momento, se mi toccavo, potevo ancora sentire i miei lunghi capelli scuri legati in una treccia, i grossi occhiali inforcati sul naso e gli stessi vestiti con cui mi ero gettata dal tetto. Ero amareggiata, lo ammetto. Volevo soltanto non essere più nulla ed invece ero lì, circondata dalla natura, a ricordarmi che il mio malessere era ancora presente.

"Ecco una nuova"
Sentii una voce in lontananza e mi girai di scatto.
Non ero sola.
Un ragazzo dai capelli biondi si stava avvicinando con passo leggero ed un ironico sorriso stampato in volto.
"Chi sei?" Chiesi con voce timida.
"Mi chiamo Tay "
"Dove mi trovo?"
"A questo non ti posso rispondere"
"Cosa ci faccio qui?"
"Nemmeno a questo posso rispondere".
Stavo cominciando ad irritarmi. Nemmeno il canto degli uccelli che di solito bastava a tranquillizzarmi poteva fare nulla contro il senso di inquietudine che mi attanagliava.
"Perché non rispondi alle mie domande?"
Si era fatto più vicino ed ora potevo vedere che aveva gli occhi azzurri di un colore così limpido che ricordavano il mare quando tutto è calmo e puoi vedere i tuoi piedi sprofondare nella sabbia.
"Tu dovresti smettere di farmele"
"Quanti anni hai?" Provai tentando una strada diversa.
"26 e tu?"
"25. Ad alcune domande rispondi vedo"
"A quelle che posso. Il resto lo devi scoprire da sola. È ora che tu vada. Ci vediamo stasera Kim"
Come sapeva il mio nome se non glielo avevo rivelato?
D'improvviso gli alberi iniziarono a muoversi freneticamente seguendo il ritmo crescente del vento che si alzava ed io finii nel mezzo di un circolo di foglie che mi oscurarono la vista. Poi, il silenzio.

Rimasi sconcertata da ciò che mi apparve davanti. Ero nella sala d'aspetto di un ospedale. Sulle sedie in plastica rosse erano seduti mio padre e mia madre mentre il mio ragazzo, Killian, continuava a camminare avanti e indietro mordendosi le unghie. Vedevo la preoccupazione sui loro volti e gli occhi gonfi iniziavano a farmi capire che probabilmente stavo assistendo in diretta alle conseguenze dell'essermi gettata dal tetto.
La porta si spalancò improvvisamente ed entrarono Lacey, Rachel e Carrie come tre fulmini.
"Cosa è successo?" Chiese Lacey rivolta verso i miei genitori.
"Non sappiamo ancora nulla ma non ci stanno dando speranze" le rispose mia madre tenendosi il viso tra le mani.
Non riuscivo ad assistere a quella scena. Provai ad uscire dalla stanza ma non appena i miei piedi varcarono la soglia un fischio mi strinse le tempie facendomi contorcere dal dolore ed arretrare fino a che non fui di nuovo in quella sala, giusto in tempo per vedere il medico togliersi la mascherina dalla bocca e rivolgersi ai presenti con le solite parole "Abbiamo fatto tutto il possibile, ma purtroppo gli organi interni erano troppo lacerati. Mi dispiace"
Quello che seguì fu straziante. Vidi mia madre scoppiare in lacrime addosso a mio padre, le mie tre amiche stringersi a vicenda e Ryan crollare a terra sulle ginocchia iniziando a picchiare ripetutamente il pavimento fino a cospargerlo di sangue. Il dolore che provai fu indescrivibile.

I miei occhi non riuscivano a staccarsi da Killian, l'unico tra tutti che non stava trovando conforto in nessuno. Era solo sul pavimento e le sue lacrime si mischiavano con il sangue tingendo le piastrelle di un cremisi diluito. Avrei voluto poterlo abbracciare io. Nessuno dovrebbe vivere quel dolore da solo.
Dopo alcuni istanti si alzò e lasció la stanza. Per quanto volessi restare anche con gli altri qualcosa dentro di me mi spinse a seguirlo ed a oltrepassare la portiera chiusa fino a sedermi accanto a lui in macchina. Avrei voluto dirgli di non mettersi alla guida in quelle condizioni ma non potevo. Per quanto mi sforzassi di parlare nessun suono usciva dalla mia bocca.
Lacey uscì correndo e battè sui finestrini dicendo esattamente quello che avrei voluto dirgli io. Ryan la guardò con disgusto ed in quel preciso istante ricordai tutto quello che gli avevo detto negli ultimi mesi su come mi sentissi anche quando ero in presenza delle mie amiche. Avrei tanto voluto non farlo, perché non era colpa di Lacey né di nessuno ma ormai non potevo più tornare indietro.
La macchina partì sgommando lasciando la mia migliore amica in lacrime nella notte.

Dal tragitto che stava facendo mi accorsi che stava puntando dritto verso casa mia. Le mani gli tremavano e le nocche insanguinate lasciavano rivoli di sangue sulle mani che per tanti anni mi avevano accarezzato il viso.

Entrato nell'appartamento vide tutto quello che avevo lasciato e accarezzando il vestito nero sul letto ricominció a piangere serrando la mascella. Si avvicinò all'armadio estraendo il mio maglione preferito se lo portó al viso inspirando quello che ancora per poco sarebbe stato il mio profumo impresso sui vestiti.
Poi vide le lettere, prese la sua, quella più in alto e fece scorrere la schiena lungo l'anta dall'armadio fino a sedersi sul pavimento a leggerla. Quando finì alzò gli occhi e guardò in alto urlando:
"Kim come cazzo hai potuto lasciarmi da solo?"
Capivo la sua rabbia e vederlo così era straziante.

Restai così, a guardarlo piangere ed imprecare verso il cielo per ore fino a quando non si addormentò. Allora provai ad andargli più vicino sedendomi accanto a lui mentre dormiva un sonno agitato. Provai ad accarezzargli i capelli ma la mia mano non poteva sentire nessuna consistenza. Eppure, quando di sdraió per terra, la sua testa passó attraverso al mio grembo per poi posarsi a terra. Se non fossi stata di materia inconsistente si sarebbe appoggiata lì dove era stata milioni di volte.
Mi passò per la testa una canzone, "My immortal" è solo a metà mi resi conto che potevo udire la mia voce, anche se solo io potevo ascoltarmi cantare.

Dopo parecchio tempo un vento mi venne a prendere e mi riportò nel giardino dove tutto era cominciato.
Caddi a terra sulle ginocchia e l'erba non mi provocò il dolore che speravo. Alzando lo sguardo mi accorsi che Tay era davanti a me e mi pose un'unica, semplice domanda: "Kim, ti sei pentita di ciò che hai fatto?"
Lo guardai, piena di rabbia ma non verso di lui, quella rabbia era solo per me stessa, eppure, con i denti serrati e quasi in un sussurro risposi.
"No".

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