Il sorriso del divolo

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-Un lavoretto pulito- constatò Mikhail. Mi crogiolai per alcuni secondi nella sensazione di calore della bellissima pelliccia che avevo sottratto alla donna dai miei piedi. A lei non serviva più. Sembrava dormire, l'unico indizio che non era effettivamente viva era il piccolo foro proprio in mezzo alla fronte. E beh, le gambe piegate in una posa innaturale.

-Faccio sempre un lavoretto pulito-  gli ricordai, tirando fuori dalla tasca della pelliccia un pacchetto di sigarette. Era una buongustaia la signora; le mie preferite. Ne tirai fuori una con le unghie rifatte quella mattina ,dipinte di un rosso acceso,e  la presi tra le labbra.

-Accendi?-  chiesi, biascicando per evitare di farla cadere. Mik non si scompose e mi passò l'accendino. Avevamo finito. Lasciammo l'attico lussuoso prendendo l'ascensore, con calma. Che cosa strana la morte, è così inaspettata. Una cosa così banale. Nessuno dovrebbe mai darla per scontata, eppure è la cosa più scontata che esista. 

Scendemmo i gradini del palazzo in silenzio. C'era questa specie di patto silenzioso tra di noi, da sempre. Dopo aver preso un anima non si parla. Non è una questione di rispetto o chissà cosa, è così e basta. E poi beh, sarebbe stupido parlare di un assassinio appena commesso tra la gente. Gli lanciai le chiavi dell'auto e presi posto nel posto del passeggero. Solitamente mi sarebbe piaciuto guidare, ma quella era una di quelle giornate da Muse e sguardo assente fuori dal finestrino. 

-C'è qualcosa che ti turba Angelo della Morte?-

-Nulla turba la morte- sospirai. Presi l'ultimo tiro prima di lanciare quello che rimaneva della sigaretta fuori dal finestrino. C'era aria di neve a Mosca quella sera. Il cielo era bianchissimo; sarebbe stato perfetto per delle foto in bianco e nero. Sarebbe venuto perfetto, con la cattedrale sullo sfondo, magari come unico dettaglio colorato. Ma no, ne avevo diecimila di quegli scatti. Sospirai ancora. Il mio patrigno parcheggiò l'auto nel parcheggio sotterraneo e si incamminò senza aspettarmi verso l'ascensore. Casa nostra, casa sua, stava all'ultimo piano di quel grattacielo. All'inizio era così bello, dalla finestra della mia camera si vedeva tutta la città. Mi sentivo la regina del mondo da lassù. Poi era diventata la mia prigionia.

Mi facevano male i piedi,era dalla mattina che portavo quei tacchi scomodissimi. Il ticchettio delle mie scarpe costosissime rimbombò nello spazio angusto dell'ascensore, e un brivido di freddo mi strisciò lungo la schiena. Quella volta non bastò stringersi nella pelliccia.

-Domani è il tuo compleanno- mi ricordò il mio mentore, tenendo aperta la porta dell'appartamento per farmi passare. 

-Di già?-

Contai i giorni sulle dita della mano, anche se sapevo benissimo che non ce ne fosse bisogno. Lui non sbagliava mai. -Si, suppongo di si- gli concedetti, scuotendo la testa. 

-Tempo fa ti chiedetti cosa avresti voluto come regalo.- mi ricordò,anche se io non capivo dove volesse andare a parare. Decisi di stare al suo gioco. A lui i giochi piacevano molto.

-Mmm e io se non sbaglio ti risposi di non aver bisogno di nulla che non avessi già.-

Mi accesi un'altra sigaretta. Non ne ero dipendente,ma certe conversazioni con lui mi facevano sempre scendere un rivolo di sudore lungo la fronte, e non perché avessi paura di lui, ma perché la sua mente era troppo acuta e seguire i suoi discorsi certe volte era veramente estenuante.

-Non ho bisogno di nient'altro, sono la colomba bianca e impura che si crogiola felice nella sua gabbia d'oro.-

Risentire le mie parole non mi fece alcun effetto. Sapevo ciò che avevo detto. Un'altra goccia di sudore mi scivolò lungo la tempia, ma fui abbastanza veloce ad asciugarmela per non fargliela notare.

-Si, mi ricordo- dissi solamente, spegnendo la sigaretta nel piccolo posacenere sul tavolino di vetro del salotto. L'avevo quasi tutto arredato io, dal salone moderno alla sala da pranzo stile anni 70' che piaceva tanto a Mikhail. Allora, mi sembrava davvero il miglior posto in cui vivere. Il lampadario luccicante rifletté un alone di mistero sull'uomo in mezzo alla stanza, che si tolse la giacca con nonchelance, rivelando un maglione a collo alto. Metteva solo quelli, e lo smoking. 

-Voglio proporti una missione.- disse con la sua tipica voce roca, in russo.

-Sul serio? Anche il giorno del mio ventesimo compleanno, Mik?-

-Un ultima missione- specificò, facendo finta di non sentirmi e versandosi del rum in un bicchiere nella zona bar. Due dita esatte,come sempre. Doveva mantenere la mente lucida.

-Un ultima missione prima di cosa?- sospirai sollevata. Non volevo passare il giorno del mio compleanno nel letto di qualche riccone obeso per poi dovermi sporcare del suo sangue. Mi tolsi le scarpe, felice della sensazione dei piedi martoriati sulla moquette. Il mio mentore aspettò che Arthur, il maggiordomo, attizzasse il fuoco nel camino, prima di continuare. Mi porse un bicchiere, che accettai con piacere, anche se sapevo mi  avrebbe fatto venire un terribile mal di testa.

-Io ti amo come una figlia, Alina. E sono consapevole che questa situazione ti stia stretta. Voglio che tu possa viaggiare, vivere davvero. Hai già visto troppa morte. Ti darò quello che ti spetta per avermi spalleggiato in questi cinque anni, e sarai libera. Ma piccola, sai quanto io ami giocare.-  mi fece un sorrisetto dei suoi, quelli che non presagivano nulla di buono. Posai il bicchiere e mi tolsi la pelliccia. In quella stanza cominciava a fare terribilmente caldo e sapevo che in poco tempo l'effetto del rum mi avrebbe intorpidito i sensi. Incredibilmente il vestito rosso che avevo indossato quel giorno era ancora in ordine e pulito. Sarebbe stato un vero peccato doverlo buttare. -Non c'è nulla che io non possa fare, Mik, lo sai. Dimmi tutto.-

La voce di Amy Winehouse si espanse nel grande ambiente, dall'impianto stereo di ultima generazione che il mio patrigno aveva fatto installare nel suo studio. Fino a quel momento non ci avevo nemmeno fatto caso. Mi piaceva, come donna. Aveva carattere. Penso che a Mik ricordasse tanto sua moglie, la moglie che l'aveva abbandonato anni prima quando aveva scoperto che era un assassino. Non mi aveva mai parlato di lei, e io mai chiesto. Era un tabù, un nome impronunciabile. Di lei in quella casa non era rimasto nulla. 

-Devi uccidere un'ultima volta. Dovrei spingerti un pò lontano, però. Dovrai andare in Italia.-

Strabuzzai gli occhi. -In Italia? Così lontano?-

-E' una persona che tengo uccida tu. E non sarà un lavoretto veloce, né facile.Dovrai ricorrere a tutte le lezione che hai ricevuto e a tutto il tuo fascino e il tuo talento.Non servirà la maschera. Dovrai portargli via tutti i soldi, oltre che la vita. Mi spettano, tutti.-

-E come dovrei fare? Sono un assassina, non una rapinatrice.-

-Oh, sei intelligente Alina. Pensaci bene, come puoi portare via tutti i soldi ad una persona?-

Chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie. Sapevo che non mi avrebbe lasciato andare via con così tanta facilità, perché era consapevole del fatto che non sarei mai più tornata. Mikhail non lasciava tanto facilmente ciò che gli apparteneva.Aprii gli occhi, buttandomi sul divano. 

-Sposandolo-

Mik sorrise. E il suo sorriso sapeva di sangue e cenere  e morte e vita e di amore. Era la cosa più terrificante che avessi mai visto.

AlinaWhere stories live. Discover now