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Mi sveglio all'improvviso a causa del mio incubo, in cui stavo correndo in bici per tornare a casa, ma per strada è spuntato mio padre e io non sono riuscita a fermarmi, così l'ho...ucciso. Tasto la parete per trovare l'interruttore alla mia destra e accendo la luce. Controllo il cellulare per vedere l'ora e sbuffo quando capisco che sono le quattro e mancano ancora tre ore per la mia solita sveglia. Di norma amerei la situazione, perché, quando mi capita di svegliarmi presto, capisco di poter dormire ancora e quindi mi addormento subito. Ma stasera la vedo dura, perché sono troppo tesa, a causa di Jess, per il nostro litigio, e Daniel. Cosa c'entra lui, adesso? È colpa sua se ieri è successo quel che è successo; non avrei litigato con Jess se non mi fossi sfregiata e non mi sarei sfregiata se Daniel non avesse acceso quella maledettissima musica. Scrivo tutto questo nel mio diario, che tengo tra il materasso e la rete, perché mia madre non sistema mai il mio letto, mentre mia zia (colei che pulisce la casa tutti i giorni) non mi tradirebbe mai leggendo il mio diario. Quando sono arrabbiata si nota subito dalla mia grafia, perché è meno curata e più brutta del solito. Infatti, io non ho quella scrittura rotonda che mi piace tanto e che hanno tutte le ragazze, ma ho una scrittura molto piccola e per nulla bella, a detta dei miei genitori. L'unico vantaggio è che almeno posso scrivere parole che entrerebbero in venti righe in un massimo di dieci, mentre gli svantaggi sono molteplici: ad esempio, la mia professoressa di latino mi rimprovera sempre per la mia scrittura troppo piccola, dicendo che per l'ultimo compito ha dovuto utilizzare la lente di ingrandimento. Questa mi sembra però un'esagerazione, perché non è la mia scrittura ad essere troppo piccola, ma è lei orba. Quando finisco di scrivere, nascondo il diario e accendo la TV per guardarne un po'. Di solito guardo fox animation, ma quando mi sveglio di notte c'è solo la ripetizione dei "trailer", per così dire. Allora mi tocca mettere i documentari e aspettare le sette sentendo il cinguettio degli uccelli.

*****

Appena la sveglia suona, la spengo, così come faccio con la televisione. Mi alzo sbuffando dal letto, prima di iniziare la routine quotidiana. Apro la finestra per cambiare aria, nello stesso momento in cui Daniel si alza. Mi chiedo come mai si siano trasferiti qui, mentre scendo le scale dopo aver finito di prepararmi. Non mi sono guardata allo specchio di proposito nemmeno mentre aggiustavo i capelli. Non so proprio come siano conciati in questo momento né se si possano definire aggiustati, però non uso trucchi, quindi se ci fossero state delle occhiaie non avrei potuto far nulla. Mia mamma non sta bene, stamattina, perciò non andrà nemmeno a lavorare. Quando le chiedo per l'ennesima volta se voglia che rimanga a casa, mi risponde con tono dolce: «Non preoccuparti, me la caverò. È solo un po' di febbre.»
La guardo perplessa, perché non mi sento di lasciarla in questo stato, ma non posso fare troppe assenze, dal momento che perderei i crediti. «Torno il prima possibile, te lo prometto.»
Mi sorride dal divano. «Buona giornata.»
Esco di casa dopo aver preso l'ombrello, dal momento che oggi piove e non posso usare la bici. Comincio quindi a camminare, nello stesso momento in cui Daniel esce di casa e si dirige insieme a suo padre verso la macchina. Allungo il passo e svolto prendendo una scorciatoia poco prima che partano, per evitare che passando per le pozzanghere mi schizzino tutta. Cerco di essere più veloce in modo da arrivare a scuola in tempo, ma fallisco miseramente a causa della mia stanchezza, quindi arrivo addirittura in ritardo di cinque minuti. Quando busso alla porta, il professore di filosofia mi guarda un po' irritato. Nonostante io sia tra le sue preferite, odia i ritardatari, perché così si perdono tutta la sua spiegazione, che il più delle volte presenta ciò che non è scritto sul libro.
«Adams, come mai in ritardo?», chiede andando verso la cattedra per segnare il ritardo sul computer.
«Mi scusi, ero a piedi e mi ha rallentata il maltempo.», dico andando a sedermi ad un posto alla destra rispetto a dove mi siedo di solito, poiché al mio c'è il ragazzo antipatico della porta accanto. A questo punto mi chiedo perché Jess l'abbia fatto sedere, ma evito di parlare per evitare di creare problemi durante la spiegazione appena iniziata.

*****

All'intervallo, Daniel si alza ed esce dalla classe da solo, mentre io fermo Jess per parlarle.
«Jess, vieni un secondo vicino al termosifone?»
«Perché dovrei?», chiede acida.
«Vorrei parlarti.»
Lei sbuffa, ma comunque si dirige verso il termosifone di fronte alla classe.
«Ebbene?», esordisce.
«Mi dispiace per ieri sera, ho sbagliato. Tu ti sei preoccupata per me e io-», comincio, ma lei interrompe.
«Tu devi proprio smetterla! Non puoi continuare così, lo vuoi capire o no? Non risolvi un bel niente facendo in questo modo; fai solo del male a te stessa e a coloro che ti amano!»
La guardo dispiaciuta. «Te l'ho detto un sacco di volte che so di non risolvere nulla, ma non posso farci nulla. È uno sfogo.»
Mi guarda sarcastica. «Davvero? C'è gente che si sfoga disegnando o leggendo o scrivendo.»
«Sai bene che faccio tutte e tre le cose e non bastano.», dico tra i denti. Sta solo affondando il coltello nella piaga. Si allontana congedandosi con un "cercami quando ti renderai conto di cosa ti stai facendo". Capisco che sta dicendo tutto questo per me, perché lei sa di colpire nel punto giusto, ma è proprio per questo che mi fa arrabbiare. Oltre a ciò, si aggiunge il fatto che domani pomeriggio dovremmo passare quattro ore infernali per un corso pomeridiano obbligatorio a scuola, oltre alle cinque ore quotidiane e, per di più, non tutti i professori ci giustificheranno. Come se l'avessimo scelto noi di partecipare a corsi sulla sicurezza in ambito lavorativo. Cerco però di non pensarci per rendere la giornata un po' più sopportabile mentre prendo appunti di matematica, la mia materia preferita.
Al termine delle due ore, raccolgo le mie cose con tutta calma e mi avvio fuori dalla classe, insieme ai pochi ritardatari per i vari autobus. Con tutta calma inizio a camminare verso casa mia, ripetendo la duplicazione del DNA per cercare di far trascorrere velocemente il tempo. Chiamo mia madre al cellulare per dirle che sto arrivando, ma lei non risponde, nonostante la chiami più volte. E quindi accelero più che posso e in pochi minuti sono a casa. Quando entrò, però, mia mamma non è qui, ma la macchina è parcheggiata qui davanti, quindi non dev'essere lontana. Siccome sento la sua voce provenire dalla casa dei vicini, dopo aver posato lo zaino in camera vado di corsa da loro e suono il campanello. Mi dondolo sui talloni mentre aspetto che qualcuno venga ad aprirmi e, finalmente, la porta si apre e la signora Smith mi sorride raggiante.
«Ciao, Laura!»
«Salve, signora Smith. C'è mia madre per caso?»
«Sì, entra pure.»
Dopo che entro, la signora Smith chiude la porta e mi fa strada verso la cucina, in cui mia madre è seduta al tavolo di fronte a John, che saluto.
«Mi chiedevo dove fossi finita.», dico rivolta a mia madre mentre mi siedo dopo vari inviti di Cindy.
«Bisogna pur conoscere i vicini. Sai che i signori Smith sono entrambi avvocati?»
«Oh Jade, te l'ho già detto. Siamo John e Cindy, non i "signori Smith".», dice sorridendo.
«Hai ragione, scusami. Comunque, devi assolutamente darmi la ricetta di questi biscotti alle carote; sono buonissimi.», dice sorridente mia madre.
«Ovviamente! Anzi, aspetta che te la scrivo su un foglietto, non è molto lunga.», dice alzandosi per prendere la ricetta. Il marito si alza dal tavolo dopo aver guardato l'orologio sul polso, annunciando la sua uscita di scena e salutandoci tutte prima di andar via. Nel momento in cui Cindy ritorna con la ricetta in mano, dei passi risuonano sulle scale e Daniel fa capolino nella stanza. Ha il viso privo di emozioni e saluta mia madre senza entusiasmo, dirigendosi verso il frigo per prendere una bottiglietta d'acqua e andar via senza degnarmi di uno sguardo. Sua madre ci guarda mortificata, spiegando che il figlio è di cattivo umore al causa del trasferimento, poiché ancora devono portargli da casa molte cose considerate da lui essenziali. Tuttavia, mia madre sorride e si alza dopo aver ricevuto la ricetta, quindi salutiamo e ce ne andiamo a casa nostra. Una volta dentro, le chiedo: «Ma tu non avevi la febbre stamattina? E perché eri fuori casa allora?»
Alza le spalle andando verso i fornelli.
«Non volevo stare dentro ad annoiarmi, tutto qui. E ora dimmi, cosa vorresti mangiare di buono?»

Torn Apart. -A Dan Smith FanFictionWhere stories live. Discover now