Capitolo 1 - La disperazione

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Detroit, la notte, è una città viva. Non che il giorno abbia da invidiargli chissà cosa, sia ben chiaro, però c'è da ammettere che, quando il sole cala e lascia il palcoscenico del cielo alle stelle, qualcosa cambia, lo si sente nell'aria. I lampioni si accendono come luci teatrali e le strade, che fino a quel momento sono state ghermite di auto e di pedoni affaccendati, si silenziano e lasciano che siano altri attori a recitare. E Ryan Butler, questo, lo sa bene.

Se ne stava seduto su una logora poltrona rossa degli anni Settanta, nel suo polveroso appartamento al quarto piano di uno di quei vecchi palazzi dai mattoni rossi e la scala antincendio raggiungibile scavalcando la finestra. Premeva in continuazione il pollice sul tasto del telecomando, mentre sullo schermo del televisore alquanto datato si succedevano le immagini dei vari canali. Tossì, raccolse il catarro in gola e sputò in un angolo. Si faceva schifo, la vita gli faceva schifo. Cos'altro poteva aspettarsi dalla vita? Non si meritava nulla.

Gli venne un altro colpo di tosse. Con un pigro gesto della mano si tolse le briciole dal petto e si chinò a prendere la terza birra dal cartone. La stappò coi denti e sputò il tappo sul pavimento. Stava ancora facendo zapping col telecomando quando, ad un certo punto, si fermò su quello che cercava ormai da venti minuti: uno di quei canali dove belle ragazze in costume ondeggiano al ritmo di una musica sensuale, mentre in sovraimpressione compaiono numeri di telefono accompagnati da nomi ammiccanti e provocanti.

Osservò quelle curve, quei seni ben fatti, quelle labbra carnose. Prese il telefono dal tavolino di fronte a sé e compose un numero a caso tra quelli letti.

«Pronto?» fece una voce femminile: la ragazza era giovane.

L'uomo aspettò un po' prima di rispondere, anche se sapeva che il tempo a disposizione era poco.

«Come sei vestita?», chiese infine con tono agitato.

«Sono nuda», fu la risposta, accompagnata da un risolino compiaciuto.

«Come sei? Bionda o mora?»

«Bionda, tesoro.»

Lui sapeva che era inutile dilungarsi troppo, lei lo faceva per lavoro e lui poteva risparmiarsi quelle moine.

Chiuse gli occhi e assaporò l'ansimare di quella candida voce dall'altro capo del telefono.

«Come ti chiami?» chiese infine.

«Mi chiamano Angelo, perché con me ci si sente in paradiso.»

«No», la interruppe lui, «Qual è il tuo vero nome? Voglio saperlo.»

Lei non rispose subito e per questo lui si sentì in ansia.

«Scusa, ma la chiamata dura solo un minuto, se vuoi parlare ancora con me devi ricomporre il numero», mormorò infine la voce, e mise giù.

Lui agganciò la cornetta in malo modo: non si ricordava più il numero e il telefono a disco appena utilizzato non lo poteva aiutare in nessuna maniera. Sul televisore, intanto, erano comparse altre ragazze e nuovi numeri.

Ryan decise di lasciar perdere.

"Perché fanno quel lavoro?" si domandò, "È spregevole, solo i malati come me ne approfittano. Non dovrebbero lavorare così. Magari sono maltrattate, picchiate o violentate. Non è giusto".

Si alzò in piedi e si diresse verso il bagno. Accese la luce e si guardò allo specchio: era spettinato ma sbarbato, poiché egli aveva avuto un lavoro stupendo, che però aveva perso. Il licenziamento dal quotidiano per cui aveva lavorato aveva scatenato in lui un sentimento di abbattimento e nichilismo. Molti dei colleghi che aveva avuto e che erano stati licenziati insieme a lui si erano già impegnati per cercare un nuovo lavoro, così da mantenere alto l'onore della famiglia. Lui, invece, era caduto in uno stato di degrado che lo stava conducendo a problemi di alcolismo e al progredirsi di una dipendenza da metanfetamine di pessima qualità. Era rimasto fedele al suo lavoro da redattore per quasi dodici anni, fino al giorno definitivo in cui gli comunicarono il suo licenziamento. Abituato, dunque, a tenere il viso in ordine e a vestire elegante, sempre giacca e cravatta, non si stupiva che il suo cadere in disgrazia passava ad occhi estranei quasi inosservato. Tutti i giorni aveva lavorato costantemente senza quasi mai concedersi una distrazione di troppo. Tutti i giorni, fino a quello in cui ricevette quella terribile lettera. Ora non aveva più nulla da fare durante la giornata se non spendere i suoi risparmi in alcol. In un primo momento si era dato da fare, inviando delle lettere ad altre aziende ma, finora, nessuno aveva risposto. Nonostante avesse sognato di fare il giornalista fin da bambino, quello dell'editoria si era rivelata una categoria a rischio, specie per quei quotidiani testardi che non avevano intenzione di passare al formato digitale e promuovevano abbonamenti poco costosi a quel formato cartaceo che, ormai da tempo, quasi nessuno accettava più. Lo stress degli ultimi tempi era stato quasi insopportabile, specialmente perché voci di corridoio mormoravano già da mesi di un probabile taglio del personale.

La vertigine della folliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora