L'ingenuità dei 18 anni

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Era appena suonata l'ultima campanella dell'ultimo anno di liceo.
Sembrava la fine di un incubo.
Oltre quel cancello c'era la libertà di 24 ragazzi, tutti tra i 17 e i 18 anni che per qualche anno per chissà quale strano gioco del destino erano stati costretti a condividere insieme un pezzo di vita.
C'era la voglia di evadere. Partire. Conoscere. Sperimentare. Crescere. Ma c'era anche tanta paura.
Paura si, perché si sa, a 18 anni si ha sempre tanta fretta e poco sospetto.
Ricordo che dopo gli esami di maturità, la vita mi sembrò un grande punto interrogativo.
Cosa fare? Dove andare? Partire? Non partire? Restare?
Un bel giorno, quasi per scherzo decisi di tentare i test di ammissione a giurisprudenza in una delle università più facoltose del mezzogiorno.
Sapevo che non avrei mai avuto speranze per cui, quella mattina, varcai il cancello di quell'ateneo con la consapevolezza che sarei tornata a casa e ci sarei rimasta.
Non sapevo se sarei mai stata pronta e coraggiosa abbastanza da abbandonare la mia vita e ricominciare da zero in un'altra città a 600km di distanza da tutti i miei affetti.
Era estate. Una di quelle estati che non si dimenticano mai. L'estate dei 18 anni. Delle prime libertà. Delle notti in discoteca con le amiche fino all'alba. Era l'estate dei falò e delle corse in spiaggia in piena notte.
L'estate dei baci sotto le stelle.
Era l'estate della maturità.
Una mattina come tante, dopo aver fatto colazione con un po' di musica di sottofondo, decisi di scendere in spiaggia, quando il "Beep" di un sms cambiò i miei piani.
"Amore, hai passato i test di ammissione all'università sono orgoglioso di te. A dopo baci papà".
Rimasi a fissare il telefono. Non sapevo se essere felice, triste, arrabbiata, esaltata, eccitata, sconcertata o cosa.
Ricordo solo che mi si fermò il cuore.
Avevo bisogno di stare un po' da sola con me stessa, così presi la macchina e decisi di guidare senza meta. La testa mi diceva una cosa, il cuore rispondeva altro.
Avevo bisogno di rimanere sola. Io e me stessa dovevamo fare i conti con la realtà. Dovevo decidere. Dovevo valutare. Dovevo riflettere.
Partire avrebbe significato rivoluzionare la mia vita.
Lasciare qui i miei affetti. Le mie abitudini. Il mio mondo.
Ma era anche la mia più grande occasione e non volevo di certo deludere colore che, in me, avevano riposto speranze, sogni e desideri che loro non avevano potuto realizzare.
Il mio cuore sapeva che questa era l'unica possibilità che avevo per chiudere con il mio passato e voltare pagina e questo mi diede il coraggio di decidere.
Quella sera, dopo aver vagato senza meta per tutto il giorno, rientrai a casa, abbracciai mia madre e mio padre e cominciai a fantasticare sul futuro che mi aspettava.
Quella notte piansi tanto.
Non pensavo si potesse piangere tanto.
Una parte di me era felice, sapeva che era la decisione più giusta che potessi prendere.
Qualche giorno dopo, mi misi in viaggio con mio padre.
Quando viaggiavamo noi due avevamo come di routine una tabella di marcia da seguire e un immancabile CD rigorosamente MP3 sulle cui note cantavamo a squarciagola per tutto il viaggio.
Baglioni, Battisti, Mia Martina e Mina.
Rientrammo a casa la sera stessa, stanchi, ma felici.
Felici per il mio futuro.
Papà era orgoglioso, ma nei suoi occhi si leggeva una tristezza infinita.
La sua bimba stava prendendo il volo e lui lo sapeva che, consapevolmente o inconsapevolmente questo avrebbe significato un allontanamento non solo fisico.

Malinconia PuttanaWhere stories live. Discover now