Capitolo IV

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JASON
15 ottobre

Apro gli occhi.
Il mio corpo è a terra, privo di sensi, del tutto inumidito dal sangue e dall'acqua.

Non sento le gambe.
Perché non sento le gambe?

Sono confuso.
Non so dove sono.
Nella mia testa c'è solo tanta confusione, nemmeno un ricordo chiaro e completo.

April.
Devo trovare April.

Non la vedo, non c'è più accanto a me.
Mi volto, passo al setaccio con lo sguardo ogni singolo angolo che mi circonda, ma lei non c'è.
Era accanto a me, seduta nel sedile affianco e adesso non c'è più.

Sono solo.

Non ricordo niente.
Un boato assordante, poi il buio totale.
Attorno a me, solo pezzi di rottame e tanto fumo.

Mi accorgo di essere ancora seduto sul sedile in pelle bianca, diventata nero pece.
Non posso muovermi.
La cintura di sicurezza mi tiene legato senza darmi la possibilità di andarmene.

Attorno a me solo alberi, anzi, rami, lunghi rami contorti e spogli.
Al di sotto vedo grossi mucchi di foglie dalle mille sfumature, dal giallo al rosso e dal rosso al magenta.

Non ci sono altre persone o un'altra anima viva.

Sono solo.

Nella mia testa, questo pensiero risuona ruminante.

Odio la solitudine, non posso sopportarla.
Non sono mai riuscito a stare da solo, io con me stesso.
Ho guerre irrisolte, sentimenti repressi e scelte sbagliate mai perdonate.
Viene tutto fuori quando sono solo.
Si sentono potenti, liberi di colpire il mio petto con una spada affilata.
Hanno la certezza di ferire, di uccidermi.

In più, non sento le gambe.
Tento disperatamente, invano, di muovere le dita dei piedi, cerco di concentrarmi il più possibile, eppure nulla, nessun movimento.

Dio, ho perso le gambe, maledizione.

Milioni di pensieri cominciano ad invadermi la testa, ma cerco di non badare a loro, solo ad uno in particolare, il più importante, April.
La vedo, l'immagine di lei fissa nella mia mente.
La vedo, così com'era quando la vidi per la prima volta, così dolce, tenera e di una bellezza stravolgente.
Vedo i suoi occhi color nocciola, circondati da una sfumatura di verde scuro, non molto grandi, ma con la capacità di dire tutto senza dire una parola.
Vedo le sue labbra rosa pesca, rivolte all'insù in un sorriso da guerriera e mi immagino di baciarle per sempre, soffici e delicate, rese ancora più dolci dal burro cacao alla vaniglia.
Ancora, vedo i suoi soffici capelli castani, corti, ma con la loro straordinaria femminilità, che fanno di lei una vera e propria forza.

Non mi accontento di tutto questo.
Non mi basta averla nei miei pensieri, seppur per tutta la vita.
Ho bisogno di averla con me, viva, di sentire il suo respiro e il suo cuore che batte.
Voglio sentire il suo profumo alle rose, la sua voce tenera e mielosa e il calore del suo corpo fuso al mio in un abbraccio infinito.

Privo di forze, comincio comunque a strisciarmi sulla terra fredda, cercando disperatamente di raggiungere l'irraggiungibile.

Non appena tento di muovermi, mi rendo conto di essere ancora legato con la cintura di sicurezza, così, con la mano tremante sia per il freddo che per la paura, pigio il bottone rosso, ma lei non si muove, rimane bloccata.

Il panico mi assale, comincio violentemente a sforzare il meccanismo, tiro verso di me la fibbia, pigio più e più volte il medesimo bottone e graffio la cintura con un sasso appuntito, nella speranza di riuscire a liberarmi.

Colpa di un disastro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora