Capitolo II

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APRIL
14 ottobre

Non respiro. Non riesco a respirare.
Un terribile odore di carburante e cherosene giunge fino alle mie narici.
Non sento aria. Ho bisogno di aria.

Non che sia una novità, eppure, ogni volta che nei miei polmoni non arriva l'ossigeno necessario per tenermi in vita, mi sento sul punto di crollare.
Cadere a terra, senza respirare, chiudere gli occhi e non aprirli mai più.

Devo trovare la bombola per l'ossigeno, subito. Non posso vivere se non mi tiene in vita.
Quanta tristezza si insinua nel mio cuore all'idea che un misero oggetto sia costantemente la mia unica salvezza.

Mi sfioro il viso, portando una mano davanti al naso per alleviare quella tremenda puzza.
Gli occhialini sempre presenti nelle mie narici per donarmi ossigeno in ogni istante sono ancora lì.
Ma la bombola non c'è.

Mi volto, la cerco disperatamente.
Non la vedo, non riesco a trovarla.
Tutto è buio attorno a me, niente luci, niente stelle nel cielo, niente di niente, solo il buio più totale.

"Jas!" Urlo.

Nessuna risposta, nessun segno di vita.

"C'è qualcuno?" Grido ancora con il poco fiato che mi rimane.

Allungo il braccio destro in cerca di qualsiasi cosa, anzi, di lui, del mio Jas, ma affianco a me vi è il nulla, il vuoto.

L'aria manca sempre di più, la testa comincia a farmi male e le forze cominciano a calare.
Mi sembra di morire sempre di più ogni secondo che passa.
Sto morendo. Sta succedendo davvero.

So che devo fare qualcosa, ma il mio corpo è immobilizzato.
Non riesco a muovermi.
Vorrei scappare, ma non posso, non riesco a comandare i muscoli del mio corpo, mi sento paralizzata.

Dal nulla, odo delle urla miste al rumore del vento e della notte.

Non sono sola.
Un improvvisa sensazione di sollievo mi invade il petto.
Non sono sola e non lo sono mai stata.
Ci sono altre persone, tutti gli altri passeggeri, sono tutti qui, attorno a me.

Sento grida di disperazione e il rumore delle lamiere che viene colpito o spostato.
Si sentono i passi delle persone sul tappeto di foglie autunnali e i rami degli alberi che vengono mossi da un forte vento di tempesta.

Attorno a me ancora il buio, nemmeno un leggero scampolo di luce o un piccolo raggio della luna.
Nulla, solo il nero, l'oscurità.

Ho paura, fa tutto più paura nel buio.

L'aria continua a mancare, ho bisogno di ossigeno, subito, non reggerò a lungo.

Tento di urlare, ma dalla mia bocca non esce altro che un leggero gemito, inudibile anche da me.

Chiudo gli occhi, mi arrendo, ormai non c'è più speranza.
Ancora una volta, nella mia breve vita, mi ritrovo su quel maledetto confine tra il vivere o il morire.
Il respiro si fa sempre più affannato, il petto è come avvolto da un fuoco che brucia e un tuono dentro la testa mi distrugge.

Sembra passata un'eternità, eppure, saranno passati si e no due o tre minuti.

È sempre così.
Quando si soffre il tempo sembra fermarsi, come per farlo apposta.
Quasi per rendere il dolore ancora più intenso e insopportabile.

L'emicrania diventa sempre più intenso.
Porto una mano sulla fronte e sento del calore, un liquido molto caldo.
Sangue, forse, o carburante.
Nel poggiare la mano mi tasto qualcosa che non fa parte di me. Pare un piccolo tubo che prosegue proprio sopra la mia testa.

Colpa di un disastro Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora