Seven

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Quando finalmente decisi di scendere ed affrontare Dylan, ormai era quasi mezzo giorno.

Lui non mi aveva disturbato nemmeno una volta, e io avevo avuto tutto il tempo per lavarmi e vestirmi.

Le ferite sulle braccia e sulle gambe mi bruciavano da impazzire, perciò me le ero fasciate con delle bende trovate nella cassetta del pronto soccorso.

Dylan era seduto sul divano, e stava facendo zapping con un'aria molto annoiata.

"Posso?"

A sentire la mia voce, il suo umore cambiò drasticamente.

"Si, certo." Mi regalò un grande sorriso, e io mi sedetti al suo fianco.

"Allora, come stai?"

Probabilmente lui voleva solo avere una normale conversazione, come se fossimo una normale coppia, ma io ero del tutto intenzionata a dare sfogo ai miei pensieri.

"Cosa intendevi prima quando parlavi del fatto che non avrei mai dovuto conoscere l'altra parte di te?"

Il viso di Dylan si rabbuiò, e si morse l'interno guancia, probabilmente perché stava riflettendo su cosa dire o meno.

"Sei sicura di volerlo sapere?"

Annuii, e lui sospirò, facendomi cenno di avvicinarmi a lui.

Obbedii, ma solo per ottenere le mie risposte, e lui mi spinse tra le sue braccia.

"Succede da quando sono piccolo." disse, abbassando lo sguardo sulle sue mani "Non pensare subito all'infanzia difficile o altro: i miei genitori mi amavano. E' che ho sempre avuto questa sensazione che tutti se ne volessero andare da me, e io non posso, non posso, lasciare andar via ciò che mi appartiene. Mi fa uscire fuori di testa."

Mi guardò dritta negli occhi e avvertii una scarica di brividi lungo la schiena "Tu sei mia e non posso lasciarti andare via senza combattere, sò che ti posso rendere felice."

"Ma Dylan, devi capire che non è giusto trattenere una persona in questo modo."

"Lo so, lo so." Il moro si morse il labbro, abbassando lo sguardo, sapevo che stava per piangere e feci la cosa più stupida al mondo: lo abbracciai.

Lui si strinse a me come se fossi il suo unico appiglio di salvezza, e io mi sentii improvvisamente in colpa, come se tutta quella situazione l'avessi causata io.

"Ti aiuterò, Dylan." Gli dissi, accarezzandogli i capelli "Andremo da qualcuno di bravo e troveremo una cura, e po-"

Dylan si staccò da me, la sua espressione non era proprio quella di una persona grata "Una cura? Ma io non sono malato."

Mi allontanai da lui, vedendo la sua rabbia crescere nei suoi occhi "Si, Dylan, parlavo in generale."

"Tu pensi che io sia malato." Urlò, puntandomi un dito contro "Tu, lurida sgualdrina, pensi che io sia uno psicopatico? Un malato morboso?"

Mi alzai, cercando di avanzare verso la porta, e Dylan fece esettamente lo stesso, avvicinandosi a passo svelto "Io non sono fottutamente malato! Sei tu che non capisci niente, che non capisci che sei mia e basta."

Mi afferrò un braccio, spingendomi contro di lui "Adesso scopiamo."

Cercai di svincolarmi, ma lui mi caricò di peso sulla sua spalla ed iniziai a piangere e divincolarmi.

"Sta ferma o ti lego di nuovo." Sbraitò, gettandomi sul letto.

Il coltello era ancora sul comodino, ma non sembrava essere intenzionato ad usarlo, per mia fortuna.

Chosen {Dylan O'Brien} Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora