Capitolo XX

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J sorvegliava l'entrata, posato quanto un soldato e impassibile quanto una statua di marmo. Lo sguardo piatto scrutava le ombre. Come un fastidioso tessuto bagnato lo avvertii addosso, quando emersi dalle tenebre. Benché fui accorta nel mascherare lo stupore, la sua presenza mi colse alla sprovvista. Ero stata temprata da lunghe discussioni con il mio ego nelle giornate passate e non avevo contemplato l'ipotesi che un altro elemento esterno, oltre a Miss Key, avrebbe avuto l'occasione di sbirciare attraverso il mio dolore. Razionalmente sapevo che J già qualche settimana prima non solo l'aveva visto manifestarsi, ma anche sopraffarmi, alla stregua di qualunque altro alunno del mio anno; eppure dopo che quell'episodio aveva assunto una tale rilevanza, dopo che aveva ridestato antichi demoni e compromesso quasi la mia intera esistenza, affrontare una replica mi sembrava un affondo troppo crudele nella mia dignità.

La burattinaia di quella serata mi osservava da un angolo della stanza, infilata nel suo elegante tailleur grigio perla, e l'ombra di un sorriso le curvava le labbra.

"Posso sapere qual è l'utilità dell'averlo qui, se c'è anche lei?" sbottai.

Lei camminò in silenzio verso di me, del tutto impermeabile all'ira che sfrigolava nella mia voce. Tuttavia, con mio grande disappunto, oltrepassò me, oltrepassò J, che sembrava alieno a ciò che lo circondava, e fece scattare la serratura.

"Meglio essere prudenti" sentenziò. Ripose in una tasca la chiave, piena di una calma insopportabile, e solo quando si fu accertata della sicurezza della stanza, si volse verso di me. "Prego, che dicevi?"

"Non erano questi gli accordi."

Indicai J, il quale tossicchiò discretamente, dando segno di una traccia di una qualche forma di imbarazzo. Non mi scalfì minimamente. Sebbene non avessi infatti compreso le motivazioni del suo coinvolgimento nella vicende, perché ormai avevo intuito che non fosse solo il primo adolescente catturato nel corridoio, era abbastanza evidente che fosse discepolo e alleato di Miss Key. Ed era altrettanto evidente che quel che guidava Miss Key non si limitasse a un semplice desiderio morale. Ero decisa a scoprire perché mi avesse celato una parte di verità e quali interessi spingessero un'Alternativa a schierarsi a fianco dei Neroveggenti.

Vedevo in J una potenziale chiave, uno strumento, a cui al massimo potevo riconoscere buone doti oratorie. Quel discorso era stato finto, forse addirittura costruito in precedenza, ed era stata solo la mia temporanea debolezza a rendere quelle parole più intense, più vive, finanche sincere. Un briciolo della mia mente, l'unico che aveva resistito a quegli anni nell'Istituto mantenendo un puro candore fanciullesco, ne dubitava ancora. E nel profondo mi sarebbe piaciuto potervi cedere.

Scossi il capo, come a liberarlo da quelle riflessioni pericolanti. "Dunque?" incalzai l'insegnante.

"Dopo aver ponderato la questione, ho pensato fosse più sicuro che J vedesse anche come lavoriamo. Inoltre non voglio perdere più di venti minuti a incontro. In questo modo lui potrà rimanere e controllare l'ingresso, o comunque assicurarsi che tu non rimanga svenuta tutta la notte qua dentro. Spiegazione esaustiva?" Il sarcasmo grondava dal suo tono, che aveva totalmente perso la sua affabilità.

"Rimane il fatto che non avevamo deciso questo."

"Rimane il fatto che tu non abbia voce in capitolo."

Serrai i denti e osservai inerme l'espressione soddisfatta di Miss Key.

"Perfetto." L'insegnante si sistemò la giacca, nella calma arroganza di chi è conscio di aver battuto un avversario. "Suppongo che la discussione si concluda così."

Sconfitta e al culmine dell'irritazione, spostai la mia attenzione su J. Per un attimo le sue labbra si schiusero, sillabarono una parola tremendamente somigliante a una scusa, ma durò un battito di ciglia. Durò così poco, che forse fu frutto della mia immaginazione. Quella infantile che si ostinava, e combatteva, e resisteva a ogni attacco nonostante tutto.

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