Capitolo XXIII

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L'incontro onirico con mia madre distrusse quel che l'Istituto aveva costruito negli anni, come una sferzata di vento che spazza la polvere di una lastra di pietra.

A era morta.

Il dualismo in cui avevo vissuto non poteva più sussistere. Orgogliosamente avevo ripudiato A in passato, rifugiandomi nel fuoco avido di rabbia di Amira, eppure mai avevo ammesso a me stessa le numerose occasioni in cui il tepore rassicurante di A mi aveva avvolto, quando il dolore di Amira diveniva insopportabile. Sebbene odiassi A, a lungo mi aveva sollevato dall'onere di essere Amira, e io non le ero mai stata abbastanza riconoscente.

A non c'era più e io da quel momento avrei potuto solo portare una corona di fiori sulla sua tomba, di tanto in tanto.

W registrò immediatamente il mio cambiamento e si adattò alla riscoperta natura laconica di cui io avevo sempre ignorato l'esistenza. Muovere i primi passi da Amira nell'Istituto nel cieco biancore della luce elettrica fu scioccante. A conosceva la luce, Amira agiva nell'oscurità.

W si rese conto del mio cambiamento sin dal mattino seguente, quando mi scoprì ancora addormentata. Le ore arretrate di sonno di A si erano abbattute su Amira e quel dì persino la Prima Campanella non riuscì a destarmi. Dovette buttarmi W (con molta delicatezza) giù dal letto.

L'incontro con Miss Key non tardò a presentarsi, eppure finanche le domande erano scomparse, come stelle oscurate dal sole. Un fuoco che bruciava più intensamente degli altri aveva imposto il proprio dominio e il pallido splendore degli astri minori aveva dovuto soccombere dinanzi a tale supremazia. Le narrai nel dettaglio l'accaduto, ma sorvolai sul finale. La versione ufficiale fu che Kathleen aveva solo pronunciato il mio nome. Miss Key si informò al riguardo sui libri che testimoniavano gli studi di Jonathan Hedd e l'indomani mi lasciò sotto la porta una lettera sintetica, all'interno della quale mi spiegava più o meno quel che poteva essere accaduto. Manipolazione Involontaria Del Ricordo. In sostanza ormai avevo raggiunto un tale livello di disperazione da rendere malleabile la mia memoria, da auto-ingannarmi. Pretendevo la verità dagli altri, ma io mi cullavo nelle bugie. Che crudele ironia!

Miss Key mi domandò se volessi riprendere le esercitazioni, un ghigno speranzoso a sfigurarle il volto. Seppi che sarebbe stata felice, se avessi risposto no. Quindi non risposi affatto e uscii dalla stanza.

Tuttavia non smisi di andare nell'Aula XXIII anzi, iniziai a trascorrere le ore diurne agognando il momento in cui mi sarei potuta recare in quell'angolo tranquillo. La porta blu mi accoglieva quasi ogni notte. Usavo la chiave di W, che ormai la ragazza non si preoccupava più di cercare, e mi abbandonavo all'illusione. Soffrivo, ma in qualche modo quella sofferenza leniva il vuoto persistente lasciato da A. Persino la lucidità venne meno. Non sarei stata capace di applicare una qualunque delle tecniche apprese da Miss Key.

Forse avevo cominciato a voler ricordare. Forse non mi era rimasto altro.

Ciononostante continuavo a ridestarmi contro la mia volontà a metà del ricordo, che coincideva con il momento in cui ero stata scagliata davanti a mia madre, perciò i risultati non migliorarono rispetto a quelli avuti con le lezioni supplementari di Miss Key. D'altro canto ormai non m'interessava più. Mi aggrappavo all'unica intaccabile certezza che in un modo o nell'altro ne sarei uscita. Non sapevo quale fosse, ma l'avrei scoperto all'occorrenza.

Mi ritrovavo quindi nell'Aula XXIII, immersa nell'ottica di quella nuova filosofia, quando J irruppe nella stanza.

"Sapevo che ti avrei trovata qui."

"Non ho voglia di parlare" ribattei, senza degnarlo di attenzione.

"D'accordo. Allora rimarrò in un angolo in silenzio, finché non avrai voglia di parlarmi. Come al solito." Curvò appena le labbra e si sedette a terra. "Continua."

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