Avanzò lungo il corridoio formato dai fedeli, tenendo lo sguardo azzurro fisso sull’altare in pietra ove il Gran Sacerdote la stava attendendo, mentre le voci degli sciamani accompagnavano ogni suo passo: il cuore le martellava nel petto, mentre un piede dopo l’altro, si avvicinava a…
A cosa?
Alla fine?
Alla sua nuova nascita?
Non sapeva cosa sarebbe diventata, non sapeva cosa l’avrebbe attesa da quel momento in poi o cosa sarebbe diventata: qualcosa di più o, molto semplicemente il suo sangue avrebbe macchiato l’altare, rendendola nient’altro che un semplice sacrificio?
Un gesto folle, che i capi del suo popolo avevano deciso di compiere per fermare gli invasori che provenivano dal regno vicino.
Lei sapeva solo che non sarebbe più stata una ragazza come tutte le altre.
Un altro passo e si fermò davanti il Gran Sacerdote, osservando il volto segnato dal tempo e il sorriso benevolo che sfumava nella nota di tristezza che aveva nello sguardo: abbassò lo sguardo sull’altare, trattenendo il fiato alle catene di metallo che erano poste ai quattro angoli, avvertendo il proprio cuore iniziare a galoppare, mentre il suo intero essere la spingeva a scappare.
Avrebbe voluto tornare indietro, correre lungo la strada che l’aveva portata fin lì e andare a nascondersi nella sua casa, cullata dalle braccia di suo padre; si voltò, facendo un passo indietro e voltando la testa, notando i volti dei suoi familiari nella piccola folla che attorniava l’altare: sua sorella, la sacerdotessa, che la fissava con il mento alzato e lo sguardo pieno di lampi, al cui fianco vi era l’uomo che aveva contribuito alla sua nascita, suo padre, che la fissava con malcelato orgoglio e lo sguardo reso umido dalle lacrime.
Per loro.
Per lui.
Poteva farcela.
Doveva farcela.
Per il bene di tanti, per il bene della sua tribù e della sua famiglia.
Inspirò, socchiudendo gli occhi e girandosi su stessa, riaprendo le palpebre e incontrando, nonostante la distanza che li separava, quello verde e scanzonato di Plagg che, in attesa nel punto da cui lei era partita, attendeva il suo turno con le braccia conserte al petto, i capelli neri che gli sfioravano le spalle e le labbra atteggiate a un sorriso indolente: si erano offerti per proteggere le loro tribù e lui quasi sembrava divertente tutto ciò.
Inspirò a fondo, allungando una mano verso il Gran Sacerdote e distendendosi sull’altare, rabbrividendo quando sentì la pietra contro la pelle: si sistemò meglio, prendendo i capelli e posandoseli su una spalla, sfiorando così gli orecchini di onice che portava ai lobi, indugiando appena con i polpastrelli, mentre attorno a lei la nenia dei sacerdoti si faceva più ampia e potente. Inspirò, lasciando andare l’aria con un lento respiro e socchiuse gli occhi, mentre posava le mani sul grembo e intrecciava le dita, ascoltando la voce del Gran Sacerdote levarsi sopra le altre e iniziare a evocare i loro Dei.
I sette Dei.
Sette quante erano le tribù del loro regno.
Non doveva pensare a niente.
Non voleva farlo.
Non voleva angustiarsi per ciò che sarebbe successo.
Inspirò nuovamente, lasciando andare ancora una volta il respiro con lentezza, mentre la sua mente tornava indietro di una manciata di giorni, quando ancora non era stata chiamata a immolarsi per un bene più grande, quando ancora era una ragazza come tante altre.
Quando ancora era solo e semplicemente Tikki.
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Tikki, la prima Portatrice {Completata}
Fanfiction*IN REVISIONE* Non pensare a niente. Non pensare a ciò che succederà. Pensa a quando eri una ragazza come tutte le altre. Pensa a quando eri solo Tikki. Prima ancora della creazione dei Kwami e dei Miraculous, esistevano due regni: in lotta l'uno co...