Tikki aprì gli occhi osservando Gyrro e sorridendogli, quando l'uomo le posò una mano sulla fronte: poteva sentire la pietra fredda sotto di sé e la nenia degli altri Sacerdoti le riempiva le orecchie; si voltò di lato, cercando di vedere il punto dove aveva lasciato Plagg ma lui non c'era più.
Era sola.
«Lasciati andare, Tikki.» le mormorò Gyrro, posandole una mano sugli occhi e forzandola a chiuderli.
La ragazza obbedì, svuotando la mente da ogni pensiero e sentendo l'energia fluire dentro di lei, come un fiume in piena.
Si sentì improvvisamente potente e forte.
Pura e selvaggia energia.
Il suo corpo non esisteva più, lei non esisteva più, mentre si perdeva nel Quantum.
Si alzò – o forse non fu così – e sentì qualcosa di simile a lei, e allo stesso tempo diverso, affiancarla: gli altri volontari.
L'energia confluiva in tutti loro e lei lo sentiva.
L'energia fuoriusciva da tutti loro e lei lo vedeva.
Cosa successe poi fu qualcosa di confuso e unico: l'energia la dominava e la rendeva forte.
Il Quantum scorreva e lei lo comandava: allungò un braccio, creando un fiume – o una fune o uno scudiscio, lei non sapeva. Lei faceva. – e lo direzionò verso Routo; poi ancora manipolò quella forza e la scagliò contro i loro nemici, sentendosi sempre più potente.
Più forte.
Poi l'obliò la colse.
Il buio affievolì la luce del Quantum e lei vi sprofondò, perdendosi nel nulla.
La distruzione avvolgeva tutto e la città dalle candide mura era immersa nella rovina più totale: le case, gli edifici, venivano spazzati via dalla forza del Quantum; la gente urlava, correndo disperata per le strade e cercando di raggiungere un luogo sicuro, un posto dove poter sopravvivere.
Ma esisteva un luogo del genere? Tutta Daitya era un'enorme trappola.
Il Quantum che, placidamente, aveva dormito sotto l'isola, adesso era eruttato con tutta la sua forza e stava distruggendo tutto ciò che incontrava; i sette giovani, che si erano offerti per salvare la loro patria, ora non erano altro che immense creature piene di potere che nella loro lotta inconscia contro Routo seminavano altra distruzione.
Gyrro non seppe come aveva fatto a salvarsi: era certo di morire all'interno del Tempio dei Sette, ma qualcosa l'aveva protetto e spinto verso il porto; qui era salito su una barca e, mentre tutto il mondo attorno a lui veniva distrutto, aveva cercato la salvezza nel mare aperto, osservando la sua patria venire annientata.
La vendetta degli dei.
Quello era il prezzo che dovevano pagare dunque?
Avevano solo cercato di proteggersi, di non morire sotto la lama di Routo, e invece...
Urla disperate giunsero alle sue orecchie mentre il popolo, che così disperatamente aveva cercato di difendere, veniva spazzato via: una donna corse lungo la spiaggia e Gyrro, usando i remi, cercò di direzionare la barca verso di lei.
Qualcuno.
Doveva salvare qualcuno.
Remò con tutta la sua forza, sentendo il fiato farsi corto, e osservando la donna in riva alla spiaggia, con un fagotto stretto fra le braccia: «Donna!» urlò, mentre la montagna dell'isola urlò la sua rabbia e zampilli di fuoco liquido s'innalzarono verso il cielo e, in lontananza, la montagna di Routo rispose al richiamo della gemella.
Cos'avevano fatto?
«Donna!» urlò nuovamente, allungando la mano e vedendo la poveretta notarlo, correndo verso di lui per quanto l'acqua di mare le rendesse difficoltosa la manovra: «Vieni...»
«Il mio bambino. Salvate il mio bambino, sommo Gyrro.» gridò disperata la poveretta, allungando il fagotto verso di lui: l'uomo lo prese, assicurando la presa intorno alle coperte e lo adagiò sulla barca; si voltò verso la madre, cercando di afferrarla ma questa venne colpita da un lapillo, cadendo nel mare.
Gyrro osservò la pioggia di pietre e fuoco, prendendo poi i remi e cercando di allontanarsi da quell'inferno: il bambino piangeva sul fondo della nave, mentre lui metteva alla prova le sue forze.
Sarebbero morti lì, lo sapeva.
Non avrebbe avuto la forza di portare in salvo lui e quel bambino, che gli era stato affidato.
Smise di remare, chinando il capo e rimanendo in attesa, poco al largo della costa di Daitya volgendo il capo verso quella che era stata la sua casa: altre urla di disperazione gli giungevano, assieme al rumore della terra che si ribellava a quell'uso sconsiderato del Quantum.
Il passato avrebbe dovuto insegnare, ma loro erano stati allievi poco disciplinati.
Il tempio dei Sette, che ancora si ergeva orgoglioso in lontananza, fu colpito da un masso e alcuni detriti caddero: Keemi, Velleva, Thoss, Lossa, Abba, Zayrr...
Che ne era stato di tutti loro?
E dei ragazzi che avevano unito agli dei e al Quantum?
«Io...» mormorò, prendendosi la testa fra le mani: «Io ho fatto tutto questo.»
Il pianto del neonato si acquietò, mentre le spalle di Gyrro tremavano sotto i singhiozzi trattenuti; poi un gorgoglio gioioso si levò dal piccolo e l'uomo si sentì incuriosito: cos'è che faceva ridere quel bambino, che aveva appena perso la madre e presto sarebbe morto anche lui?
Si voltò, osservando sette piccole luci roteare intorno al neonato: rosso, nero, giallo, blu, arancio, verde e viola, questi erano i colori dei bagliori, che sembravano pulsare come cuori. Diventarono più intensi e qualcosa cadde addosso al piccolo: gioielli.
Titubante, Gyrro allungò una mano, carezzando la pietra intagliata a forma di tartaruga: conosceva quel monile, era quello che aveva regalato a Wayzz.
Conosceva tutti quei gioielli.
Erano quelli che, testardamente, i sette ragazzi avevano insistito di indossare durante la cerimonia.
Per avere un pezzo della nostra tribù con noi, aveva spiegato Flaffy sorridendo.
Le luci pulsarono ancora e lentamente affievolirono, cambiando forma: sette piccoli esserini, talmente minuscoli da stare in un palmo della mano, caddero sul fondo della barca, attorno al bambino: «Ma cosa...?» mormorò l'anziano, ormai troppo interessato a ciò che stava avvenendo sotto ai suoi occhi da ignorare la distruzione che lo circondava.
Ognuno di quei piccoli esserini ricordava uno degli animali sacri alle loro tribù: una piccola tartaruga, un'ape, un essere nero dalle sembianze feline, una farfalla, una volpe, un piccolo pavone e un essere rosso con una macchia nera sulla fronte.
Proprio quest'ultimo aprì le palpebre, osservandolo e sorridendo dolcemente: «Maestro?»
«Tikki?» mormorò l'uomo sorpreso, riconoscendo la voce e guardando gli altri con rinnovata consapevolezza: quei sette esseri erano...erano...
«E' andata bene, maestro?» gli domandò la piccola, prima di perdere nuovamente i sensi e Gyrro fu grato di questo perché non avrebbe saputo trovare le parole per dirgli che tutto ciò che era successo e che il posto, che chiamavano casa, era andato distrutto per sempre.
Quanto tempo era passato?
Quanto tempo era passato da quando, mettendo mano ai remi, aveva remato per giorni e giorni, provando le sue forze fino al limite e giungendo nelle terre barbare?
Quanto tempo era passato da quando, vagabondando nelle terre barbare, era giunto in quel luogo?
A Gyrro sembrava che fosse successo tutto pochi momenti prima, ma invece erano trascorsi dieci anni da quando viveva in quel posto, così lontano da dove era nato e cresciuto; dopo la distruzione di Daitya era andato verso est, con il bambino e gli spiritelli – a cui poi aveva dato il nome di kwami, storcendo la parola divinità di una nazione vicina –, trovando rifugio in quella zona di montagna, così lontana da tutti.
I nativi avevano chiamato quel posto Nêdong e lui aveva trovato la pace per la sua anima distrutta.
Camminò lungo la cinta muraria del Tempio, osservando le greggi che pascolavano placide: «Maestro! Maestro!» il richiamo di un giovane accolito lo distolse dai suoi pensieri, facendolo voltare verso il ragazzo che stava correndo nella sua direzione, con la veste tirata su in modo che non gli impedisse il passo: «Maestro! E' successa una cosa!»
«Cosa? E riprendi fiato...»
«I gioielli hanno iniziato a brillare.»
Gyrro inclinò la testa, marciando verso la stanza ove venivano custoditi i sette gioielli che aveva portato con sé, con l'accolito al seguito: durante il viaggio, gli spiritelli erano entrati dentro i monili e da lì non erano più usciti: «Com'è possibile?» domandò, entrando nella stanza e osservando i sette monili che brillavano, fluttuando a mezz'aria: «Qualcuno li ha toccati?»
I monaci scossero il capo e Gyrro rimase a osservare l'evento, senza saper dire qualcosa: «Il loro tempo è giunto.» mormorò una voce di bambino, facendo voltare tutti: «Questo mondo avrà bisogno della loro forza e della loro magia. Alcune volte verranno usati a fin di bene, altre a fin di male; poiché l'equilibrio dev'essere mantenuto.»
«Kang...» mormorò Gyrro, osservando il bambino compatriota avanzare nella stanza: fin dai suoi primi anni di vita, Kang aveva mostrato di possedere il dono della Vista, anticipando alcuni avvenimenti con un pianto o un sorriso, quando ancora non aveva l'uso della parola, o avvertendo i monaci del tempio quando aveva iniziato a parlare.
Gyrro l'aveva osservato, intravedendo in quel potere il motivo per cui quel bambino era stato salvato tempo addietro dalla furia dei Sette: un profeta dell'antico impero, questo Kang sarebbe diventato.
E Gyrro si era già messo in moto, per mandare Kang, una volta raggiunta la pubertà, in un luogo ove il suo potere sarebbe stato indirizzato e compreso molto meglio che lì, a Nêdong.
Kang aveva un motivo per essere ancora vivo. Ma lui?
Ancora, a distanza di anni, si domandava perché lui – lui che, sconsideratamente, aveva proposto di usare il potere del Quantum – era stato graziato?
Kang si voltò verso di lui, sorridendogli gioiosamente e prendendogli una mano fra le sue, più piccole: «Tu sarai il primo Guardiano e a te ne susseguiranno altri: girerai il mondo e donerai i gioielli ad anime degne, poiché possano proteggere coloro che non hanno la forza. Tu sceglierai coloro che saranno considerati miracolosi.» Kang si fermò, incontrando lo sguardo dell'altro e stringendo le dita nodose con più forza: «C'è sempre stato un motivo, Gyrro. Ma il momento non era ancora maturo.»
«Ma...»
«C'è bisogno della forza dei Sette, adesso. C'è bisogno che tu sia saggio, come lo sei stato a Daitya.»
«Io non...»
«In quel momento, tu hai fatto la scelta più saggia che potevi fare: non sapevi cosa sarebbe successo e non potevi prevederlo. Questo è il mio compito, il tuo è quello di trovare altre sette persone e donare a loro i gioielli, in modo che possano fermare ciò che di male c'è a questo mondo: non sempre ci riusciranno, ma molto spesso vinceranno.» Kang si fermò, abbassando lo sguardo verso il pavimento: «Partirai domani e questa sarà l'ultima volta che ci vedremo.»
Gyrro rimase senza parole, osservando il bambino alzare il volto e regalargli un sorriso gioioso: «Grazie, piccolo Kang.» mormorò, liberando una mano e posandogliela sul capo, accettando così il destino che gli era stato predetto: «Che i Sette ti proteggano. Sempre.»
Gyrro alzò il capo, osservando le grandi mura del tempio in lontananza: la sacca sulle spalle conteneva gli oggetti miracolosi, ognuno racchiuso in un sacchetto con un simbolo ricamato sopra dagli accoliti di Nêdong; il bastone che teneva fra le mani, invece gli era stato donato proprio dal piccolo Kang al momento della partenza.
Così che tu possa trovare la via, gli aveva detto.
Gyrro sorrise, lasciando cadere la verga per terra e osservandola puntare verso ovest: «Che ovest sia.»
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Tikki, la prima Portatrice {Completata}
Fanfiction*IN REVISIONE* Non pensare a niente. Non pensare a ciò che succederà. Pensa a quando eri una ragazza come tutte le altre. Pensa a quando eri solo Tikki. Prima ancora della creazione dei Kwami e dei Miraculous, esistevano due regni: in lotta l'uno co...