Capitolo due (da 36 a 40)

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Jessica fece un passo indietro, il suo respiro era affannoso. "John, ridammi la torcia più grande." Lui gliela porse e lei si girò di nuovo puntandola dov'era prima lo scaffale. "Eccola." Disse. Era in metallo arrugginito e sporco di vernice, un netto contrasto con le pareti intorno. C'era solo un buco dove doveva esserci la maniglia, qualcuno doveva averla rimossa in modo che lo scaffale potesse aderire completamente al muro. In silenzio, Charlie consegnò di nuovo la torcia a John e lui la puntò sopra la sua testa in modo che potesse vedere. Charlie oltrepassò gli altri e cercò di spremere le dita nel buco dove un tempo c'era la maniglia, provando ad aprire la porta senza alcun risultato "Non si aprirà." Disse. John era dietro di lei, stava sbirciando da sopra la spalla "Solo un secondo." Si strinse nello spazio accanto a lei e si inginocchiò facendo attenzione. "Io non credo che sia bloccata." Disse. "Penso che sia solo arrugginita. Guarda. La porta si estendeva fino al pavimento, il fondo era lacerato e non finito. I cardini erano dall'altra parte ed i bordi erano incrostati di ruggine. Era come se nessuno l'avesse aperta per anni. John e Charlie tirarono insieme e la porta di mosse di una frazione di centimetro. "Yay!" Esclamò Jessica, quasi gridando, poi si copri la bocca "Mi dispiace." Si scuso sussurrando. "Devo contenere il mio entusiasmo." Fecero a turno per tirare, appoggiandosi l'uno sull'altro, il metallo raschiava le dita. Ci volle molto tempo, poi la porta si ammorbidi sotto il loro peso, si apri oscillando lentamente con uno stridio ultraterreno. Charlie si guardò nervosamente alle spalle, ma la guardia non appari. La porta aperta quanto un piede di larghezza ed entrarono uno per uno, fino a quando tutti e quattro furono attraverso. All'interno, l'aria cambiò e tutti si fermarono di colpo. Davanti a loro c'era un corridoio buio, familiare a tutti. "Questo è...?" Jessica sussurrò senza distogliere gli occhi dallo spazio buio. "E qui." Penso Charlie. Tese la mano per la torcia e John gliela porse senza dire una parola. Punto la luce davanti a loro, spazzando le pareti, erano coperte da disegni di bambini, pastelli su carta ingiallita e curvata. Charlie andò avanti e gli altri la seguirono, i piedi scivolavano sulle vecchie mattonelle. Sembravano volerci ore per attraversare il corridoio, o forse era solo perché si stavano muovendo lentamente, con passi metodici e intenzionali. Alla fine il corridoio si apri in una distesa più grande: la sala da pranzo. Era proprio come la ricordavano, completamente conservata. La grande luce della torcia rimbalzò su mille piccole cose riflettenti, scintillanti, o coperte di nastro in pellicola. I tavoli erano ancora al loro posto, coperti dalle loro tovaglie bianche ed argentee, le sedie erano posizionate a casaccio, alcuni tavoli con troppe e altri con pochissime. Sembrava come se la stanza fosse stata abbandonata nel mezzo dell'ora di pranzo: tutti si erano alzati in attesa di tornare, ma non lo fecero mai. Camminavano con cautela, respirando l'aria viziata e fredda che era stata intrappolata per oltre un decennio L'intero ristorante emanava un senso di abbandono, nessuno era tornato. C'era una piccola giostra dei cavalli appenavisibile in un angolo lontano, con quattro cavallini a misura di bambino ancora fermi dalla loro ultima canzone. All'istante, Charlie si congelo sul posto, cosi come fecero gli altri. Eccoli. Gli occhi che fissavano dal buio, grandi e senza vita. Un panico illogico pulsava attraverso di lei, il tempo si era come fermato. Nessuno parlò, nessuno fiatò, come se un predatore li stesse inseguendo Ma, con il passare dei minuti, la paura svani, fino a quando lei era di nuovo come una bambina con i vecchi amici, separati gli uni dagli altri per troppo tempo. Charlie si diresse verso gli occhi in una linea retta. Dietro di lei gli altri erano immobili: i suoi erano gli unici passi. Mentre camminava, Charlie toccò la fredda parte posteriore di una vecchia sedia senza guardarla, facendole strada verso il suo percorso. Fece un passo finale e gli occhi nel buio divennero chiari. Erano loro. Charlie sorrise "Ciao." sussurrò, troppo piano perché gli altri sentissero. Davanti a lei c'erano tre animali meccanici: un orso, un coniglio e un pollo, tutti alti bambini, pastelli su carta ingiallita e curvata. Charlie andò avanti e gli altri la seguirono, i piedi scivolavano sulle vecchie mattonelle. Sembravano volerci ore per attraversare il corridoio, o forse era solo perché si stavano muovendo lentamente, con passi metodici e intenzionali. Alla fine il corridoio si apri in una distesa più grande: la sala da pranzo. Era proprio come la ricordavano, completamente conservata. La grande luce della torcia rimbalzò su mille piccole cose riflettenti, scintillanti, o coperte di nastro in pellicola. I tavoli erano ancora al loro posto, coperti dalle loro tovaglie bianche ed argentee, le sedie erano posizionate a casaccio, alcuni tavoli con troppe e altri con pochissime. Sembrava come se la stanza fosse stata abbandonata nel mezzo dell'ora di pranzo: tutti si erano alzati in attesa di tornare, ma non lo fecero mai. Camminavano con cautela, respirando l'aria viziata e fredda che era stata intrappolata per oltre un decennio L'intero ristorante emanava un senso di abbandono, nessuno era tornato. C'era una piccola giostra dei cavalli appena inquietante, con gli occhi impostati nella glassa rosa e denti appesi sulla parte non glassata, una singola candela era conficcata al di sopra del tortino. "Mi sono sempre aspettato che prima o poi il cupcake saltasse dal piatto." Carlton disse con una leggera risata e raggiunse Charlie cautamente. "Sembrano più alto di quanto ricordassi." Aggiunse in un sussurro "Perché sei mai stato cosi vicino quando eri piccolo. "Charlie sorrise a suo agio e si avvicinò. "Eri troppo occupato a nasconderti sotto ai tavoli." Disse Jessica dietro di loro, ancora a una certa distanza. Chica indossava un bavaglino al collo con la parola Mangiamo!" in viola e giallo su uno sfondo di coriandoli e un ciuffo di piume era fissato nel bel mezzo della sua testa. in piedi tra Bonnie e Chica c'era Freddy Fazbear, omonimo del ristorante. Era quello con l'aspetto più geniale dei tre, non dava nessun accenno che avrebbe preferito essere altrove. Uno robusto, anche se magro, orso bruno, sorrideva al pubblico con un microfono in una zampa,un farfallino nero e un cappello a cilindro. L'unica incongruenza nei suoi lineamenti era il colore degli occhi: di un azzurro brillante che sicuramente nessun orso aveva mai avuto prima di lui. La bocca era aperta e gli occhi erano parzialmente chiusi, come se fosse stato congelato durante il canto. Carlton si avvicinò al palco fino a quando le ginocchia si scontrarono contro il bordo di esso. "Hey Freddy Sussurro. "E da molto tempo che non ci si vede." Allungo una mano e afferro il microfono, dimenandolo per vedere se la presa potesse essere ammorbidita "No!" Charlie sbottò, guardando con uno sguardo fisso Freddy, come per assicurarsi che non avesse notato. Carlton ritrasse la mano come se avesse toccato qualcosa di caldo. "Mi dispiace." "Andiamo disse John, con un vago sorriso. "Non vuoi vedere il resto del posto? Si sparsero in tutta la stanza, guardando negli angoli e cercando con attenzione le porte, agendo come se tutto potesse essere fragile al tatto. John si avvicinò al piccolo carosello e Carlton scomparve nella stanza buia dei giochi arcade. "Mi ricordo quando era molto più luminoso e rumoroso qui." Carlton sorrise come se fosse di nuovo a casa, passando le mani sulle manopole invecchiate e i tasti di plastica piatti. "Chissà se i miei record più alti sono ancora qui Mormorò tra sé e sé. lla sinistra del palco c'era un piccolo corridoio Sperando che nessuno notasse dove stava andando Charlie cominciò a camminare in silenzio, vedendo che gli altri erano occupati con le altre curiosità. Alla fine del breve corridoio c'era l'ufficio di suo padre. Era sempre stato il posto preferito di Charlie nel ristorante, le piaceva giocare con i suoi amici nella zona principale ma amava il singolare privilegio di tornare li quando suo padre stava lavorando. Si fermò davanti alla porta chiusa, la mano pronta sopra alla maniglia mentre era assalita dai ricordi. La maggior parte della stanza era riempita dalla scrivania, i suoi schedari e piccole scatole di parti che non gli interessavano. In un angolo c'era un piccolo armadietto, dipinto di un colore salmone che Charlie aveva sempre insistito essere rosa. Quello era di Charlie. Nel cassetto in basso teneva i giocattoli e i colori e nella parte superiore c'era quello che lei amava chiamare "il mio lavoro di ufficio." Erano per lo più libri da colorare e disegni, ma di tanto in tanto andava alla scrivania di suo padre e cercare di copiare tutto quello che stava scrivendo con una scrittura infantile e un pastello.

Five Nights At Freddy's: The Silver Eyes TRADUZIONE ITALIANADove le storie prendono vita. Scoprilo ora