Bere e fumare come un bastardo non mi aiutava. Tatuarmi segni sul petto e sulle braccia non mi rendeva più forte di quello che già sapevo di essere. Perchè ero forte ma non lo sapevo. Mi sentivo debole, debole come un filo di erba che si strappa appena tiri con più forza. Avevo subito maledizioni che ti uccidono da dentro o ti fanno diventare pazzo. Avevo subito le frustate con le cinte di pelle di mio padre sulla mia schiena da quindicenne. Avevo visto dei bambini di otto anni morire o soffrire davanti ai miei occhi anche per causa mia. Ma non mi sono mai fermato. Sapevo che, dentro di me, se mi fossi fermato per me sarebbe stata una lunga nottata di torture e avrei visto le gocce di sudore scendere dai miei capelli neri per poi toccare terra con insofferenza quella che, purtroppo, non sarebbe mai stata mia. Ed era per questo che non mi fermavo. Se lo facevo era solo quando, ormai, le vittime scelte per la violenza imploravano pietà di morte strusciando a terra o quando morivano mentre le ultime immagini lasciavano i loro occhi e l'ultimo respiro usciva dalla gola. Ma questa volta era diverso. Non potevo andare avanti.
Avevo davanti a me un ragazzo quindicenne, proprio della mia stessa età, con i capelli bruni e corti e gli occhi color pece che, difficilmente riuscivano a trasmettere emozioni. Era seduto su quella sedia di legno che aveva accolto tanti altri prima di lui illuminato dalla luce del soffitto mentre io mi rifugiavo nell'ombra sotto lo sguardo attento e maniaco di mia madre, già pronta con la bacchetta e la cinta in mano in caso io fallissi.
Il ragazzo si stava agitando anche se le corde gli segavano le caviglie e i polsi. Era ancora giovane, giovane come me. Sapevo cosa si provasse quando si era seduti su quella sedia e non era piacevole, credetemi. Era solo un babbano con una famiglia a casa.
Mentre si muoveva sulla sedia cercando di scorgere l'immagine del suo futuro assassino, me, gli cadde qualcosa dai pantaloni. Un oggetto di pelle nera con una cerniera. Un portafoglio babbano per l'esattezza.
«Uuh cosa abbiamo qui?»domandó mia cugina Bellatrix Black varcando a grandi falcate la porta per poi posizionarsi davanti al viso del povero ragazzo. Si chinó abbastanza per prendere il portafoglio e subito dopo essersi rialzata lo aprì.
«Allora...chi è questa? La tua sorellina? Oh, com'è carina. Guarda ha le codine bionde!»prese una foto e gliela mostró come se fosse la prima volta che la vedesse.
«Chissà che fine farà lei? Magari passeremo a casa tua per sapere quanto resiste a qualche tortura che dici? Ok, passiamo a questa altra foto. Mmm...lei è la tua fidanzatina? Beh, mora con gli occhi celesti, te la sei scelta bene. Se sareste stati sposati sarebbe finita vedova!»scoppió in una risata pazzoide che rimbombó nelle piccole pareti come se sembrasse infinita.
Il ragazzo peró non parló, non fiató, non spalancó gli occhi. Era come se fosse già morto dentro, come se si aspettasse un trattamento del genere.
«Bellatrix passiamo ai fatti»sussurró mia madre con voce maligna dall'angolo della stanza in cui si trovava. La ragazza in questione fece ondeggiare i suoi capelli neri e ricci e uscì dalla stanza ancora con il sorriso matto sul viso.
«Vai Sirius, tocca a te. E ricorda, se non farai ció che io e tuo padre ti richiediamo...lo sai...»e per "lo sai" si, lo sapevo benissimo.
Perció feci qualche passo in avanti uscendo dalla penombra e avvicinandomi al volto magro e pallido del giovane in questione. Gli puntai la bacchetta a poca distanza dal torace e poi pensai all'incamtesimo. Era così difficile per me. Discendevo da una famiglia che uccideva per puro divertimento, una famiglia che aveva servito con onore Voldemort eppure era così difficile. Era così e ci avevo fatto l'abitudine: ero la pecora nera della famiglia ma in quel caso ero quella bianca. Non riuscivo a guardarlo negli occhi per poi vederli spegnersi proprio a causa mia. Non ce la facevo.
«Muoviti Sirius o dovró chiamare tuo padre!»mi urló mia madre uscendo anche lei dall'oscurità. La veste nera e verde che le cadeva lungo i fianchi, il medaglione al collo, l'anello con l'incisione della casata Black sul dito medio che reggeva la bacchetta. L'oscurità era adatta a lei, ci si mimetizzava alla perfezione come se lei e l'oscurità fossero una cosa sola.
«Allora chiamalo perchè io non gli faró un bel niente!»gli dissi in risposta voltandomi mentre abbassavo la bacchetta. Fissai i miei occhi color tempesta nei suoi neri che ora erano trapassati da una vena di pazzia.
«Sirius Orion Black non ti rivolgere a tua madre in questo modo!»mi gridó in risposta. Perchè questa donna urlava rimane e rimarrà a tutti un mistero.
«Se no? Che mi fai?»la sfidai avvicinandomi al punto in cui si trovava. Ormai la bacchetta le era in pugno e la teneva stretta tra le dita nervose.
«Bellatrix!»chiamó la donna. Sapevo cosa mi stava per accadere, ne ero consapevole. Ormai non potevano farmi altro che già non mi era stato fatto.
«Chiama Orion.»ordinó e la ragazza fece scattare subito il suo sorrisino maligno.
Passarono i minuti e io rimanevo a fissare il vuoto davanti a me. Poi i miei occhi si rivolsero dentro quelli del ragazzo che, molto presto, sarebbe stato uno dei tanti cadaveri che buttavano nel fuoco per poi trasformarsi in cenere.
«Perchè non mi hai ucciso?»chiese il giovane che molto presto sarebbe rimasto senza voce.
«Perchè non sono come loro.»risposi gelidamente. Non piangeva, non soffriva, non gemeva. Era strano questo ragazzo, quasi non sentisse dolore.
«Ora soffrirai tu al posto mio peró.»mi fece notare il giovane come se già non fossi a conoscenza di quello che mi sarebbe successo a poco.
«Lo so. Non è la prima volta.»dissi solamente. Poi la porta si aprì di furia e con uno scatto entró quell'uomo che io chiamavo padre. Aveva la tunica blu notte quasi nera e la camicia verde per risaltare il colore dei Serpeverde. Si avventó su di me poggiando con forza la mano sotto il mio collo e spingendomi verso il muro per poi sollevarmi e tenermi così mentre mi parlava.
«SEI LO SCHIFO DELLA NOSTRA FAMIGLIA! IL REIETTO DEI BLACK! TU DOVRESTI DARE L'ESEMPIO A TUO FRATELLO INVECE NON FAI ALTRO CHE DISUBBIDIRE!»urló mentre mi lasciava e cadevo sul pavimento di legno.
«Perchè dovrei?!»gridai in risposta con tono di sfida proprio come se me l'andassi a cercare. Ma io non ero come loro. Non sarei stato come Regulus che si inchinava appena i nostri genitori passavano o come Bellatrix che era diventata un'assassina per soddisfare i Black. No. Io non ero così. Ma nessuno mi capiva.
«Sei solo un ragazzino a cui abbiamo dato troppo!»disse tirando fuori la bacchetta dalla tasca e puntandomela contro. Eccoci, c'eravamo di nuovo. Tante volte avevo vissuto quella scena e ora di nuovo. Mi preparai psicologicamente a quello che sarebbe successo dopo ma non servì a nulla come il resto delle volte, ovvio.
Ed ecco il solito dolore di lame incandescenti che si infilzavano nella pelle lasciandomi squarci aperti e sgorganti di sangue che, apparentemente non c'erano, ma io li sentivo. Li sentivo eccome. Il mio solito contorcermi dal dolore era già iniziato. Non c'era niente di nuovo. Io a terra a dimenarmi, mio padre che mi osservava spregevolmente e due paia di occhi in fondo alla stanza che osservavano la scena con timore. Ma questa volta, in quei due occhi, c'era anche rabbia.
E forse fu proprio questo il pretesto che mi aiutó a far cambiare il solito giro.
Mentalmente mi dissi che era ora di smetterla di soffrire e che dovevo porre fine a questo dolore in qualche modo. Poi in testa vidi le immagini dei miei amici: James Potter, Remus Lupin e Peter Minus. Tutto cambió. Mentre mi contorcevo afferrai la bacchetta che era scivolata a terra nel momento in cui mio padre mi aveva preso per il collo e, con la poca capacità che avevo di muovermi, lanciai uno schiantesimo nella direzione dell'uomo che mi stava facendo impazzire. La tortura terminó l'attimo seguente. Fu come liberarsi da un macigno sullo stomaco. Mi alzai subito, perchè ero abituato a quel tipo di dolore, e vidi le perle di sudore scendermi dai capelli fino al collo. Scivolavano dalle mie ciocche lisce mentre avanzavo verso la porta. Poi mi girai, non potevo lasciarlo. Tornai indietro di qualche passo e mi chinai su quel ragazzo che in pochi minuti mi aveva fatto capire tante cose che prima non sapevo. Sciolsi i nodi attorno alle caviglie e ai polsi. Lui se li guardó e li massaggió con le mani e mentre uscivo mi richiamó.
«Eih, buona fortuna»mi disse soltanto. Lo guardai un attimo prima di dirgli:
«Anche a te amico.»
Uscì da quella stanza infernale, quella stanza che mi aveva provocato solo brutti ricordi. Fuori c'era mia madre ad aspettarmi.
«Sirius Orion Black dov'è tuo padre?!»mi chiese scorbutica sbattendomi contro la porta che avevo appena richiuso dietro le mie spalle.
«È svenuto ed è li dentro. Dovresti essere contenta dato che, dopo molti tentativi, sono riuscito a stendere qualcuno, no?»la schernì. Lei mi soffió sul viso ancora bagnato e poi inizió a urlarmi in faccia mentre entrava nella stanza. Dopo uno dei suoi schiaffi sulla guancia mi incamminai velocemente verso la mia stanza su cui c'era scritto il mio nome sulla porta e preparai il baule di Hogwarts anche se eravamo a metà agosto. Non sapevo affatto dove sarei andato ma una cosa era certa: non sarei più tornato a Grimmauld Place se ci fosse stato ancora qualche Black al suo interno. Forse avrei tentato di andare da James, dai Potter ero sempre il benvenuto, e magari solo per una notte sarei potuto rimanere lì.
Appena finì scesi di corsa le scale portandomi sulle spalle il borsone pesante. Dopo tutto quello che avevo passato lì dentro era quasi piacevole questo. Prima di incontrare gli occhi blu di Regulus sentì la voce di mia madre.
«AVADA KEDAVRA!»non volli sapere come aveva ridotto il ragazzo prima di ucciderlo. Non lo volli quel giorno e non lo volli mai più.
«Sirius...dove stai andando?»mi chiese mio fratello mentre sorpassavo il salotto sentendo le minacce di morte che mi stava mandando mia madre urlando.
«Ovunque è meglio che qui. Forse andró da James...»confessai a lui. Sapevo che molto probabilmente lo avrebbe detto a mamma appena lei glielo avrebbe chiesto ma mi fidavo di lui, era pur sempre mio fratello.
«Dai Potter? Sei impazzito? Se mamma ti trova ti...»ma non terminó mai quella frase perchè non riusciva nemmeno a pensare cosa mi avrebbe fatto quella donna.
«Lo so Reg.»risposi con la voce inclinata dalle lacrime, forse. Stavo per piangere. Io non piangevo mai. Quando mi torturavano urlavo ma non piangevo.
«Sirius davvero vuoi andartene?»mi chiese seriamente mio fratello afferrandomi il braccio con violenza e facendomi girare.
«Vieni con me.»gli proprosi. Lui lasció la presa facendo scivolare le dita sull'avambraccio e vidi l'idea sfiorargli la mente per poi uscirgli.
«Sirius ma sei impazzito?»mi domandó con una nota di preoccupazione. Io non risposi. Capii che prese quel silenzio come se fosse una conferma di quello che stavo per fare. Tiró fuori la bacchetta e me la puntó.
«Non costringermi a farlo...»imploró il giovane Serpeverde sfiorandomi il petto con la punta di legno. Nella sua frase c'era una punta che mi faceva intendere che stava per piangere.
«Non devi essere costretto. Vieni con me Reg.»gli offrii nuovamente ma lui dava segno di dissentire. Fece cedere lentamente il braccio e lo mise lungo il corpo.
«No Sir. No.»rispose. Forse questa fu l'ultima volta che sentii il mio nome uscire dalla sua bocca con tono gentile e fraterno.
Aprii la porta di casa. Ero consapevole che se avessi fatto un passo avrei detto addio alla casata dei Black. Ero pronto.
«Abbi cura di te Reg.»dissi uscendo di casa e sbattendomi la porta alle spalle.
Sentivo ancora le urla di mia madre che si ripetevano nei miei timpani stremati ormai. Sapevo perfettamente che da quel giorno in poi avrei dovuto avere dei comportamenti diversi rispetto a mio fratello...
Ci pensai a lungo. Ormai mio padre non era più mio padre, era solo Orion Black. Mia madre nemmeno era più mia madre, era solo un'altra Black. E pure mio fratello non era più mio fratello, era l'ennesimo Black che avevo perso, forse l'unico che mi aveva veramente deluso. Perchè Regulus Black mi aveva deluso. Ma quella era la sua decisione, questa era la mia.
Uscii dal palazzo e mi ritrovai sotto la pioggia segno per cui non potevo arrivare da James a piedi.
Non mi ero mai smaterializzato prima d'ora, quella fu la prima volta.
Quando arrivai avevo di fronte l'immensa villa Potter. Salii tutti i gradini e poi feci per suonare il campanello ma mi bloccai. Volevo veramente quello che stavo per fare? Volevo veramente importunare James? Dovevo tentare. Schiacciai il pulsante e in pochi minuti sentì dei tonfi sul pavimento, la solita camminata da elefante di James. La porta si aprì e il suo sorriso si tramutó in un espressione imponente appena mi vide.
«Ciao J-James.»dissi balbettando. Non so se stavo balbettando dal freddo dato che pioveva o singhiozzavo perchè avevo pianto. In ogni caso, James non mi diede nemmeno il tempo per spiegare che mi prese per il gomito tirandomi dentro casa.
«Che è successo con i tuoi genitori?»mi chiese. Era davvero il mio migliore amico. Già sapeva che avevo litigato con i miei che non erano più i miei genitori.
«Sono scappato. Dovevo uccidere un ragazzo, mi sono rifiutato.»spiegai velocemente. Poi vidi Dorea e Charlus Potter entrare nella stanza e precipitarsi verso di me a chiedere spiegazioni.
«Tranquillo ti prepariamo un posto per la notte»disse la signora Potter dopo che ebbi spiegato la storia.
«Non dai fastidio, puoi rimanere tutto il tempo che vuoi.»specificó suo marito sapendo che mi sarei fatto i problemi per poi seguire la donna che si era già avviata per andare a preparare la stanza.
James mi trascinó nel salotto e mi fece sedere sul divano.
«Adesso?»chiesi con una coperta che mi copriva le spalle e mi stava riscaldanto che mi aveva dato la signora Potter.
«Adesso sei mio fratello»«Questo fu quello che successe quella sera. Tranquillo Harry, i tuoi genitori non faranno mai una cosa del genere.»sussurrai al mio figlioccio. Sapevo che James e Lily volessero che a quell'ora dormisse dato che aveva solo un anno ma non potevo lasciarlo lì mentre mi fissava con i suoi grossi occhioni verdi. Il bimbo in risposta allungó il braccio abbasanza per afferrarmi l'indice della mano sinistra, il dito che gli fu più vicino. Aveva una manina così mormida e vellutata. Poi l'allungó ancora un po' e mi sfioró una guancia su cui era passata una lacrima mentre raccontavo.
«So che questa storia non è adatta ai bimbi di pochi mesi, ma non ho resistito.»mi scusai con lui anche se sapevo che non mi avrebbe mai risposto, non adesso almeno.
«Sarai forte Harry, tanto forte.»sussurrai prima di uscire dalla sua cameretta e lanciandogli un'occhiata.
Ancora non sapevo quanto sarebbero state vere le mie parole.
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•Di ricordi in parole•Sirius Black
FanfictionTutti noi sappiamo che Sirius Black sarebbe stato quel padrino sempre presente, sempre in prima fila per vedere le sue partite di Quidditch, quello che sarebbe stato pronto a parlare di ragazze e di incantesimi contraccettivi, quello che gli avrebbe...