CAPITOLO 9

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Dopo quella notte, non mi fu più possibile rivedere Virginia.

La cercai in svariati posti ma senza alcun risultato.

Sembrava che la terra l'avesse inghiottita...

Sapevo bene che nessuno poteva sparire da un giorno all'altro così, senza essere stato aiutato da una seconda persona.

E nel caso di Virginia, questa persona, se mai fosse esistita, disponeva di mezzi adeguati per un viaggio dispendioso... credevo realmente nella possibilità che tale ipotesi potesse rivelarsi vera.

La villa senza la sua presenza non era più la stessa.

Cristina viveva ancora con me, per conto suo, in un'altra parte dell'abitazione, dove le era consentito stare .

Infatti per non vederla spesso, le avevo vietato di introdursi nello studio, in una delle camere degli ospiti dove trascorrevo la notte e la cucina, dove consumavo i pasti con le domestiche, preferendo di gran lunga la loro compagnia piuttosto che la sua.

La spietata solitudine arrivò ben presto nella mia vita, invadendo prima la mia mente per poi proseguire dritta al cuore con la velocità di una freccia scagliata da un mortale nemico, causando così la precoce decomposizione dell'organo.

Ma la brutta bestia non si accontentò di così poco, infatti giunse addirittura a divorarmi l'anima e quel poco di umanità che ancora mi era rimasta .

Persi con il mio caratteraccio la voglia di vivere oltre ai miei più cari amici, tra cui Giulio che tanto miseramente mi aveva mentito .

La cosa strana era che non stavo affatto male per questo, ormai non sentivo più niente... nessun tipo di sentimento umano bussava alla mia porta, l'indifferenza per il resto del mondo regnava vittoriosa nel mio animo.

L'unico sentimento che mi rendeva ancora un essere umano, capace di provare qualcosa, era quell'amore straziante che mi lacerava dentro.

Seguivano i rimpianti di ciò che poteva essere e che non avevo permesso in alcun modo che fosse.

Essi mi turbavano dalla mattina alla sera, senza lasciarmi in alcun modo respirare la tanto desiderata pace.

Teresa, che sentivo continuamente lamentarsi a causa del mio comportamento, era l'unica persona cara che non mi aveva ancora abbandonato.

Non vivevo più, al massimo sopravvivevo per non morire fisicamente, ma mentalmente ero già diventato cenere.

Il mio corpo senza anima passeggiava errante per la casa desolata e per le terre della tenuta, soprattutto quelle in cui avevo vissuto felicemente con lei, la rovina della mia vita .

Non credevo che si potesse amare così tanto una semplice donna... nessuno poteva capirmi, poiché si poteva intendere una sensazione simile soltanto se provata sulla propria pelle.

Maledicevo spesso il mio nome, lei e il ricordo della felicità che mi era sfuggita tra le mani .

Sembrava che una coltre di neve avesse gelato la mia mente, impedendomi di pensare lucidamente o di fare qualsiasi altra cosa.

Nel trecentosessantaseiesimo giorno senza Virginia, fui svegliato dalla splendida luce proveniente dal cielo, che oltrepassava una finestra senza tende .

Potei intravedere attraverso quel vetro, il sole alto nel cielo color zafferano, parzialmente coperto da un grosso pino che, a tempo di musica, si piegava leggermente in avanti per poi rialzarsi, incitato dal vento, facendo scomparire e nuovamente uscire fuori quell'abbagliante luminosità che infastidì per qualche secondo i miei occhi, più stanchi di prima .

La regina del brancoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora