La mia cometa sei tu

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Non ho mai creduto al colpo di fulmine. Alle mie amiche che dichiaravano di essersi innamorate a prima vista, rispondevo sempre che era impossibile una cosa simile. A mio parere, per imparare ad amare una persona occorreva conoscerla. Era una certezza che m'accompagnava fin dalla prima adolescenza, e non l'avrei mai abbandonata se non fosse stato per quell' incontro fortuito che era destinato a cambiarmi la vita.

Ma procediamo con ordine: era il 23 dicembre e, sebbene siano passati ormai una decina d'anni, il ricordo nella mia mente è più vivido che mai.
Passeggiavo in centro alla ricerca degli ultimi regali perché, come mio solito, non mi ero organizzata per tempo. Il mio passo era piuttosto rapido mentre il mio sguardo era indirizzato alle luminarie appese ai pali della luce, che davano a quella via un'aria quantomai fiabesca. Ero così assorta nella contemplazione che a stento mi accorgevo della folla di passanti, sicuramente anch'essi in ritardo con i regali, che mi urtavano da ogni lato. Difatti, quando l'ennesima persona si scontrò con me, subito non lo notai neppure. Certamente, mi sarei scansata come avevo fatto con gli altri, ma in quell'occasione la mia tendenza a perdere la testa fra le nuvole-che si manifestava spesso- fu premiata in modo inaspettato.
<<Tutto bene?>> mi chiese una voce che dal timbro intuii appartenere ad un ragazzo. Mi sentii di colpo trascinata la realtà e, distogliendo lo sguardo da quelle affascinanti luminarie, lo posai sul mio interlocutore. Fu allora che i nostri occhi s'incrociarono per la prima volta. Nel momento in cui accadde, sentii un brivido percorrermi la schiena perché quello non era una comune occhiata data di sfuggita ad un passante.
Era invece uno di quegli sguardi che sembrano leggerti l'anima. I suoi occhi... i suoi occhi grigi come la tempesta parevano essere intenti a scandagliare ogni mio recesso segreto. Le gambe erano diventate improvvisamente malferme ma, benché mi sentissi vulnerabile, non mi spostai. Sentivo una strana energia fluire dall' uno all'altro, come se fossimo due comete i cui tragitti si erano appena incrociati, ma che erano destinate a separarsi. Mi rendo conto che è un paragone eccessivamente sdolcinato, ma avvertivo che tra noi si era stabilita una connessione che andava ben al di là dei nostri occhi incatenati come sotto l'effetto di un sortilegio. Non saprei proprio dire quanto durò: forse secondi, forse minuti, forse ore... l'unica cosa che so è che quando ci staccammo e lui si allontanò lungo il marciapiede, rimasi senza fiato per colpa di quel brutale e brusco distacco. Avevo appena compreso il significato di amore a prima vista che già mi era stato strappato via.

Ripensai costantemente a quell'incontro folgorante, chiedendomi come fosse possibile che un ragazzo toccasse le mie corde più profonde senza neppure conoscermi. Era davvero possibile? O l'avevo solo sognato?
Tali interrogativi rimasero ben presenti nella mia mente, ma ciò nonostante non m'impedirono di avere una vita amorosa. Nessuno dei ragazzi con cui avevo avuto una relazione mi aveva dato la stessa sensazione con un singolo sguardo e questo non faceva che rafforzare la mia idea che ciò che era accaduto quella sera di dicembre era irripetibile. Per fortuna però la mia vita proseguì anche sotto il profilo lavorativo e, a soli venticinque anni, ottenni un ottimo impiego in un'azienda rinomata. N'ero felice ma le voci che circolavano sul fatto che il precedente impiegato avesse lasciato il lavoro a causa di un tumore attutivano la mia gioia. Ancora non sapevo cosa mi avesse riservato il destino.

La settimana seguente, mentre stavo lavorando, entrò in ufficio un giovane uomo. Ero sul punto di chiedergli di cosa avessi bisogno quando incontrando i suoi occhi, una scarica elettrica m'attraversò la spina dorsale. Erano grigi come le nuvole temporalesche e in un attimo fui sbalzata nel passato, a quella sera di dicembre in cui mi ero specchiata nelle stesse iridi. Mi sentii come allora, goffa ma tremendamente intrigata. Mi ritenni fortunata di essere seduta perché altrimenti non ero affatto certa che le gambe potessero reggermi. Provai a parlare per capire se anche lui mi aveva riconosciuto ma scoprii che che la bocca era troppo secca anche solo per pronunciare una parola.
Si avvicinò di qualche passo e sentii il cuore balzare nel petto. Aveva davvero un effetto deleterio su di me,  constatai.
<<Io ero qui per prendere la mia roba...>> esordì lui con voce calda e profonda.
<<S-sì certo>> balbettai io in risposta, intuendo che fosse il precedente impiegato. Lui raccolse lo scatolone posato vicino all'armadio e fece per andarsene. Quando fu sulla soglia si arrestò di colpo e si voltò.
<<Io so chi sei>> cominciò <<sei quella ragazzina che incontrai una fredda sera di dicembre. Sei quella timida, che non si espone per timore del giudizio altrui e che ha l'autostima sottoterra.>> I suoi occhi incrociarono di nuovo i miei, forse alla ricerca di conferma. <<ma soprattutto, ti credi così imperfetta quando invece sei così unica.>>
Mi sembra superfluo ribadire il mio sbigottimento; piuttosto, in quel momento compresi appieno il significato dell' espressione anima gemella.

<<Adoro l'autunno>> mi disse un pomeriggio qualche tempo dopo mentre passeggiavamo nel parco. <<È la vita che si prepara ad un lungo sonno.>> Indicò le foglie gialle e rosse disseminate a terra. <<C'è una strana pace in questa stagione, non trovi? È come se si preparasse ad accogliere la morte; n'è consapevole e non ha paura, è solo rassegnato. Al tempo stesso, cerca di trarre piacere dal pallido sole, la cui luce si affievolirà sempre più. Si gode ogni istante l'autunno, prima di bruciare.>>
Fece una pausa per guardarmi negli occhi e mi strinse entrambe le mani. Nel suo sguardo leggevo rassegnazione e placida consapevolezza, e questo ebbe il potere di acuire la mia ansia. Avevo infatti uno strano presentimento, che si arrampicava sulle pareti dello stomaco e non mi lasciava tregua. Un presentimento che, ahimè, si rivelò fondato. <<Sono come l'autunno>> mormorò. <<Mi hanno dato sei mesi.>>

I mesi successivi si rivelarono i più intensi della mia vita, nel bene e nel male. Facevo avanti e indietro dall' ospedale, ogni momento libero che avevo lo dedicavo a lui. Era straziante per me vederlo in quelle condizioni, come un fiore che appassisce sempre più, ma dovevo resistere, dovevo essere forte per lui. Non volevo che trascorresse i suoi ultimi mesi di vita nella più assoluta tristezza, così mi prefissi lo scopo di rendere ogni momento speciale in modo tale che i suoi ultimi ricordi fossero piacevoli. Trattenevo dunque le lacrime per quando ero da sola a casa mentre a lui regalavo, sebbene con grande sforzo, i miei migliori sorrisi. Mi piace pensare che fu anche merito mio se morì sei mesi più tardi rispetto al tempo previsto. Se ne andò in autunno, la sua stagione preferita, e prima di morire mi sussurrò queste parole, che serbo gelosamente nel cuore:<<Siamo due comete io e te, il cui destino ha incrociato donandoci brevi momenti ma intensi.>> Un debole sorriso comparve sul suo volto stanco mentre mi stringeva appena più forte la mano <<E sai cosa sanno fare meglio le comete?>> Scossi la testa, un nodo in gola troppo stretto per parlare. <<Esaudiscono i desideri>> mormorò <<E tu sei, e sempre sarai, il mio.>>

Spazio autrice
È sdolcinata e strappalacrime, lo so, ma mi è venuta così. Spero vi piaccia :)

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 27, 2017 ⏰

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