Give Me Love #yoonmin

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Give Me Love - Ed Sheeran
(Canzone nei media)

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Suga's POV

Sono due settimane.

Due settimane che te ne sei andato. Due settimane che passo le sere in uno squallido bar.
Due settimane che mi distruggo bevendo come una spugna e sbattendomi oche bionde che trovo per strada.

Due settimane.
Quattordici giorni.
Trecentotrentasei ore.
Ventimila e centosessanta minuti.

Butto giù un altro shot.
Perché sei andato via?
Che domande stupide, lo so perché. Perché sono una testa di cazzo. Perché non capisco niente, perché non so cosa voglio, perché non mi basta mai niente, perché sono un bastardo senza cuore e ti ho fatto solo soffrire.

Giù un'altra sorsata. L'alcol brucia ancora nella mia gola e nel mio stomaco, nonostante abbia bevuto per tutta la notte. Non so esattamente per quanto: tre ore? Quattro? Di più ancora? Non lo so, non mi importa. Ho perso la cognizione del tempo, eppure non riesco a toglierti dalla mia testa. Il tuo viso è impresso nella mia mente, le tue lacrime e la tua voce spezzata pervadono i miei ricordi, continuo a rivivere quella dannata sera:
"È finita, Yoongi", continui a dire. "È finita, non posso più andare avanti così."
Stai piangendo, hai una mano sulla porta e l'altra che stringe una borsa in cui hai infilato in fretta e furia le poche cose che possiedi.
Le tue lacrime cadono lentamente sul tuo petto; il tuo cuore è spezzato e vorresti che io facessi qualcosa, qualsiasi cosa, per farti restare: un bacio, una parola, un passo. Qualsiasi cosa farebbe vacillare la tua convinzione.
Ma io non mi muovo, non parlo, non faccio niente se non fissarti, in silenzio, con in bocca ancora il sapore di quella maledetta troietta, l'ennesima tentazione a cui ho ceduto, l'ennesimo errore. Non so neanche io perché, non l'amo e neanche mi piace. Sono solo un'idiota, e non mi muovo.
"Addio."
Apri la porta e te ne vai. Così, senza troppi giri di parole. E io resto a fissare la porta finché gli occhi non iniziano a bruciarmi. Sto piangendo? Non lo so. So solo che sto male. Vorrei picchiarmi, vorrei correrti dietro e dirti di tornare, fermarti, prenderti per mano e dirti che ti amo. Invece mi  lascio cadere in ginocchio e comincio a battere i pugni sulla porta.

La voce del barista mi riporta subito alla realtà. Dice che devo uscire, che è tardi e deve chiudere.
A fatica mi alzo, gli allungo una banconota e mi trascino verso la porta.

La notte di Seoul è fredda e nera. Infilo le mani in tasca e comincio a camminare, mentre una brezza gelida mi schiaffeggia il viso. Non mi lamento, me lo merito.
Non ho una meta. Continuerò solo a camminare finché non sarò stanco morto e il mio cervello mi riporterà automaticamente a casa, come al solito. In ogni caso, non saprei neanche dire dove sono.
Le uniche persone, a parte me, che vagano sui marciapiedi di questa grande metropoli sono le puttane che mi lanciano sguardi ammiccanti, cercando di arrotondare un po' la paga della nottata. Io sono un bel ragazzo, loro sono disperate. Ma non riesco neanche ad avvicinarmi ad una sola di loro, perché la fioca luce dei lampioni mi rivela piccoli dettagli che mi ricordano te: dei capelli neri, due labbra carnose, un sorriso dolce, delle guance un po' più paffute delle altre.
Capisco quante piccole cose abbia sempre notato di te, dal modo in cui ti siedi al modo in cui mi stringevi, timidamente, quasi avessi paura di farmi male.
E invece sono stato io a farti male, a ferirti. Stare con te era come stringere un piccolo canarino nelle mani, una fragile creatura di cui avrei dovuto prendermi cura e che invece ho distrutto.

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