I'll remember you for centuries

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-Maestro?- Sauron alzò lo sguardo dalle sue mani.

Solo, sedeva sul trono di quello che era stato il suo signore, indossando la sua pesante corona di ferro nero, dove prima erano incastonati i tre Silmaril. Fino a quel momento, aveva tenuto il viso fra le mani, cercando di non rompersi il collo a causa della corona, che era troppo pesante per la sua testa.

-Maestro?- ripeté Sauron nel sentire di nuovo i passi che lo avevano distolto dal suo dolore. In un attimo decise che non potevano essere i passi di Melkor quelli che aveva sentito. Erano decisamente troppo leggeri, e poi Melkor era prigioniero nel Vuoto, ricordò Sauron storcendo la bocca in una smorfia.

Tuttavia, volle comunque sapere chi fosse il proprietario dei passi, e soprattutto sapere cosa ci faceva lì, ad Angband. Era disposto anche a estorcergli la risposta a forza, come aveva sempre fatto a chiunque si rifiutava di dirgli ciò che voleva sapere.

Si alzò dal trono nero, camminando verso l'ingresso della sala, le lunghe vesti che frusciavano.

Quando fu a metà della sala, il portone si aprì da solo, quanto bastava per far passare una creatura quadrupede, pelosa e grande quanto un orso: uno dei Mannari di Sauron.

Sauron sentì la delusione pervaderlo. Sciocco, pensò, pensavi veramente che fosse Melkor?

Avrebbe voluto rispondersi di no, ma una piccola parte di lui (forse neanche tanto piccola) aveva davvero sperato che fosse Melkor, fuggito dalla sua prigione, tornato da lui, dall'unica persona che avesse sempre amato.

La delusione non lo lasciò, e più rimaneva più alimentava il dolore di Sauron. Il tutto, non faceva che aumentare la sua rabbia.

Preso da un accesso d'ira, Sauron scagliò la corona del suo signore sul pavimento. La corona rimbalzò con un tintinnio, che si perse nelle aule ormai vuote di Angband. Sauron rimase in piedi, tremante di rabbia. Non sapeva nemmeno perché fosse così arrabbiato, ma non gli importava. Le lacrime iniziarono a scorrere sul suo viso, che Melkor aveva più volte baciato. Si portò le mani alla faccia, il corpo scosso da tremiti, non più di rabbia ma di dolore. Cadde in ginocchio, singhiozzando. -Torna da me- sussurrò. Gettò la testa indietro. -TORNA DA ME!- Scoppiò in un pianto disperato.

Il Mannaro, che era rimasto a osservarlo, si avvicinò lentamente al suo signore. Si sedette accanto a lui. Sauron gettò le braccia al collo peloso e caldo del suo lupo, senza smettere di piangere disperatamente. Il lupo appoggiò il testone sulla testa rossiccia del Maia, come per consolarlo.

Dopo un po', il corpo del Maia smise gradualmente di tremare, fino a rimanere immobile.

Le sue dita strinsero il pelo ispido del Mannaro. -Ho bisogno di una cavalcata- sussurrò nell'orecchio appuntito dell'animale. La belva annuì e si alzò in piedi. Sauron si issò sulla sua groppa. -Vai- sussurrò. -Vai-

Il lupo si lanciò per i larghi corridoi deserti di Angband, correndo verso le porte principali.

In un attimo, fu fuori. L'aria fresca sferzò la faccia di Sauron, ma lui la ignorò. Era stretto al corpo del lupo, gli occhi chiusi. Qualche lacrima solitaria scivolò sulle guance del Maia, volando via.

-Nel boschetto- sussurrò al Mannaro. -Vai nel boschetto-

La sua cavalcatura eseguì. -Fermo- sibilò Sauron. Il lupo si fermò. Il suo padrone smontò dalla sua groppa. -Aspetta qui- gli comandò.

Camminò nel bosco, silenzioso come un'ombra. Si fermò solo quando vide una cerva brucare tranquilla l'erba.

Sauron si accucciò a terra, e si avvicinò a lei a quattro zampe, poi, con un urlo, le balzò addosso, trasformandosi in un leone.

La cerva, impaurita, scappò via. Il Maia la inseguì. La rabbia gli aveva acceso il sangue, e lui doveva sfogarsi.

In poco tempo, raggiunse l'animale. I suoi artigli lacerarono la carne della bestia, facendole perdere l'equilibrio. Affondò i suoi denti nel corpo della cerva, scavando profonde ferite. Quando fu certo che non potesse più sfuggirgli, si ritrasformò in se stesso.

Estrasse velocissimo un pugnale dalla cintola, piantandolo a più riprese nelle carni della cerva. Il sangue schizzava sul suo corpo, lui urlava.

Sauron continuò a pugnalarla anche dopo che fu morta, sfogando su di lei tutto il suo dolore e tutta la sua rabbia.

Dopo un po', smise. Si pulì il viso dal sangue e si alzò. Barcollando, tornò dal suo lupo.

~💧~

Quella notte, il viso affondato nel cuscino, immerso nell'oscurità, Sauron piangeva.

Il suo cuore non riusciva a trovare pace, era tormentato dalla terribile mancanza che sentiva per Melkor, dalla consapevolezza che non lo avrebbe quasi certamente più rivisto, che non avrebbe più potuto stringerlo fra le braccia, che non avrebbe più potuto parlargli, baciarlo o semplicemente prenderlo per mano...

Si aspettava quasi che Melkor entrasse nella stanza, dicendo "tutto bene, piccolo lupo?". Lui gli avrebbe risposto di no, e Melkor si sarebbe infilato nel suo letto, stringendolo fra le braccia e chiedendogli cosa non andasse. Sauron gli avrebbe risposto dicendogli cosa non andava, e Melkor gli avrebbe detto "ti consolo io, mio piccolo lupo". Dopodiché si sarebbero spogliati e si sarebbero uniti.

Sentì qualcosa sfiorargli la spalla. Si girò di scatto.

Melkor! Allora è stato tutto un sogno! Pensò raggiante.

Il suo sorriso si guastò quando vide che non c'era nessuno. La rabbia e la delusione si impossessarono di lui, come avevano fatto quella mattina.

Furioso, lanciò via le coperte. Afferrò il comodino, e lo lanciò fuori dalla finestra, distruggendo i vetri. Poi fu il turno delle candele: le scagliò più lontano che poté, urlando. Prese la scrivania e la rovesciò, spingendola contro il letto. Senza smettere di urlare, stracciò coperte, cuscini e il materasso, disseminando di piume la stanza. Ancora furioso, scagliò un pugno a uno dei muri.

Sentì delle fitte lancinanti alle nocche e un dolore immenso scoppiargli dalle falangi ed estendendosi alle dita, ma non ci badò.

Con l'altra mano, colpì il muro opposto. Lo colpì come se volesse graffiarlo, spezzandosi le unghie.

Sentì le dita bagnarsi di sangue.

Cadde in ginocchio nel mezzo della sua stanza devastata, urlando. Si portò le mani al viso, senza smettere il suo urlo di terribile agonia. Le fece scorrere sulle guance, artigliando la carne, scavando solchi profondi. Il sangue scorreva a fiotti, sporcandogli mani e vesti.

Urlò per quelle che parvero ore, un urlo agonizzante, che nessuno sentì. Un urlo di eterno dolore, nel silenzio di Angband, un silenzio doloroso, poiché Melkor mai più sarebbe tornato a camminare per quelle sale, chiamando a gran voce il suo amato allievo.

I will remember you for centuries // Angbang OSDove le storie prendono vita. Scoprilo ora