Mi viene dato un nome

264 18 18
                                    

Lentamente, lentamente divento consapevole di trovarmi nel mio corpo. Sono troppo esausta per muovermi. Il solo atto di tenere le palpebre serrate mi costa tutta l'energia che ho. Non riesco a pensare. É come se un coltello tranciasse ogni pensiero che faccio appena lo incomincio. Non voglio pensare, a essere sinceri. Voglio stare qua sdraiata, dovunque mi trovo, per sempre. Mi sento incompleta, rotta dentro, oltre che fuori. I rumori della guerra mi pulsano ancora in testa. Se ne avessi la forza, tremerei. I ricordi iniziano a infiltrarsi lentamente nella mia testa, ma il mio cervello è troppo provato per connetterli e ordinarli. Continuano a ronzarmi per la mente, fastidiose mosche marcie che cerco di scacciare. Non voglio ricordare. Non voglio sentire i suoni della guerra. Voglio ovattare tutti i pensieri, rimanere sola nel mio corpo immobile. Non so per quanto resto cosí.
"Pensavo fosse morta."
Una voce mi arriva all'orecchio, come da lontano. Sento la presenza di molta gente intorno a me, ma non riesco a realizzare altro.
"Ci è andata vicino. Ma non so se possiamo considerarla viva."
"È ferita gravemente?"
"Santo Cielo, guarda che tagli. È tutta ossa rotte, sono sicuro."
"Non è quello, Oromë. Non riesci a sentire il suo stesso spirito rovinato? È piú di una carneficina fisica."
"Non mi stupisce, con quello che ha passato. E vi ricordo che se lo merita! Vi ricordo ciò che ha fatto! Dico di lasciarla qui, punizione migliore non c'è."
L'ultima affermazione mi colpisce come un martello contro la tempia. La poca lucidità che mi é rimasta cerca di ribellarsi alla frase detta, ma cede, dandole ragione. Lasciatemi qui davvero, voglio pregare.
"Placa la tua furia, Tulkas. Ha commesso gravi errori, è vero, ma ha chiesto perdono. Dovremmo concerderglielo."
"Perdono? Abbiamo concesso perdono a Morgoth, forse?"
"No, a lui no. È diverso. Questa povera creatura é stata cieca, ma alla fine si é ricreduta. É giá stata punita abbastanza, guardate com'é messa. Io dico di guarirla e perdonarla."
"Hai parlato bene, mia signora Yavanna, e sono d'accordo sul fatto che dobbiamo curarla. Ma non possiamo tenerla qui a Valinor. Nonostante abbia riconosciuto i suoi errori, rimane pur sempre una traditrice."
"A questo proposito, Aulë, proporrei di alleviarla del fardello che porta e darle l'opportunità di rimediare. Senza sapere cos'è successo prima."
"Eru nei cieli, proponi di...?"
"Esattamente. E ho anche in mente un luogo sicura dove mandarla."
"Mandos, quello che proponi è una soluzione piuttosto drastica..."
"Io sono d'accordo. Starà meglio. Vairë, te ne occuperai tu, con l'aiuto di Nienna. Yavanna, tu cura le sue ferite e dalle un'aspetto che si addica alla sua nuova casa. Oromë, tu ti occuperai del... trasloco."
"Sí, mio signore Manwë."
Sento uno spostamento d'aria sopra di me, un profumo di fiori, poi il coltello affetta definitivamente tutti i miei pensieri.



Erba.
Quattro lettere.
Una parola.
Erba sulla quale sono sdraiata.
É morbida. Un po' bagnata. Fa il solletico. Mi accorgo che per testimoniare tutte queste cose ho bisogno di un corpo. Mi trovo dentro ad un corpo sano, me ne rendo conto, ma anche... estraneo. Non é il mio. Non so come faccio a saperlo, ma é cosí. Piano piano, si risvegliano i miei altri sensi. Le mie orecchie sentono un suono melodioso, come uno strumento a fiato. É il vento che soffia fra le foglie, mi ricordo. É bello, come l'erba sotto di me. Il mio naso sente un profumo dolce, e riesco a connetterlo ad un qualche fiore. Anche questo é piacevole. La curiosità ha la meglio, e decido di provare a muovermi. Alzo un braccio, senza dolore, anzi con una certa forza. Passo una mano sull'erba. Dopo essermi resa conto che ogni arto funziona, voglio aprire gli occhi. Ormai sono cosí consapevole di tutto quello che ho attorno che so che batte il sole, lo sento attraverso le palpebre. Allora le sollevo, con cautela. Dietro ad una sottile cortina di ciglia vedo qualcosa di azzuro, verde e bianco. Mi faccio coraggio e apro gli occhi completamente. Devo sbatterli piú volte per mettere a fuoco. Mi trovo
sotto ad un cespuglio con dei bellissimi fiori bianchi, non del tutto schiusi, che si staglia contro un cielo azzurrissimo. I fiori, mi pare, si chiamano rose. Fisso quello che ho davanti, è bellissimo. Non vedo qualcosa del genere da... i miei pensieri si bloccano, poi si mettono a vorticare come impazziti. Da quando? Da quando? Forzo la mia memoria, ma non c'è niente. Niente. Gli ultimi ricordi risalgono a pochi minuti fa, la prima cosa che ricordo è l'erba sulla mia pelle. Vado in panico. So solo di possedere un corpo. Non so nient'altro. Non so chi sono. Non un nome, niente. Inizio a tremare e dal mio petto si leva un singhiozzo. Mi sento intrappolata, soffocare, non ho niente a cui aggrapparmi... Calmati, mi dico, chiunque tu sia, calmati. Sai i nomi delle cose. Sai pensare. Cerca di capire qualcosa. Pianto le mani per terra, mi spingo e mi metto a sedere. Cosí mi accorgo che non ho nulla addosso. Come un riflesso naturale,la mia testa schizza a destra e a sinistra per controllare che non ci sia nessuno. Per fortuna, sono sola. Abbasso lo sguardo. Il mio corpo é quello di una donna, e scopro di avere dei piedi sproporzionati rispetto a tutto il resto. La pelle é chiara, punteggiata di tanti puntini che si chiamano lentiggini. Non lo risconosco. I capelli mi arrivano fino a sopra il seno, si arricciano in morbidi boccoli e sono di un rosso fuoco brillante. Mi alzo in piedi. Scopro di avere delle gambe svelte e forti, che mi reggono senza problemi. Mi guardo intorno. Sono su un prato punterellato da tanti fiori selvatici come margherite, non-ti -scordar- di-me e denti di leone. Un boschetto di betulle alla mia destra è percorso dal costante mormorio della brezza e vicino a me si trova il rigoglioso cespuglio di rose bianche. Deve essere primavera, e tutto è bellissimo. Cerco di collegare questo luogo a qualche ricordo, magari ci sono già stata, ma niente. All'improvviso, sento qualcuno canticchiare. Viene dal bosco nella mia direzione. Vado in panico e mi precipito dietro al cespuglio di rose, mi butto in ginocchio, mi copro il petto con le braccia e stringo le cambe al petto, poi sporgo il collo il piú possibile al dilà delle foglie. Il rumore si fa sempre piú vicino, e qualcuno sbuca dal boschetto. È un ragazzo. Come me, ha grandi piedi scalzi e capelli ricci. I suoi peró sono tagliati corti e sono neri-castani. Ha una pelle chiara, due grandi occhi incredibilmente azzurri separati da un naso lungo e sottile. Indossa dei calzoni marroni tenuti su con delle bretelle e una semplice camicia blu. In mano ha un libro e un mantello marrone, e avanza con fare spensierato. "Non ti avvicinare!", dico, usando la mia voce per la prima volta. É piacevolmente squillante e chiara. Il ragazzo si blocca di colpo, guardandosi in giro. Poi nota che lo osservo da dietro il cespuglio e mi fissa. Fa qualche passo in avanti, ma io ripeto: "Non ti avvicinare, hai sentito? Non ho niente addosso!" Si ferma di nuovo e mi guarda più stranito di prima. "Chi-chi sei?", domanda. Mi mordicchio un labbro. Magari lo sapessi, amico. "Io... io non lo so..." Il ragazzo inclina la testa. "Come sarebbe a dire che non lo sai?" Decido che non possiamo continuare la discussione se rimango rannicchiata qui dietro. "Senti, ti andrebbe di prestarmi il tuo mantello? Cosí posso alzarmi e ti spiego meglio." Annuisce, confuso, e appoggia il mantello per terra a pochi centimetri da me. È talmente educato da chiudere gli occhi mentre lo fa. Afferro il mantello e me lo sistemo sulle spalle, assicurandomi che mi copra del tutto, e mi alzo. "Grazie." -"Bè... non c'è di che. Ora mi faresti il piacere di spiegarmi chi sei?" Mi tormento una ciocca di capelli. "Ecco, io, ripeto: Non lo so. L'ultima cosa che mi ricordo é che mi sono svegliata pochi minuti fa qui, senza niente addosso. Ti giuro che non mi ricordo niente di me, neanche il mio nome o il mio aspetto. Non so dove sono... e non so neanche cosa sono..." Pronunciato ad alta voce mi dispera ancora di più. Non so niente, non ho semplicemente perso i ricordi, ho perso me stessa. Non riesco a trattenermi, mi scappa un singhiozzo e anche una lacrima. Cerco di lavarmela via, ma non posso togliere le mani dal mantello,perchè devo tenerlo chiuso. "Ehi, dai, tranquilla.", dice il ragazzo, sorridendo gentile, "Non mi piace vedere le ragazze piangere. Un po' di cose posso dirtele io. Sei una Hobbit, proprio come me, e occhio e croce hai la mia stessa età, forse un paio di anni in meno. Ti trovi a pochi minuti da Hobbitville, che si trova nella Contea, che a sua volta si trova nella Terra di Mezzo."
Adesso sono troppe informazioni. Sono confusa, i nomi mi ronzano nella testa cercando di aquistare significato, ma non ce la fanno. "Io... non conosco niente di quello che hai detto..." Lui mi scruta preoccupato. "Sicura?" -"Sicurissima." -"Senti, facciamo cosí: Ora ti porto a casa mia, qui vicino. Ti spiegherò tutto meglio, e magari ti do dei vestiti, va bene?" Annuisco, grata. L'idea di una casa, dei vestiti e qualcuno ad aiutarmi mi tranquillizza. "Grazie, è davvero molto gentile da parte tua." Sorride di nuovo. "Ci mancherebbe altro. Oh, comunque, io sono Frodo. Frodo Baggins." Mi porge la mano, poi si ricorda del mantello che devo reggere per coprirmi gambe e petto davanti e la ritira. "Ops, giusto, scusa", sorride imbarazzato, "Dai, andiamo." E prende per il prato. Lo seguo e proseguiamo in silenzio per un po'. Ad un certo punto raggiungiamo un piccolo laghetto. "Frodo, mi devo fermare un secondo!", dico, e mi chino, affacciandomi sulla ferma superficie dell'acqua. Mi trovo a guardare un viso rotondo dai lineamenti delicati, delle lentiggini spruzzate qua e lá e degli occhi a mandorla che pargono verdi. I boccoli rossi incorniciano questa faccia senza nome che studio attentamente. Il riflesso di Frodo appare vicino al mio. "Ti riconosci?". Sforzo la memoria..."No. Non conosco questa faccia..." Frodo mi fa l'occhiolino. "Non ti preoccupare, è una faccia carinissima!" Mi si incendiano le guance e mormoro un grazie. Lui scoppia a ridere, poi dice: "Senti, devo pur chiamarti in qualche modo. Che ne dici di 'Bocciolo di Rosa'? Da noi si usa dare nomi di fiori alle bambine, e ti ho trovata dietro a un cespuglio di rose..." Ripenso alla prima immagine che ho mai visto da quello che posso ricordare. Rose bianche contro un cielo blu... erano veramente bellissime. Sorrido per la prima volta, ripeto il nome nella mia testa piú e piú volte, mi guardo nell'acqua e plasmo il nome sulla mia faccia. "Sí. Bocciolo di Rosa va bene." Frodo si alza. "Perfetto! Allora vieni, Bocciolo, che è quasi ora di merenda." Ho un nome. Ho qualcosa di me. E per ora, un nome da poter dire alla domanda "Chi sei?" mi basta.

La portatrice dell'AnelloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora