Capitolo 1 - La fine è solo un nuovo inizio

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E ora sono qui. Tutto ciò che mi rimane di lei ormai è solo un riflesso dal finestrino del pullman, per quanto poco possa scorgere di lei, è chiaro. Ancora mi stupisco di quanto la mia mente contorta possa sperare in un suo semplice sguardo. Anche se infondo, è meglio che ciò non accada, spero solo non si accorga che la sto guardando. E pensare che prima eravamo tanto, eravamo tutto, insieme avremmo potuto superare qualunque cosa,ogni ostacolo, ogni avversità, mi piace ancora pensare al passato, a quando tutto era così facile. O per lo meno così pensavo. Chi avrebbe mai immaginato che una storia così lieta potesse finire in questo modo? Soprattutto io, che ho sempre creduto nel lieto fine, che ho sempre pensato che alla fine per quanto la strada possa essere ripida si arriverà sempre ad una cima, e forse infondo è così ma la mia strada è ancora lunga e ripida. Così straziante, è quasi un agonia. Nella mia testa c'è solo lei ogni cosa che guardo sembra riportarmi al suo pensiero, forse lo sto facendo apposta a farmi abbindolare da questi ricordi, forse. Ogni cosa che vedo dal finestrino mi fa tornare in mente attimi vissuti, veramente vissuti, ogni momento passato, ogni risata fatta. Mi viene da pensare al passato, ricordo tutto come se fosse stato ieri. Tutto è iniziato quasi dal nulla.

22 febbraio 2009

Volo di sola andata per Medford California, cos'era ancora non lo sapevo, una città? Una metropoli? O un paesino sperduto in una landa desolata? Sinceramente non mi aggradava nessuna di queste opzioni, ma infondo cosa potevo capirne, ero solo un moccioso impertinente in quei anni. Ricordo che era mattino presto, mia madre mi svegliò con la sua splendida voce rassicurante, ineguagliabile, la più bella che avevo mai sentito, fino a quel momento. spalancò le persiane e fece entrare la poca luce che filtrava tra la nebbia di quella fredda mattina mi venne per un istante la pelle d'oca a sentire la fresca ebrezza di quell'umido clima. Quel giorno mi sarei dovuto svegliare presto guardai l'ora ed erano le 4.30 del mattino. Tutto ciò avrebbe cambiato la mia vita radicalmente, il problema era che non sapevo ancora come. In meno di un giorno avrei lasciato tutte le cose a me care alle mie spalle, i ricordi le compagnie i paesaggi. E poi, senza sapere neanche il perché, a me piaceva la mia vita in Italia. Le verdi campagne, le colline contornate di vigneti, il color sempre azzurro del cielo, l'erba umida dalla rugiada lasciata li la notte prima, dove sdraiarsi all'ombra di un albero, magari in bella compagnia era il massimo, dove il predominio di quel posto erano i profumi raffinati dei fiori e dell'uva che doveva essere ancora raccolta, dove il ronzio delle api e insetti simili era quasi piacevole, se non quando ti si posavano sul naso. E io da lì a poco avrei dovuto lasciare tutto ciò per essere spazzato chissà dove in capo al mondo? Cercare di convincere i miei genitori era inutile , fiato sprecato. Economia diceva mio padre, con quella voce arrogante, facendo ballare la pipa che poggiava tra le labbra da una parte al'altra della bocca. Non volevo, ma mi dovetti rassegnare dunque alle idee dei miei genitori. Portavo con me il mio zainetto dei Pokemon e tutti i ricordi più cari. Alle 6 del mattino eravamo già in aereo porto, una marea di gente si estendeva davanti a me tra gli intrecci di quella folla Tenevo ben salda la mano a mia madre, avevo paura di perdermi, pochi minuti a seguire eravamo già sull'aereo in volo per gli stati uniti. Durante il viaggio Sedevo al posto adiacente al finestrino anche se non riuscivo a vedere granché, perché ero troppo basso, ma poco importava, 30 minuti di viaggio mi bastarono per addormentarmi preso dalla stanchezza, e dal peso di una notte insonne caddi in un profondo sonno che mi accompagnò fino al'ora di pranzo, quando una dolce voce di un hostess mi richiamò l'attenzione -e per il ragazzo? Che cosa le prendo?.- Chiese a mia madre, mi stropicciai gli occhi e poi scelsi alcuni dei panini che mi porgeva la giovane donna. Durante il ristoro chiesi più volte a mia madre se mai saremmo tornati a casa, o per quanto saremmo dovuti restare via, ma lei rispondeva sempre in modo vago, rispondeva sempre che non lo sapeva e che mi avrebbe risposto per certo quando saremmo arrivati a destinazione. in tutto questo Mio padre non fece neanche una minima apparizione, era seduto in un posto di un'altra corsia, giacché una fila teneva solo due posti, e io senza mia madre avrei frignato tutto il viaggio. Ma tanto a lui non recava alcuna differenza essere lontano o vicino a noi, a lui bastava il suo libro di Sherlock Holmes, il suo giallo preferito. Quando poggiava i suoi tondi occhiali sulla punta del naso e accavallava le gambe una sopra l'altra capivi che non c'era più nulla da fare, lo avevi perso, si racchiudeva in un mondo di sola lettura, anche parlargli assieme a volte non cambiava la situazione, non capisco ancora adesso se fa finta di non sentirti, oppure proprio non ti sente. Tutto questo durò delle ore fino a quando uno stridulo avviso proveniente dall'auto parlante richiamò l'attenzione dei passeggeri, annunciando loro l'atterraggio che, impazienti aspettavano soltanto di poter mettere finalmente piede a terra. Per lo meno Ero felice di uscire finalmente da quel posto quasi claustrofobico, ma avevo altrettanta paura di ciò che mi aspettava la fuori. Tra dubbi e incertezze domande senza risposte, cosa sarebbe stato della mia vita una volta messo piede in quella landa sconosciuta, Ebbi poco tempo per pensare che l'aereo aveva già sfiorato il suolo. Poco dopo si fermò e le hostess ci invitarono ad uscire. Ma come varcai l'uscita mi sentì divampare un senso di coraggio immenso, quasi emozionante venni quasi accecato dalla luce che emanava il sole mi coprì in parte dai raggi con una mano e riuscì a vedere qualcosa, il cielo color ambra contornava il margine delineato dalle colline, mostrava al mondo la fine di questo giorno. Quasi magico come momento, mi senti pervadere da una sensazione quasi piacevole, Era tutto così diverso, così strano. Prendemmo le nostre valige e ci avviammo verso un noleggio per auto, ne mancavano poche, per colpa dei miei passi corti tutti i passeggeri del aereo ci avevano preceduti, ma qualcosa trovammo non era una vecchia Aston martin ma almeno andava avanti. Era completamente diverso da come me lo aspettavo, il concetto di palazzo o condominio era quasi pari a zero, era un estesa radura di case a schiera, non che mi dispiacesse, anzi l'idea mi piaceva, i pochi palazzi che cerano, erano di qualche edificio pubblico o di qualche cantiere e non di condomini come potevo immaginare. Passammo qualche quartiere prima di andare a casa, era tutto così strano, così allegro e vivace tutto così movimentato e acceso, mi mancava la calma dei vigneti che mi accompagnava prima. Tra i marciapiedi delle strade vedevi persone urlare e stramazzare, salutare il compagno e poi attraversare senza guardare neanche, vedevi persone ubriache già alle 10 di sera camminare a malapena per i marciapiedi, i pochi ragazzi che vedevo erano o in moto o in bici, sfrecciavano da una parte all'altra di una via senza badare a segnaletica. Era tutto così inusuale per me. Era davvero questo ciò che mi attendeva? O era solo un sogno? Comunque sia non mi piaceva, sentivo nostalgia di casa, sentivo che non sarei resistito una settimana lì. Attraversando di quartiere in quartiere trovammo un piccolo ma modesto ristorante che faceva al caso nostro. Il locale era rustico, le finestre cupe e la porta in legno cigolava un po' aprendola venivi accompagnato da un caloroso suono di un campanello legato in cima alla porta. Il tutto assieme metteva allegria. Forse era per quelle luci colorate date dal fondo della sala, dove poi sporgeva un grosso palco con un tappeto color rosso fuoco. Finito il nostro piccolo "tour" venimmo accompagnati da un cameriere ad uno dei tavoli ancora liberi, cigolava un po' come tutto ciò che ci avvolgeva del resto. Poco dopo arrivarono a chiedere le ordinazioni e senza sprecare altro tempo mio padre ed io ordinammo una bistecca di manzo in bue, già dall'immagine che aveva sul menù mi invitava parecchio. Mia madre invece fu più leggera, un insalatona con mozzarella di bufala, arrivarono poi in tempo record i nostri piatti, come poter scordare quel pasto, quel mio primo pasto. Finito di mangiare ci alzammo lentamente dal tavolo, quasi rotolando ci avvicinammo alla cassa per pagare e uscimmo. Era diventato buio pesto, io talmente ero stanco vacillavo un po faticando perfino a tenere gli occhi aperti. Ora le vie di quella città esprimevano un forte senso di angoscia, non c'era un lampione che funzionava bene, e non una persona osava camminare per quelle vie, mi voltai poi un ultima volta verso il locale, anche se ormai ci eravamo distanziati un po' ma nella poca luce che c'era riuscii a scorgere qualcosa da una vetrina del locale, guardai bene , la mia vista offuscata non aiutava, ma dal altra parte del vetro riusci a percepire un piccolo viso candido con dei occhi pieni di passione e di emozione, mi fissava, era una ragazza, non sapevo perché eppure guardava me, mi guardai attorno per capire se c'era qualcun altro ma no ero io il suo obbiettivo. Per un attimo mi sentì percorrere da in brivido lungo tutta la spina dorsale e subito dopo mi venne la pelle d'oca, mi scappò un lieve sorriso, quel dolce incontro mi fece ritornare sveglio come dopo aver assimilato litri e litri di caffè. ma purtroppo, non appena lei si accorse che l'avevo notata tolse le mani dal vetro e si voltò, rimase solo l'impronta sulla condensa del vetro di quelle sue mani. A rovinare l'attimo Venni poi richiamato dalla voce rauca di mio padre che intanto si stava avviando verso la macchina, facendosi anche scappare un bel rutto. Mi sciolsi da quel ambientazione così fiabesca e Corsi verso di loro, salì in macchina e partimmo. ci dirigessimo verso casa, abitavamo in una casa in periferia contornata da una staccionata casa nostra teneva un cortile non molto grande ma con al centro un albero maestoso e un altalena aggrappata su uno dei suoi rami. affianco a noi c'era un parco, ma non lo vidi bene, poiché ormai era scesa la nebbia poi più avanti la strada si interrompeva, Poche case avevamo nei dintorni, ciò per me voleva dire solo pochi amici con cui giocare, non potevo far altro che rattristirmi sempre di più, una delusione dopo l'altra volevo solo tornare a casa. Mia madre però come ripicca delle precedenti domande in aereo ripeteva che la nostra casa ora era qui e avrei dovuto smetterla di fare tutti quei capricci. Fermi sugli scalini che portavano all'ingresso decidemmo finalmente di entrare in casa, la porta la aprì mio padre per la prima volta, lentamente, quasi per mettere della suspance ma quando la aprì per bene potemmo notare un corridoio spoglio, c'era solo lo stretto indispensabile. Uguale per salotto e cucina. In seguito salimmo le scale, mio padre mi illustrò le stanze e mi accompagnò in camera da letto dove per la stanchezza corsi sotto le coperte. Di tutto ciò che stava accadendo non avevo le idee chiare su nulla, purtroppo però non riuscii ad addormentarmi subito, troppi pensieri per la testa, speravo soltanto che un giorno riuscissi a farmi piacere tutto questo, ma ci voleva del tempo, e magari ci voleva qualcuno che riuscisse a farmi capire le meraviglie di ciò che mi circondava, era solo l'inizio di una nuova vita, e tra quei titubanti pensieri non mancò l'immagine di quella ragazza, che mi rimase impressa per tutta la notte. Con il tempo però le calde coperte mi sommersero in un sonno tremendo che neanche i pensieri più cupi e testardi riuscirono a trattenere, così caddi in un sonno profondo.

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