.Prologo.

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Azzurra vive in un quartiere di periferia a San Paolo da ormai due anni e sei mesi, da quando sua mamma è morta.
A quei tempi aveva appena sedici anni e il tribunale la affidò a suo padre.
Così lei fu costretta ad andare a vivere nell'immensa città brasiliana.
Viveva con suo papà, Simone, la compagna di suo papà, Daria, il loro figlio insieme, Oscar, e Nadia, la figlia che lei aveva avuto da una precedente relazione.

Non era felice, per niente, odiava il brasile e la sua lingua che, a malincuore, era stata obbligata ad imparare ma lei per la maggior parte del tempo faceva finta di non capire, le piaceva vedere i brasiliani in preda al panico mentre cercavano di formulare frasi, insensate, in inglese.
Appena un ragazzo le si avvicinava lei o se ne andava con un aria snob o, nel caso le intromettessero la privacy, tirava loro uno o più schiaffi.
Non immaginava un suo futuro in brasile, sommersa da quella tanto odiata gente, e vivendo in una casa in cui nessuno la capiva, l'unica sua via di fuga era la musica.

In Brasile non aveva amici, odiava tutti.
Tutti tranne una.
Si chiamava Tiffany.
O meglio lei l'aveva chiamata Tiffany.
Era una gatta bianca con macchie nere e marroni e due occhi arancioni che una sera d'estate era entrata abusivamente dalla sua finestra mentre lei mangiava un gelato.
Aveva sempre amato i gatti e con Tiffany si sfogava, le parlava di tutti i suoi problemi, consapevole che non le avrebbe mai risposto ma anche che non avrebbe mai spifferato a qualcuno i suoi segreti.

Con sua papà non era in orribili rapporti.
Ma non gli parlava dei suoi problemi si limitava ad abbracciarlo quando aveva bisogno d'affetto, alla fine era stato lui a portarla in Brasile e a farla vivere in quella famiglia formata da gente odiosa.

Suo fratello invece era troppo stupido per lei.
Faceva battute che solo gli altri capivano, guardava Peppa Pig nonostante avesse già otto anni e andava in giro per San Paolo cercando pozzanghere di fango e indossando le sue galosce azzurre.

La sorellastra era brutta, poverina.
Aveva venticinque anni, i capelli scurissimi sempre raccolti in uno chignon tenuto di lato, indossava solo magliette di video games, di cui era molto appassionata, nonostante la sua età avanzata, disegnava sempre i personaggi ovunque, insegnando a Oscar i loro nomi, i loro punti di forza e le loro debolezze, all'inizio tentò di farlo anche con lei, ma Azzurra la scansò con un diretto "lasciami in pace non mi interessa".
L'unica cosa decente in lei erano gli occhi chiari, non belli, che sia chiaro, erano di un marroncino tendente al verde, molto paragonabile alla cacca di un piccione, poverina, non era colpa sua se era uscita male.
La sua non era invidia, assolutamente no, non le interessava piacere ai ragazzi, specialmente a quelli brasiliani, era loro che dovevano piacere a lei.
Ma della sua scarsa bellezza ne era consapevole anche sua mamma, lo ripeteva sempre, poverina.

Proprio per questa consapevolezza che la mamma si intrometteva molto nella vita di Azzurra.
Lei questo lo odiava.
Per lei sua mamma era il suo angelo custode, quella con cui ha passato fantastici momenti che rimarranno sempre in lei, non quella arrogante brasiliana.
La matrigna cercava a tutti i costi di farla maritare con un ragazzo ricco.
Le dava spesso soldi e biglietti per partecipare a feste dei ricchi della zona o per ingressi in locali super chic, a cui lei rinunciava sempre all'ultimo momento.
A lei non interessava, lei voleva solamente riuscire a fuggire da quella casa e da quel paese.

O mi ami, o fingi di amarmi. || Gabriel JesusDove le storie prendono vita. Scoprilo ora