Mashun

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Quando il sole sorgeva a Dukem, la luce entrava prepotente nelle stanze dei volontari, che, senza risultati, cercavano di schermare il più possibile l'unica finestrina della loro stanza.

Facevano una veloce colazione insieme e ancora silenziosi si dirigevano verso l'ospedale dormiente.

Solo un paziente era sempre davanti alla porta ad aspettarli, sorridente e saltellante.

Aveva cinque anni, era esile e i suoi denti bianchissimi splendevano a qualsiasi ora. Era stato lui a preparare quel foglio di benvenuto per Laura ed era stato lui il più impaziente nel conoscerla.

Il suo primo giorno Mashun non li aveva aspettati davanti all'ospedale, ma si era avvicinato agli alloggi, beccandosi un piccolo rimprovero da Francesca. Nonostante la rimbrottata, Mashun era rimasto con loro fissando i suoi occhietti vispi su Laura tutto il tempo.

Passava il giorno a fare il giro dei letti con loro e aiutava a distribuire le barrette nutritive ai pazienti più denutriti. Poi, verso metà giornata, si sedeva di fianco al suo letto e, usandolo come scrivania, iniziava a disegnare silenzioso. Laura non fumava e così amava coordinare le sue pause con quelle artistiche di Mashun, mettendosi accanto a lui e guardandolo disegnare.

In pochi giorni aveva accumulato già tre autoritratti, che aveva appeso in camera, di fianco al letto.

Mashun era solo, né mamma né papà, nessuna visita. Così Laura chiese a Sonia cosa ci facesse quel bambino in un ospedale in mezzo al nulla.

«Mashun è la nostra piccola mascotte. Arrivò qui che aveva due anni, con la madre Lielit, una ragazzina di diciassette anni, malata di Aids. Era stata data in moglie a quattordici anni a un uomo di cinquantadue, un ubriacone che girava per le bettole a qualsiasi ora. Ma lo stronzo aveva qualche soldo e la famiglia di Lielit non se la passava per niente bene, così la ragazzina fu il prezzo da pagare.

Fatto sta che Lielit arrivò a piedi in ospedale in pieno decorso della malattia, oltre che ben riempita di botte.

Aveva sulle spalle Mashun, che sorrideva nonostante fosse pieno di lividi anche lui.

Orsini seguì entrambi tantissimo, trascorrendo spesso le notti accanto a quei due lettini. Quando Lielit morì, nessuno venne a chiedere il corpo.

Fu lo stesso dottore a scavare una fossa vicino all'ospedale ed ebbe la cura di orientarla in direzione Medina, così come avrebbe voluto la religione musulmana. Io arrivai qualche giorno prima della morte di Lielit e rimasi molto impressionata dal comportamento di Orsini che restò zitto tutto il tempo, senza però fermarsi mai. Pensai che fosse rabbioso. Ma mai come quando cacciò a calci in culo il papà di Mashun» Sonia soffocò con poco successo una risata a quel ricordo e Laura le chiese spiegazioni con lo sguardo.

«Il disgraziato ebbe la felice idea di presentarsi in ospedale una settimana dopo la morte di Lielit, per "riprendersi suo figlio". Orsini lo trovò mentre strattonava Mashun piangente vicino alla porta dell'ospedale. Quello che successe dopo penso che resterà nei miei occhi per sempre» A questo punto Sonia scoppiò in una fragorosa risata, mentre fumava la sua sigaretta seduta sugli scalini della foresteria. «Vidi negli occhi del dottore una rabbia cieca mentre correva incontro a quell'uomo completamente ubriaco per staccarlo da Mashun. Lo prese per il colletto della camicia lurida e lo trascinò fuori, fino alla tomba di Lielit. A quel punto gli prese la faccia e gliela strofinò per terra, facendogliela mangiare. Infine gli diede un forte calcio nel culo tanto da farlo cadere per terra e iniziò a urlargli contro in siciliano. Quello stronzo non capì nulla di quello che quel medico pazzo gli stava dicendo, ma capì decisamente che era il caso di andarsene sulla sua macchina scassata.

A quel punto l'ospedale scoppiò di urla in favore del dottore e lui di tutta risposta prese una pietra e la lanciò in direzione di quella macchina che si allontanava e urlò un fragoroso "Piglia latinu!!*. Fu epico. Da quel momento Mashun non si è più mosso da qui.»

Laura sorrise immaginando la scena.

«A cosa vi riferivate l'altra sera riguardo al cambiamento del dottor Orsini?»

Sonia si incupì e iniziò a parlare più lentamente.

«Beh, non è che sia mai stato con noi fino a sera tardi, ma magari restava a chiacchierare dopo cena o aveva una parola gentile nei nostri confronti. Si preoccupava di come stessimo. Sono quasi tre settimane ormai che invece esce molto poco da suo ufficio, quando lo fa è esclusivamente per il giro di visite e anche in quella occasione ci rivolge a stento la parola e spesso è intrattabile. Non capiamo cosa stia succedendo, ma non parla con nessuno e quindi dobbiamo solo sperare che gli passi presto».

In quel momento veniva verso di loro Mashun con un grande foglio colorato in mano e lo regalò a Laura, accoccolandosi in braccio a lei.



*"Piglia latinu": espressione siciliana che vuol dire "Vai dritto"

NOTA DELL'AUTRICE: scusate il ritardo, ma prima di continuare vorrei raggiungere numeri un po' più importanti. Se la storia vi piace, e volete continuare a leggerla, condividete più che potete!! 

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