Entropia

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Entropia

'Dal greco antico ἐν (en), "dentro", e τροπή (tropé), "trasformazione". Grandezza che viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi, incluso, come caso limite, l'Universo.'

Sono in una stanza. Credo. Non posso dirlo con certezza, perché è buio. Una luce simile a una nebbia, elettrica, pervade la stanza, ma permette di distinguere solo la sagoma di una sedia, sistemata dritto di fronte a me. Vuota. Sono seduto su una sedia. Le braccia bloccate da fascette di plastica dietro la schiena. Non so da quanto sono qui. In verità, ho appena aperto gli occhi ed è la prima volta che vedo questa stanza. Credo. Una figura emerge dalla nebbia, ma non riesco a capire se si formi da essa o se appaia da una zona della stanza che non riesco a raggiungere con lo sguardo. Non so nemmeno decidere quale delle due ipotesi è più probabile. Credo.

Ho facoltà decisionali? Non sembrerebbe, al momento. Sto facendo tutti questi discorsi internamente, forse mi servono per passare il tempo, forse il tempo non sta passando però. Come posso saperlo, se sono bloccato in una stanza buia. La figura è ancora qui. Mi osserva, ma io non la posso osservare a mia volta, perché è quasi indistinguibile dal resto. Restiamo a fissarci per minuti. Ore. Giorni. Ad un certo punto credo di sentire le fascette che si allentano, ma sono solo i polsi che si sono addormentati, assieme al resto delle braccia. Distolgo lo sguardo per tentare di girarmi a guardare le fascette, le forzo, ma non ottengo nessun risultato. Rovescio la testa all'indietro, espirando e chiudendo gli occhi. Riapro solo il destro e faccio un balzo indietro, facendo strisciare la sedia sul pavimento. La figura nebulosa è diventata umanoide, indossa un completo scuro e una maschera nera decorata da strisce gialle fluorescenti in stile tribale, con delle piume dello stesso colore intorno al bordo superiore. È immobile, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Cerco di retrocedere ancora, ma l'unico risultato è che la figura inizia ad avanzare, a passi lenti, spavaldi e rilassati. Spingo ancora di più la sedia, iniziando ad ansimare. Un terrore cieco mi prende le viscere. Cado. Sbatto la faccia contro il pavimento, un rivolo caldo che inizia a scendere dal sopracciglio. Non posso rialzarmi. Non posso vedere il mio carceriere mentre mi uccide, mi tortura. Ansimo a denti stretti serrando gli occhi, non voglio vedere questa nebbia elettrica prima di morire. I passi si fermano, sono vicini. Apro gli occhi, che non vogliono obbedire ai comandi del cervello, e vedo un paio di scarpe di vernice nera e il bordo di un paio di pantaloni di gessato, la nebbia che si riflette sul lucido delle scarpe. Sta per uccidermi, me lo sento...

-Che spreco. Non è così che doveva andare. Mi aspettavo una reazione migliore, sinceramente... Riproviamo.-

La nebbia scompare ad uno schiocco di dita. Tutto torna buio.

Apro gli occhi. Credo. Non so se sono aperti o chiusi, è completamente buio. Appare una nebbiolina elettrica. Perché mi ricorda qualcosa? Non dovrebbe ricordami qualcosa. Non dovrebbe. Credo.

-Perché mi ricordi qualcosa?!- urlo al nulla della nebbia.

-Perché non dovrebbe?- replica una voce. Uno spasmo tenta di spostare il mio corpo, ma è legato di nuovo ad una sedia. Di nuovo? Come 'di nuovo'?

-Di nuovo. Esatto- continua la voce.

-Che cosa significa? Perché sono legato? Dove sono? Lasciami andare!-

La figura si avvicina. È vestita completamente di nero, con un completo gessato, e indossa la stessa maschera tribale che ho già visto... Prima. Non so quando sia questo prima, ma c'è stato. Lo ricordo. Solo che la maschera era decorata di giallo. Ora di azzurro. E mentre la figura precedente, a ripensarci, aveva i profili di un uomo, quella di ora sembra una donna.

-Lasciarti andare? Come potremmo? Se ci pensi un po', capirai che siamo legati. Siamo parte di te.-

-Che cosa... No! Non so nemmeno cosa siete!-

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